Milano. La prima cosa da considerare è che Bush davanti a sé ha ancora tre quarti del suo mandato. La seconda è che né il presidente né il vicepresidente si ricandideranno alle elezioni del 2008, quindi l’odio e lo scontento nei confronti di questa presidenza potrebbero non avere alcun effetto nel prossimo voto per la Casa Bianca. Detto questo, la crisi e gli scandali e i sondaggi sfavorevoli delle scorse settimane potrebbero peggiorare come ribaltarsi da qui alla fine del mandato. I giornali segnalano una crescente freddezza, per ora soltanto personale, tra George Bush e Dick Cheney sulla gestione dei detenuti di al Qaida, con Cheney nella parte del cattivo e tutto il resto di Washington, e in particolare il repubblicano Joe McCain, tra i buoni. In realtà sono scorie del Ciagate e dell’incriminazione per falsa testimonianza del capo dello staff del vicepresidente. A complicare la situazione è arrivata la decisione della leadership repubblicana di aprire un’inchiesta bicamerale per stabilire chi ha passato al Washington Post le informazioni segrete sui luoghi di detenzione dei terroristi di al Qaida.
Tutto può succedere. Di certo c’è che per Bush questo inizio di novembre è migliore dello scorso mese di ottobre. L’eco di Katrina si è affievolito, il timore di un’incriminazione di mezza Casa Bianca s’è rivelato infondato, la rivolta del movimento conservatore è rientrata. Lentamente, la Casa Bianca ha ripreso la sua attività, con Karl Rove al posto di comando e con un nuovo e autorevole giudice costituzionale, Samuel Alito, che entusiasma la Right Nation e non permette all’opposizione di tentare manovre ostruzionistiche. Ieri c’è stato un minuscolo test elettorale, comunque ininfluente. Contano invece le elezioni di metà mandato del novembre 2006. Prima della recente serie di scandali, gli uomini di Bush erano convinti che le midterm elections avrebbero fatto guadagnare seggi al Grand Old Party. Di quegli entusiasmi si è persa traccia, ma non la speranza. Il partito democratico, se possibile, è in condizioni peggiori. Secondo l’Economist, non ha un’idea di governo distinguibile da quelle di Bush e forse c’è da dubitare che abbia un’idea punto e basta.
Altro elemento da non sottovalutare: alle elezioni parziali del 2006 sono in gioco più seggi democratici che repubblicani e, in maggioranza, in Stati vinti l’anno scorso da Bush. Il calo nei sondaggi del presidente risale alla prima metà dell’anno più che alle ultime settimane. Il motivo, secondo Bill Kristol del Weekly Standard, non è affatto il Ciagate, ma la riforma delle pensioni e le nomine alla Corte Suprema. Il progetto di privatizzare la Social Security non ha convinto gli americani e gli aggiustamenti per corteggiare i democratici non hanno portato a niente. Il 2005 è stato l’anno in cui Bush ha cercato di smussare il muro contro muro dell’anno precedente, come dimostrano anche la nomina alla Corte Suprema di John Roberts e poi di Harriet Miers concordate con l’opposizione. I risultati, con l’eccezione del voto bipartisan su Roberts, sono stati pessimi. I democratici hanno continuato a odiare il presidente cowboy e la base elettorale conservatrice s’è sentita tradita. L’economia va bene, più 3,8 per cento, il deficit pubblico è alto, le tasse sono basse. Bush continuerà a aumentare la spesa pubblica, proverà a rendere permanenti i tagli fiscali e magari tenterà di allargare la copertura dell’assistenza sanitaria.
Sul fronte della politica estera, Bush registra il fallimento degli accordi economici con i paesi centroamericani, ma rinsalda la dottrina pro-democracy in medioriente con il piano politico ed economico che Condi Rice presenterà venerdì al G8 in Bahrein, poi con la trasformazione della Cia, con una nuova strategia che affiancherà gli sforzi del nuovo governo eletto a dicembre sulla base della nuova Costituzione e, per la prima volta nella sua presidenza, con tutte gli organi istituzionali al servizio della sua strategia.
9 Novembre 2005