I l falso dossier “italiano”, o forse “francese”, sull’uranio del Niger c’entra poco o nulla con le motivazioni e con le giustificazioni dell’intervento americano in Iraq. Non è mai stato preso seriamente in considerazione né dalla Casa Bianca né da Downing Street quando hanno costruito il “case” per destituire Saddam Hussein. Lo dimostrano i documenti ufficiali raccolti e analizzati nei rapporti indipendenti o bipartisan di Lord Butler in Inghilterra e della Commissione sull’Intelligence del Senato di Washington. Il paradosso di questa storia è che se quei documenti-bufala fossero stati valutati attentamente, George Bush e Tony Blair si sarebbero risparmiati una figuraccia.
I fatti e il contesto sono questi: il documento falso è stato creato tra il 1999 e il 2000, prima dell’11 settembre 2001 e della guerra al terrorismo, prima dell’elezione rocambolesca di George W. Bush del 2000 e, per essere cronologicamente corretti, va aggiunto che in quelle date a Palazzo Chigi non c’era Silvio Berlusconi, ma un governo di centrosinistra presieduto da Giuliano Amato. Il falso contratto di compravendita di uranio arriva alla comunità d’intelligence americana soltanto nell’ottobre del 2002 e a quella inglese all’inizio del 2003, così stabiliscono senza ombra di dubbio le commissioni bipartisan e indipendenti americane e inglesi che hanno indagato sui fallimenti dei propri servizi segreti riguardo alle armi di Saddam. A Repubblica risulta che la “notizia” di questi documenti, non i documenti in sé, fosse arrivata alla Cia un anno prima, nell’autunno 2001. Un’informazione plausibile, confermata dalla Commissione del Senato. Sempre secondo Repubblica, che però cita l’autore della bufala, quindi non proprio una fonte autorevole, l’intero dossier è stato passato dal Sismi italiano ai servizi inglesi nel 2001. Un’ipotesi smentita dalla Commissione Butler, secondo cui “i documenti falsi non sono entrati a disposizione del governo britannico” prima “dell’inizio del 2003” (pagine 123 e 125).
L’idea della bufala, cioè della creazione di un finto contratto di vendita di uranio nigerino all’Iraq, come ha scritto ieri Repubblica nasce da una comica iniziativa di uno squattrinato ex agente dei servizi italiani che “lavorava a stipendio fisso per l’intelligence francese”, per andare incontro a un interesse di politica estera francese, non americana. Siamo, appunto, tra il 1999 e il 2000, quando ancora Bush preparava la prima campagna elettorale per la Casa Bianca e l’Iraq non era il paese arabo e islamico nel quale promuovere la democrazia. Come è noto, lo sarebbe diventato soltanto dopo l’11 settembre 2001. Il falso contratto Niger-Iraq, come scrive Repubblica, viene cucinato negli archivi dei servizi italiani per truffare Parigi, non Washington: “I francesi, tra il 1999 e il 2000, – scrive Repubblica – si accorgono che c’è chi si è rimesso al lavoro nelle miniere dismesse per avviare un prospero commercio clandestino di uranio. A quali paesi i contrabbandieri lo stanno vendendo? I francesi cercano le risposte” e l’ex agente del Sisde gliele fornisce con la fabbricazione di un falso contratto di vendita di uranio al regime iracheno. I francesi, scrive Repubblica, prendono il pacco e pagano l’ex agente del Sisde.
Prendono il pacco e pagano, i francesi
A Repubblica risulta che i servizi francesi, dopo aver acquistato il dossier falso, “prendono quelle carte e le gettano nel cestino”. Al Rapporto bipartisan del Senato americano, pagine 59 e 67, risulta invece che “il 22 novembre 2002, durante un meeting con funzionari del Dipartimento di Stato, il direttore della nonproliferazione del ministero degli Esteri francese disse che la Francia aveva informazioni su un tentativo di acquisto di uranio dal Niger”. E anche “che la Francia pensava che l’uranio non fosse stato consegnato, ma credeva che l’informazione sul tentativo iracheno di procurarsi l’uranio dal Niger fosse vera”. Solo tre mesi e mezzo dopo, il 4 marzo 2003, si legge nel rapporto, Washington viene a sapere che “i francesi hanno basato la loro iniziale valutazione sul tentativo di acquistare uranio dal Niger dagli stessi documenti” fabbricati in Italia.
