Camillo di Christian RoccaL'opposizione riconosce che il Sismi non c'entra con il dossier truffa (che forse è stato creato all'estero)

Roma. La prova, anzi le molteplici prove, che i servizi italiani non c’entrano nulla col Nigergate, e che l’inchiesta di Repubblica ha fatto splash, è stata fornita ieri pomeriggio dal direttore del Sismi, Nicolò Pollari, e dal sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Gianni Letta, in un’audizione di quattro ore davanti al Comitato parlamentare di controllo sui servizi. Il senatore Luigi Malabarba, di Rifondazione comunista, ha detto: “Gli scoop di Repubblica sono fantasiosi”. Al Foglio, il senatore diessino Massimo Brutti, membro autorevole del Comitato, ha detto: “Non mi sentirei di insistere ulteriormente su questa vicenda, dobbiamo piuttosto allentare la tensione. Dalle carte che ci sono state mostrate posso dire che il Sismi non ha mai avvalorato la tesi di una comprevendita di uranio in Niger e non ha mai accreditato come affidabili le informazioni sugli strani movimenti iracheni nel paese africano, cosa che peraltro è coerente con l’atteggiamento avuto ai tempi del governo di centrosinistra”. Anche il presidente del Comitato, Enzo Bianco, accredita la versione fornita dal generale Pollari. I senatori diessini e comunisti escludono dunque che l’Italia abbia avuto un ruolo nella creazione e nella veicolazione della truffa. Anzi pare che i documenti falsi non siano stati nemmeno confezionati in Italia, ma in un altro paese.
Pollari ha mostrato carte e documenti e fotografie inedite, in molti casi coperte dal segreto. Punto primo: il Sismi non ha mai fornito agli americani informazioni basate sul falso dossier fabbricato nel 2000 da un truffatore di nome Rocco Martino, in quel momento stipendiato dai servizi francesi. Lo dimostrano gli unici due brevi (e “cauti”, dice Brutti) report inviati alla Cia nel settembre e nell’ottobre del 2002. Secondo le accuse di Repubblica, il Sismi sapeva (anche perché aveva creato quel dossier) che le prove sull’acquisto iracheno di uranio nigerino erano false. Eppure, per farsi bello con Silvio Berlusconi, il quale a sua volta voleva farsi notare dall’amico George Bush, ha passato alla Cia i documenti falsi. 
La supposizione mostrava punti deboli anche a livello logico, ma ieri Pollari e Letta hanno dimostrato che quelle due brevi segnalazioni con il dossier bufala non c’entravano niente. Brutti, cioè l’opposizione, conferma e risponde con un liquidatorio “nooo” alla domanda se l’Unione chiederà una Commissione d’inchiesta. L’Unione, dunque, non segue le teorie complottarde di Repubblica, anzi le rigetta. E prova, in modo molto cauto, a spostare l’attenzione sulla politica estera e militare del governo, insomma sulla normale dialettica politica tra la maggioranza e un’opposizione contraria all’intervento in Iraq.
Niente Nigergate, dunque. Pollari, inoltre, ha mostrato la lettera del direttore dell’Fbi Robert Mueller che esonera inconfutabilmente l’Italia da tutta la vicenda. Altro elemento: ci sono le prove che l’autore del dossier bufala, Rocco Martino, ha cercato di vendere il falso dossier anche ai servizi di un altro paese. E lo ha fatto molto dopo che l’agenzia dell’Onu, il 7 marzo 2003, avesse denunciato la bufala. “Anche questo fatto – ha ammesso Brutti al Foglio – va nella direzione che esclude un coinvolgimento italiano nella vicenda”.

Lo strano ruolo di alcuni giornalisti
L’audizione del Comitato parlamentare era segreta, ma è ugualmente filtrata la notizia di alcune prove del coinvolgimento di un servizio di intelligence straniero in questa storia. Non solo: sarebbero state fornite prove del ruolo poco chiaro di alcuni giornalisti americani, legati anche a colleghi italiani, nel fare pressioni e costringere uno dei protagonisti della Niger-barzelletta a rilasciare un’intervista televisiva.

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