Avviso per tutti quelli preoccupati di non avere niente da mettersi nel caso arrivasse la rivoluzione: tranquilli, la prossima si farà in pigiama. La Pajamas Revolution è quella dei blog, i giornali personali di Internet Alt. Ci vuole subito una precisazione: questo non è il solito articolo che magnifica le sorti progressive dei blog, né un pezzo che pretende di spiegare che cosa siano i blog a chi pensa ancora che Internet sia una moda passeggera destinata a finire, come il borsello o il comunismo, nella pattumiera della storia. Questo non è neanche un articolo per ricordare quanto, di recente, i blog si siano fatti valere rispetto ai MSM cioè ai mainstream-media, i media tradizionali: dai falsi di Jayson Blair sul New York Times al finto scoop della Cbs contro Bush, dai reportage dall’Iraq e dal Libano fino alla scoperta degli omissis del rapporto Calipari.
Questo, piuttosto, è un articolo per raccontare che è iniziata la fase 2 della rivoluzione in pigiama. Intanto: perché in pigiama? Ecco perché: alcuni mesi fa un alto dirigente della Cnn liquidò così i blogger: "Sono ragazzini in pigiama seduti in tinello". Un modo sprezzante per dire: chissenefrega di quello che scrivono questi pischelli. Solo che, nel frattempo, i ragazzini in pigiama hanno costretto alla pensione anticipata un’icona del giornalismo come Dan Rather, hanno fatto scrivere a un cronista del Los Angeles Times che i blogger sono più liberi, più svelti e più indipendenti dei giornalisti tradizionali e, infine, hanno convinto Rupert Murdoch a criticare i suoi colleghi perché non hanno ancora capito che il futuro dell’informazione sta proprio nello sviluppo dei blog e di Internet.
La fase 2 è questa: oggi, nonostante i blog siano circa sei milioni in tutto il mondo e le pagine lette su Internet superino quelle dei magazine politici, soltanto pochissime blogstar riescono a pagarsi il loro lavoro. Andrew Sullivan vende i suoi "post" (gli articoli dei blog) ad alcuni giornali stampati e di tanto in tanto chiede soldi ai suoi lettori, ma può permetterselo perché è Andrew Sullivan, cioè un giornalista molto noto e rispettato. Gli altri grandi siti americani, come Drudgereport o Istapundit e qualche altro si tengono in piedi grazie alla pubblicità, ma gli investitori sono ancora scettici sul mezzo, nonostante alcune multinazionali come Sony e Nike abbiano già cominciato ad aggredire il mercato. Gli unici blog appetibili sono quelli grandi, quelli che hanno duecento o trecentomila lettori al giorno, tutti gli altri restano fuori dal mercato.
Così ad alcune blogstar americane, guidate da chi scoprì il falso scoop della Cbs, è venuta l’idea di mettere insieme quanti più blog possibili, e in tutto il mondo, per provare a vendere gli spazi pubblicitari in blocco, sfruttare l’onda lunga dei piccolissimi blog e speculare sulla forza d’urto dei venti milioni di lettori quotidiani.
Ma c’è di più. I blogger di "Pajamas Media" non vogliono soltanto raccogliere pubblicità, ma pensano anche di invadere gli spazi di giornali, tv e radio grazie a un Blog News Service, una specie di agenzia di stampa che fornisca ai media tradizionali i contenuti dei loro blog.
Esempio: i blogger iracheni che hanno raccontato la guerra da una prospettiva ovviamente preclusa ai giornalisti tradizionali non hanno guadagnato un euro dal loro lavoro, sebbene due di loro poi siano stati ricevuti alla Casa Bianca da Bush. Ma una volta avviata la fase 2 della rivoluzione, i loro prossimi reportage potrebbero essere acquistati, tradotti e pubblicati contemporaneamente su un giornale del Wisconsin, sulla Sicilia di Catania e su un settimanale africano. Stessa cosa per le radio e le tv: in qualsiasi posto succeda qualcosa, prima ancora che arrivino gli inviati tradizionali c’è già un blogger che ne ha scritto sul suo sito o che ha messo online le foto o i filmati dell’evento. Informazioni, voci e immagini appetibili per i media tradizionali. Anche in Italia si sta muovendo qualcosa: su iniziativa della rivista Ideazione circa duecento blog liberali e di destra si sono riuniti sotto l’egida "TocqueVille La città dei liberi". Al momento non ci sono progetti di business, ma stanno discutendo come aderire all’iniziativa dei colleghi americani.
5 Maggio 2005