New York. Il più importante giornale del mondo ha ammesso di avere grandi problemi di credibilità e, soprattutto, di non riuscire a rappresentare bene l’America vera, i suoi valori e lo spirito religioso di chi vive fuori dai circoli intellettuali delle grandi città o da quelli politici di Washington. Il New York Times ha scelto di non nascondere i suoi difetti e di non far finta di niente di fronte alle innumerevoli accuse di falsificare notizie o di adattarle al proprio pregiudizio politico. E’ il New York Times, e non le sue pallide imitazioni d’oltreoceano, proprio per questo: se qualcuno dei suoi cronisti imbroglia, viene licenziato. E chiunque lo abbia coperto, non importa quanto sia alto in grado, fa la stessa fine. Lo sforzo catartico è cominciato all’indomani dei falsi del cronista Jayson Blair, ma non si è mai fermato.
Nei mesi scorsi il direttore Bill Keller ha nominato una commissione interna di 19 giornalisti (the credibility group) per provare a delineare un modello di giornalismo che sia il più corretto possibile. Ora il gruppo ha presentato un rapporto di 16 pagine che suggerisce una serie di provvedimenti per migliorare la qualità e l’accuratezza. Negli Stati Uniti lo standard è infinitamente più alto rispetto all’Italia. I giornali dispongono di un dipartimento di fact-checking che controlla riga per riga fatti, notizie, date, e virgolettati contenuti negli articoli. Nulla è lasciato al caso: anche le recensioni dei ristoranti passano al vaglio dei controllori, i quali addirittura chiamano lo chef per farsi confermare che il menu sia effettivamente quello riportato nell’articolo. I saggi del Times propongono meticolose misure per rafforzare questa parte del lavoro di redazione, poi di limitare al minimo l’uso di fonti anonime e, quando è impossibile farne a meno, di definirle in modo pieno e completo.
L’anno scorso il Times ha pubblicato 3.200 correzioni ai propri articoli. Ma non basta. Secondo i saggi, il giornale deve innescare un meccanismo che individui responsabilità certe per gli errori commessi. La proposta è di creare un archivio con tutti i casi, tutti i nomi e tutte le spiegazioni di chi ha sbagliato. Un caporedattore ad hoc dovrà infine analizzare le tendenze, proporre rimedi e addestrare la redazione. Il Times ha già preso contatti con il database Lexis-Nexis per sviluppare un software che verifichi on line l’originalità degli articoli, cioè che non siano stati copiati da qualche altro giornale. Poi c’è l’annosa questione della commistione tra cronaca e opinione. Gli editoriali sono già confinati in apposite pagine alla fine del giornale e, di recente, il Times ha ampliato il parco degli editorialisti e raddoppiato lo spazio nell’edizione della domenica. Resta però l’ambiguità tra ciò che è cronaca e ciò che è interpretazione dei fatti. Secondo i saggi, spesso le "news analysis" di prima pagina diventano commenti e magari è giusto che sia così. In questo caso, il suggerimento è di inventarsi una nuova veste grafica che distingua subito e chiaramente una notizia da un’analisi.
Il rapporto dei saggi però non si occupa soltanto degli aspetti tecnici legati alla confezione del giornale. Riconosce che le critiche di parzialità crescono ogni giorno e che in America esiste una parte dell’opinione pubblica che odia il New York Times. Le soluzioni proposte sono metodologiche e di merito. Intanto i lettori dovranno poter contattare facilmente gli autori degli articoli. Poi, se è il caso, i giornalisti dovranno rispondere. Così sarà necessario aprire dei blog e soprattutto installare un ufficio che paghi e addestri a parlare i cronisti invitati ai convegni, alle riunioni di comunità, in chiesa e nelle università. Un altro ufficio dovrà fornire aiuti e consigli pratici a chi è chiamato in tv e alla radio. Ma il rapporto suggerisce anche di assumere gente con esperienze in campo militare, religioso e che conosca l’America rurale di prima mano, in modo da dimostrare che il Times non è un giornale distaccato dalla realtà. In generale il giornale dovrà aumentare lo spazio dedicato ai temi religiosi e seguire senza pregiudizi quello che avviene nella pancia del paese. Attenzione, infine, alle etichette. I giornalisti del Times spesso definiscono "fondamentalista" chi, semplicemente, è un "conservatore cristiano". Non si fa.
11 Maggio 2005