New York. L’Iraq è passato in secondo piano. La riforma della previdenza sociale è stata messa da parte. Il deficit federale non è più al centro del dibattito. Il costo del petrolio e la sfida nucleare iraniana non hanno soluzioni in vista. Oggi, e per i prossimi mesi, a Washington il tema politico principale è un altro. Apparentemente è minuscolo e procedurale, in realtà è gigantesco e sostanziale: la battaglia è sui magistrati. Non pensate subito a paragoni con l’Italia. Non provate a fare l’equazione giudici di destra contro giudici di sinistra. Non immaginatevi gli uni contrari all’aborto e gli altri favorevoli. Non è così.
La partita è cominciata sulla nomina di due giudici federali, Priscilla Owen e Janice Rogers Brown. Ma è solo un antipasto di quello che succederà quando arriverà il momento di nominare due, forse tre, giudici della Corte Suprema. I magistrati federali sono nominati dalla Casa Bianca, ma la scelta deve essere confermata dal Senato con un voto a maggioranza. In teoria sarebbe un gioco da ragazzi per Bush, visto che i repubblicani hanno 55 senatori su 100. I democratici hanno però un formidabile strumento per far valere le proprie ragioni e bloccare le nomine: il filibustering, l’ostruzionismo, la tattica parlamentare che protegge i diritti della minoranza consentendo di ritardare i lavori del Senato e di evitare di giungere a un voto. Il filubustering è un caposaldo della tradizione politica americana, pur non essendo previsto nella Costituzione. In passato fu usato dai democratici del sud e dai repubblicani per bloccare le leggi sull’integrazione razziale ed è diventato celebre grazie al film di Frank Capra, "Mr Smith va a Washington".
Per superare l’ostruzionismo ci sono due modi. Il primo necessita di una maggioranza di sessanta senatori. Con sessanta voti si può chiedere la fine del dibattito e costringere il Senato al voto sul provvedimento che la minoranza intendeva bloccare. I repubblicani però non sono riusciti a convincere i cinque senatori dell’opposizione necessari per raggiungere quota sessanta. L’altra soluzione è tecnicamente facile, ma politicamente è molto più pericolosa, tanto che nel gergo di Washington è chiamata "opzione nucleare": consiste nel cancellare del tutto il filibustering, attraverso un voto a maggioranza per cui basterebbero soltanto 50 voti (il cinquantunesimo sarebbe il presidente del Senato, Dick Cheney). Con l’opzione nucleare i repubblicani rischiano molto, perché cancellerebbero una regola del gioco. Ma il flibustering danneggia anche i democratici, perché sono etichettati come quelli che non vogliono far lavorare il Senato. In corso ci sono tentativi bipartisan per trovare una mediazione, ma finora non hanno portato a nulla.
Comunque vada a finire, la battaglia vera comincerà nelle prossime settimane. Il presidente della Corte Suprema, William Rehnquist, a giugno dovrebbe dimettersi per motivi di salute. Rehnquist è un conservatore, quindi in teoria non dovrebbe destare scandalo la sostituzione con un altro conservatore. Eppure non è così. Anzi la scelta di Bush potrebbe avviare la più grande rivoluzione della sua presidenza. I principali candidati sono l’italo americano Antonin Scalia e l’afro-americano Clarence Thomas. Entrambi sono i capofila di due dottrine giuridiche conservatrici, simili ma distinte: gli "originalisti" e il movimento della "Costituzione in esilio". Gli originalisti rigettano la dottrina giuridica liberal secondo cui i giudici di qualsiasi livello e grado hanno il dovere di intervenire per aumentare la protezione dei diritti dei cittadini. Scalia considera questo atteggiamento contrario al principio della divisione dei poteri che assegna la potestà di fare le leggi esclusivamente alle assemblee elette democraticamente. La battaglia intorno all’aborto, per esempio, è di questo tipo. In America non c’è nessuna legge federale che depenalizzi l’interruzione di gravidanza come strumento di regolamentazione di una pratica altrimenti destinata alla clandestinità. C’è invece una sentenza della Corte Suprema del 1973, la Roe contro Wade, che ha addirittura accolto l’aborto tra i diritti costituzionali con una decisione di cinque giudici che ha sottratto al popolo americano la possibilità di poter scegliere da sé. I giuristi conservatori considerano quella sentenza contraria alla Costituzione, non perché liberalizzi l’aborto ma proprio perché ha trasformato i giudici in legislatori.
Lo stesso ragionamento viene fatto sul matrimonio gay. Una legge federale, firmata da Bill Clinton, ha stabilito che il matrimonio è un contratto tra un uomo e una donna. Se un giudice dice di no, come è accaduto in Massachusetts, commette un sopruso nei confronti dei rappresentanti del popolo. Gli originalisti di Scalia sono federalisti convinti nonché difensori dei diritti dei singoli Stati membri, come i padri fondatori. Sostengono che la Costituzione non vada interpretata alla luce degli odierni sviluppi etico-sociali ma per quella che è. Sono cioè contrari a creare nuovi diritti costituzionali diversi da quelli espressamente previsti nella Carta. L’aborto, per esempio, non è un diritto costituzionale in quanto nel testo originale non se ne fa cenno. Ed è comunque è materia di competenza statale, non federale.
I giuristi del movimento della "Costituzione in esilio" sono più propensi all’attivismo legislativo. Sono libertari di destra che incoraggiano ad abbattere ogni legge federale fuori dalla cornice costituzionale. Come gli originalisti diffidano del potere federale, ma sono convinti che anche i singoli Stati possano minacciare la libertà economica garantita ai cittadini dalla Costituzione. Sostengono che tutte le norme che regolamentano l’economia, l’ambiente, il territorio e soprattutto le leggi sulla ridistribuzione della ricchezza (dallo stato sociale alla tassazione progressiva) siano in violazione del principio costituzionale della proprietà privata che non può essere limitata "senza una compensazione". Credono che la Costituzione sia "in esilio" dal 1937, da quando la Corte invertì la giurisprudenza e consentì di intervenire con legge ordinaria su materie di ambito costituzionale. Un’interpretazione creativa che ha aperto la strada al New Deal, cioè al gigantesco intervento pubblico e sociale voluto da Franklin Roosevelt per superare la crisi economica della Grande Depressione.
21 Maggio 2005