Camillo di Christian RoccaStoria di Lou Gehrig

Lou Gehrig è stato uno dei più grandi giocatori di baseball di tutti i tempi, anche se i tifosi e i giornalisti stravedevano per Babe Ruth e Joe DiMaggio. Al contrario di loro due, Gehrig era timido, riservato, insicuro. Non andava alle feste. Non era un piacione. Non faceva quasi mai notizia. In coppia con Ruth fece vincere una caterva di World Series, i campionati di baseball, ai New York Yankees cioè la Juventus del baseball americano. Gehrig era un gran battitore, cioè colpiva la palla in pieno e con forza bruta. Fu il primo giocatore a mettere a segno 4 fuoricampo in una sola partita. Quando andava in battuta i lanciatori avversari sbagliavano apposta per non fargli colpire la palla. Lui così passava in prima base e lì si trasformava in una saetta e correva correva verso la conquista di altre basi.
Poi arrivò il 1939. Gehrig allora aveva trentasei anni, che per il baseball non è un’età da pensione. Eppure cominciò a essere debole, non batteva più con la potenza esplosa fino alle stagioni precedenti. C’era qualcosa che non andava. Era diventato lento, impacciato, macchinoso. I suoi colpi erano fragili, di cristallo. I tifosi non credevano ai propri occhi e nemmeno lui sapeva spiegare l’improvviso cambiamento. Era come se non ce la facesse più. A un certo punto fu messo in panchina, ed era la prima volta che gli capitava in 14 anni. Era stato lui stesso a chiedere di rimanere fuori. Era il capitano. Entrò in campo per portare all’arbitro le formazioni. Il pubblico lo applaudì e fu l’ultimo applauso da giocatore. Lou Gehrig non giocò mai più una partita con gli Yankees. Fu ricoverato in ospedale tre mesi dopo. Aveva la sclerosi laterale amiotrofica, la malattia che distrugge le cellule nervose. I muscoli non sono più stimolati, a poco a poco si atrofizzano. Dopo un poco si muore. Ancora oggi non c’è una cura contro questa malattia, che da quel momento è diventata famosa come “morbo di Gehrig” nonostante anche Mao Tse  Tung e David Niven ne siano stati colpiti. E’ la malattia che ha colpito l’ex maratoneta Luca Concioni, il presidente del partito radicale che a giugno ha condotto e perduto la battaglia per la ricerca scientifica sulle cellule staminali embrionali. Gli scienziati credono che le cellule staminali estratte dagli embrioni in futuro possano fornire una terapia per malattie come questa e tante altre, ma la legge italiana non consente la ricerca sugli embrioni e il referendum che ne chiedeva l’abrogazione non ha raggiunto il quorum. Così ci siamo tenuti la legge e anche la malattia, almeno fino a quando i riceercatori in altri paesi troveranno la cura. La sindrome di Gehrig è la stessa malattia che ha colpito molti calciatori italiani.
Lou Gehrig, detto Cavallo di ferro, passò gli ultimi mesi della sua vita da impiegato del comune di New York. Entrò un’ultima volta in campo, poco prima di una partita tra i suoi Yankees e gli allora Washington Senators (oggi si chiamano Nationals). Lou Gehrig disse addio al suo stadio, alla sua gente e il suo discorso commosse l’America: “Ormai sapete – disse – che per me è un brutto momento,  ma voglio dirvi che oggi mi considero l’uomo più fortunato del mondo. Grazie”. Seguirono applausi, abbracci, lacrime e finanche un film con Gary Cooper, L’idolo delle folle. Come ricorda sempre Luca Sofri, cioè l’unico fanatico italiano di baseball insieme con Elio e le Storie Tese, quel film fu montato al contrario, capovolto, per rendere l’attore protagonista mancino come Lou Gehrig. The Luckiest man è il titolo della sua biografia da poco pubblicata in America. L’uomo più fortunato è morto nel 1941 a 39 anni, tre anni dopo la sua ultima partita.

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