E’ importante seguire le date: il 9 ottobre 2002 gli americani ricevono via fax, dall’Ambasciata a Roma, i documenti falsi relativi all’accordo Niger-Iraq, consegnati da una giornalista di Panorama. Un mese dopo, il 22 novembre, i francesi li confermano. Eppure Bush non li ha mai utilizzati, nemmeno nel discorso sullo Stato dell’Unione, del gennaio del 2003. Ai falsi documenti “italo-francesi” sull’acquisto iracheno di uranio del Niger, la Commissione bipartisan del Senato dedica due paragrafi e otto pagine (dalla 57 alla 64). Alla penultima si legge che le informazioni sul Niger in mano all’intelligence americana erano “più ampie rispetto al contratto (cioè al falso documento italo-francese, ndr)” e comprendevano anche “i tentativi iracheni di acquisire uranio dalla Somalia e dalla Repubblica democratica del Congo”. Ed è questo il motivo per cui, nel rapporto del 24 gennaio 2003 preparato dalla Dia e dalla Cia, su richiesta di Donald Rumsfeld, “non c’è alcun riferimento ai documenti scritti in lingua straniera riguardanti l’accordo sull’uranio”. Semplicemente, la bufala italo-francese non è stata usata.
Quattro giorni dopo il rapporto Dia, il 28 gennaio 2003, con il nulla osta di tutta la comunità di intelligence che ha esaminato in anticipo il testo, George Bush ha pronunciato il discorso sullo Stato nell’Unione, nel quale non ha mai parlato di “acquisto” di uranio, come avrebbe potuto fare se avesse tenuto conto del contratto bufala preparato in Italia e venduto ai servizi francesi. E non ha nemmeno parlato di Niger, ma di paesi africani: “Il governo inglese ha appreso che Saddam Hussein ha recentemente cercato di acquisire significative quantità di uranio dall’Africa”. Cercato di acquisire, non “comprato”; Africa non “Niger”. Le 16 parole di Bush, insomma, non facevano riferimento ai documenti falsi, ma a informazioni inglesi.
Secondo la ricostruzione di Repubblica, in cui ha un ruolo il truffatore che falsificò i documenti, gli inglesi ebbero già nel 2001 il dossier bufala. Il rapporto Butler lo nega senza mezzi termini. Scrive Lord Butler di Brockwell, preside dell’University College di Oxford, a pagina 125 del rapporto pubblicato il 14 luglio 2003: “Al momento in cui sono state fatte le valutazioni, quei documenti falsi non erano a disposizione del governo inglese, sicché il fatto che fossero falsi non le indebolisce”. Le “valutazioni” del governo inglese di cui scrive Lord Butler sono quelle che furono passate a Washington con un “white paper” e che costituirono la fonte primaria, se non unica, delle 16 parole pronunciate da Bush nel discorso sullo Stato dell’Unione. Tanto che, conclude Butler, le parole di Bush erano “well-founded”, “ben fondate”, proprio perché non si basavano affatto sui documenti-bufala. La conclusione numero 12, a pagina 72, del rapporto bipartisan del Senato dice la stessa cosa: “Fino all’ottobre 2002, quando la comunità d’intelligence ricevette i falsi documenti in lingua straniera sul contratto Iraq-Niger, per gli analisti era ragionevole valutare che l’Iraq potesse aver cercato uranio dall’Africa sulla base delle informazioni della Cia e di altri”. La colpa dell’intelligence americana su questo specifico punto è stata quella di non aver dato eccessivo peso al falso documento, cioè esattamente il contrario di quanto si legge su Repubblica. La Cia, si legge nel rapporto del Senato, non aveva neanche una copia del documento bufala. “Conclusione 18” a pagina 76: “La Cia avrebbe dovuto richiedere copie di quei documenti”, se l’avesse fatto, se avesse esaminato il grossolano falso, probabilmente quelle 16 parole, per altre fonti “well-founded”, non sarebbero state pronunciate.
Il falso contratto Niger-Iraq fu tradotto soltanto il 7 febbraio 2003, tre giorni dopo essere stato inviato all’Aiea, l’agenzia atomica dell’Onu. Il 3 marzo 2003, l’Aiea scoprì che i documenti erano falsi. Solo allora, il pacco confezionato in Italia e acquistato dai servizi francesi cominciò a instillare dubbi sull’intero capitolo uranio del Niger, dubbi che diventerono palesi soltanto il 17 giugno 2003 con un memo della Cia: cinque mesi dopo il discorso sullo Stato dell’Unione di Bush e un paio di mesi dopo la caduta di Baghdad.
Del resto il viaggio dell’ex ambasciatore americano Joe Wilson, precedente di otto mesi rispetto alla consegna dei documenti falsi, aveva confermato le valutazioni Cia sul tentativo di acquisto di uranio. Il rapporto del Senato dice infatti che Wilson, di ritorno dal Niger, l’8 marzo 2002 raccontò che nel 1999 l’ex primo ministro nigerino fu contattato da “una delegazione irachena” proprio per comprare l’uranio. Ricapitolando: le indagini bipartisan e indipendenti raccontano che Bush, con molta cautela e in modo allora “ben fondato”, ha usato informazioni di intelligence britanniche sui tentativi iracheni di comprare uranio da tre paesi africani, avvalorate dal viaggio di Wilson in Niger. E confermate anche da Parigi sulla base di un falso dossier che gli stessi servizi francesi comprarono da un ex agente italiano, ai tempi del governo Amato in un mondo che non aveva ancora conosciuto l’11 settembre 2001.