Camillo di Christian RoccaLa passione di Fischer e l'idealismo antifascista del Sessantotto al potere

Nel giorno in cui il ministro degli Esteri tedesco, Joschka Fischer, ha annunciato di voler rinunciare a ogni incarico di governo, alla leadership dei Verdi e di ritirarsi a vita pressoché privata, nelle librerie americane è arrivato il nuovo saggio dello scrittore liberal e di sinistra Paul Berman che indaga proprio sul percorso intellettuale e politico di Fischer e degli altri leader sessantottini europei. E’ una storia appassionata dell’idealismo rivoluzionario di trent’anni fa e del suo trasferimento, in alcuni casi, a posizioni di potere. Il libro si intitola “Power and Idealists – Or, the passion of Joschka Fischer and its aftermath” ed è il seguito naturale dei due precedenti e fortunati libri “Terrore e Liberalismo” (2003) e “A tale of two Utopias” (1997).
Il tema centrale del saggio è il rapporto apparentemente inesistente, ma secondo Berman saldissimo, tra l’11 settembre e il Sessantotto. Berman oggi nota una certa comunanza ideale tra alcuni leader degli anni Sessanta e quel gruppo di persone che ha sempre disprezzato i contestatori rivoluzionari. E c’è anche una condivisione di analisi e di soluzioni nei confronti dei pericoli più seri che corre la società moderna. Berman racconta l’epopea di Fischer, dei francesi Bernard Kouchner e Daniel Cohn-Bendit, del polacco Adam Michnik e attraverso la loro storia tira i fili della passione che ha percorso la sinistra europea in occasione dell’intervento umanitario in Bosnia e poi di quello in Afghanistan e in Iraq. C’è il rammarico che Berman si sia limitato alla sinistra tedesca e francese, e solo di striscio a quella inglese, trascurando l’esperienza di Adriano Sofri e di Marco Pannella, ma certamente riguarda anche loro il ragionamento secondo cui l’intervento armato per porre fine alle atrocità nei Balcani è stato per certi versi il compimento di quegli ideali rivoluzionari di trent’anni fa.
Il libro precedente, “Terrore e Liberalismo”, era la riflessione di sinistra con cui Berman dimostrava come la guerra al terrorismo e la politica del regime change in Iraq non fossero né una crociata né una guerra imperialista, ma una nuova fase della guerra scoppiata in Europa ottanta anni fa e mai finita. Una guerra antifascista e antitotalitaria. In quel libro Berman spiegava come il fondamentalismo islamico di Al Qaida e il nazional-socialismo panarabo di Saddam fossero la continuazione morale, ideologica e storica dei movimenti totalitari, sia fascisti sia comunisti, del Ventesimo secolo. Con l’eccezione del Foglio, e poi anche del Corriere della Sera, il dibattito italiano post 11 settembre ha scelto di ignorare le ragioni antifasciste dell’intervento angloamericano in medio oriente e ha cancellato gli interpreti di queste tesi, Christopher Hitchens, Tom Cushman, Thomas Friedman. Einaudi ha pubblicato con merito il testo di Berman, ma nella collana impolitica di “Stile Libero”, quasi si trattasse di una stranezza.
“Power and Idealists”, il saggio appena uscito in America, rimanda al primo dei tre libri di questa trilogia sugli ideali del Sessantotto: “A Tale of two Utopias”, a sua volta in uscita, aggiornato di un nuovo capitolo, nel maggio 2006 sempre da Einaudi, ma questa volta nella storica collana “Gli Struzzi” diretta ora da Andrea Romano (non a caso autore di una biografia di Tony Blair, cioè di un leader di sinistra che le ragioni della guerra antifascista conosce molto bene).
“Power and Idealists” costituisce il punto di sintesi della teoria nostalgica di Berman secondo cui dal radicalismo degli anni Sessanta è sorto lentamente un nuovo pensiero liberale e antitotalitario molto simile a quello promosso dopo l’11 settembre da Bush. “Né gli Stati Uniti né l’Europa né il medio oriente possono tollerare più lo status quo mediorientale”, disse Fischer nel novembre 2003. Pochi giorni prima Bush aveva detto che “è insensato accettare lo status quo”. Mentre Fischer proponeva “la globalizzazione dei valori fondamentali, come i diritti umani, il rispetto per la vita, la tolleranza religiosa e culturale e l’uguaglianza di tutti gli esseri umani”, Bush lanciava “una strategia di progresso e di libertà in medio oriente”.
La cosa che non torna, secondo Berman, è che a quelle parole Fischer non ha fatto seguire i fatti, al contrario di quanto fece sulla Bosnia. Blair e Kouchner, invece, non hanno rinunciato alle proprie idee per paura di fare un piacere a Bush. Blair è sceso in campo, rischiando molto. Kouchner ha criticato il suo governo per aver depotenziato la minaccia militare americana e convinto Saddam a non cedere. Fischer ha preferito restare cauto, puntare sull’Onu, limitandosi a non dissentire filosoficamente dalle ragioni pro-intervento e, poi, a rammaricarsi di non aver proposto un’alternativa credibile.