Ci vorrà un bel po’ di tempo per spulciare le ultime, devastanti, mille pagine dell’inchiesta Oil for food presentate ieri da Paul Volcker. Si tratta del più gigantesco caso di corruzione Onu di sempre, con 21 miliardi di dollari di tangenti, mazzette e contrabbandi creati da un programma ideato per aiutare gli iracheni, ma gestito dalle Nazioni Unite, con il contributo di Francia e Russia, in modo tale da aiutare, rafforzare e riarmare Saddam, foraggiare la campagna di propaganda del regime e arricchire funzionari e faccendieri e politici, ma anche figli, fratelli, cognati, cugini, parenti, collaboratori, consiglieri e amici degli ultimi due segretari generali. Una sentenza di fallimento assoluta, definitiva, senza appello.
Il rapporto Volcker ha scritto nero su bianco che, al di là dei casi di corruzione personale, le Nazioni Unite non sono oggettivamente in grado di gestire programmi umanitari così grandi, ma neanche altri di entità inferiore. L’Onu così com’è non può funzionare, a meno che non sia riformata radicalmente. C’è, però, che la stanca cantilena sulla riforma dell’Onu risale al 1948: l’Onu non si era ancora riunita e gli Stati membri discutevano già di come cambiarla. Non c’è stato segretario generale che non abbia presentato le sue proposte di riforma: Kofi Annan è al quarto tentativo, il suo predecessore Boutros Boutros-Ghali ci aveva provato due volte, ma una riforma seria, reale ed efficace di questo baraccone è d’improbabile realizzazione, come dimostrano le trattative per il vertice dei capi di Stato del 16 settembre prossimo. La riforma del Consiglio di sicurezza, una riforma che non avrebbe riformato nulla, a meno che si pensi davvero che un Consiglio a 24 membri possa essere più efficace di uno a 15, è saltata, anzi scongiurata, grazie anche all’azione decisa del governo italiano. Quanto ai temi della pace, della sicurezza e della proliferazione nucleare, la già fiacca proposta di Annan è stata annacquata ancora di più e ridotta a un’inutile dichiarazione di intenti che rinvia il voto a data da destinarsi. Una farsa, più che una riforma. Nel documento non c’è neppure una chiara condanna del terrorismo né l’esclusione dei paesi violatori dei diritti umani dalla Commissione di Ginevra che ha l’obiettivo di tutelarli. L’ambasciatore americano John Bolton è un tipo spiccio: ha scoperto il gioco e invece di dire sì a un inutile pezzo di carta sta provando in extremis a riformare sul serio l’Onu. I suoi 700 emendamenti sono l’ultima remota speranza di salvataggio delle Nazioni Unite. E’ improbabile che riesca, ma chi ha a cuore l’Onu oggi dovrebbe allontanare il fallito e dannoso Annan e urlare “forza Bolton”.
8 Settembre 2005