Camillo di Christian RoccaBush cambia la Cia, ora dovrà esportare la democrazia

Milano. La Cia esporterà la democrazia e si metterà al servizio della dottrina Bush. La notizia è contenuta nella Strategia Nazionale sull’Intelligence appena presentata a Washington da John Negroponte, il nuovo direttore nazionale di tutti i servizi segreti americani. Si tratta di una svolta clamorosa, peraltro arrivata nel pieno di una battaglia senza esclusione di colpi tra una buona parte della vecchia Cia di George Tenet e l’Amministrazione Bush. In questi quattro anni, la vera opposizione alla politica estera della Casa Bianca è stata condotta proprio da una fetta dell’Agenzia e da ex analisti di Langley, più che dai democratici. Quasi tutte le rivelazioni anti Bush, così come le soffiate ai giornali sui piani militari male applicati, sulle operazioni fallite, sugli errori di programmazione post bellica e poi anche le veline per colpire gli alleati del presidente, i report sull’impossibilità di promuovere la democrazia, fino allo stesso caso Plamegate che si è concluso con l’incriminazione del consigliere principale di Dick Cheney, provengono tutte dalla Cia o da ex agenti di Langley. L’anno scorso il senatore John McCain arrivò a definire la Cia “un’Agenzia deviata”, mentre un paio di giorni fa il Wall Street Journal ha scritto che il caso Plame è stata “una brillante operazione coperta della Cia contro la Casa Bianca”.
Non è la prima volta che “The Agency” viene accusata di inefficienza. C’è chi ricorda come soltanto due anni prima della caduta del Muro di Berlino Langley sostenesse che l’economia della Germania dell’Est fosse molto più solida di quella occidentale. Dopo l’11 settembre, la Cia è stata colpevolizzata per non aver saputo prevenire l’attacco alle Torri, per aver sbagliato le analisi sulle armi di Saddam e, infine, per non avere nello scenario mediorientale agenti in grado di prevenire le mosse dei nemici. Sei mesi fa, su richiesta della Commissione parlamentare sull’11 settembre, Bush ha approvato una legge che riorganizza tutte le attività di intelligence e le affida a un nuovo soggetto: al nuovo zar dei servizi (Dni) John Negroponte.
Il documento strategico sull’intelligence presentato nei giorni scorsi fa il paio con l’ormai famoso testo sulla Sicurezza nazionale che nel 2002 codificò il diritto al primo colpo (first strike) e la politica di cambio del regime. La strategia di Negroponte individua le priorità delle attività di intelligence americane e dice chiaramente che la promozione della democrazia è “il pilastro più solido” per rafforzare la sicurezza nazionale degli Stati Uniti. Gli obiettivi sono “sconfiggere i terroristi in patria e all’estero disinnescando le capacità operative”, “prevenire e contrastare la diffusione delle armi di distruzione di massa”, ma anche “promuovere la crescita della libertà e della democrazia” e “rafforzare la crescita della democrazia e sostenere gli stati democratici pacifici”. L’intelligence americana, scrive Negroponte nella prefazione al documento di 20 pagine, deve essere rimodellata per affrontare le sfide del 21esimo secolo. La prima cosa che l’intelligence deve fare, continua Negroponte, è quella di informare e avvertire il presidente, il governo, il Congresso, l’esercito, i comandi sul campo, le forze dell’ordine, le autorità che si occupano della sicurezza nazionale e i nostri alleati internazionali delle minacce in corso. “In questo senso, l’intelligence è la prima linea di difesa” ma, conclude lo zar dei servizi americani, queste pericolose sfide “forniscono l’opportunità di sostenere la diffusione della libertà, dei diritti umani, della crescita economica, della stabilità finanziaria e dello Stato di diritto. Dobbiamo individuare queste opportunità di trasformazione democratica perché gli Stati autocratici o senza legge sono terreno di crescita per l’instabilità internazionale, la violenza e la miseria. Per la sicurezza americana, la democrazia è il pilastro più solido cui sostenersi. L’intelligence può e deve essere usata per aiutare la diplomazia, influenzare i potenziali avversari prima di una crisi, aiutare a fare della guerra uno strumento di ultima istanza e assicurare la vittoria nel caso in cui il conflitto sia inevitabile”. La dottrina Bush continua.

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