Milano. “Questo non è uno scambio di informazioni. Si chiama scambio di disinformazioni”. Ieri, sul sito del giornalista di Newsweek Christopher Dickey è comparsa questa frase virgolettata di Romano Prodi a commento degli articoli di Repubblica che accusavano il Sismi e il governo italiano di aver passato agli americani un dossier falso sull’acquisto iracheno di uranio del Niger. Notizia, come è noto, smentita più volte dal governo, dall’opposizione, dal Sismi, dall’Fbi, dal Consiglio per la Sicurezza Nazionale, dal Senato americano, da un’inchiesta indipendente inglese, dalla procura di Roma, da un piccolo quotidiano di opinione e da tutti gli altri i giornali italiani di destra e di sinistra tranne Rep.
La clamorosa frase di Prodi non è comparsa nell’intervista pubblicata sul numero di Newsweek in edicola (e questo, di per sé, è già sintomo di come in America considerino poco la Niger-barzelletta) ma il giornalista americano l’ha rilanciata sul suo blog, provando a dare nuova linfa all’ormai anemica inchiesta dei due mondi condotta, parole di Dickey, “dall’ex stagista e ora informatore di Newsweek, Carlo Bonini”. La notizia, infatti, è stata subito ripresa da Laura Rozen, la giornalista-blogger del network italo-americano che da due anni tenta con scarso successo di accreditare la barzelletta sul Niger in funzione anti Bush.
Prodi, dunque, se ne impipa dell’audizione al Senato di Nicolò Pollari e di Gianni Letta? Continua a credere alla barzelletta raccontata da Repubblica, nonostante il suo Enzo Bianco, presidente del Comitato di controllo parlamentare sui Servizi (Copaco), abbia detto il contrario? Nonostante il diessino Massimo Brutti, documenti alla mano, abbia escluso un coinvolgimento italiano nella fabbricazione del dossier di Totò sul Niger? Il leader dell’Unione, infine, non tiene nemmeno conto del fatto che il membro di Rifondazione del Copaco sia uscito dall’audizione dicendo che “le inchieste di Repubblica sono fantasiose”?
Il Foglio lo ha chiesto direttamente a Prodi, anzi al suo portavoce Silvio Sircana. In due cortesi e gentili telefonate, una prima e una dopo aver parlato con Prodi, Sircana ha spiegato che l’intervista a Newsweek è del 25 ottobre e che Prodi ha pronunciato quella frase premettendo chiaramente che si basava esclusivamente sugli articoli di Repubblica: “Come fonte per farsi un giudizio definitivo, Repubblica è troppo poco”.
Ok. Ma ora che il Parlamento ha visto e letto i documenti ufficiali, e in alcuni casi segreti, che provano il contrario, Prodi conferma quella frase? La risposta del suo portavoce è molto chiara: “Prodi ha preso atto che il Copaco ha concluso che le cose sono andate in un modo diverso da come sono state descritte nelle ricostruzioni giornalistiche di Repubblica”. Il Nigergate, ha detto Sircana, “non è in cima ai nostri pensieri, né alla nostra attenzione, né si trova nei nostri cuori. E non c’era nemmeno al momento dell’uscita degli articoli di Repubblica, cioè prima che l’audizione del Copaco analizzasse in modo più accurato la questione”.
Brutti (Ds), un momento di imbarazzo
La lettura della frase di Prodi, prima che il suo portavoce la contestualizzasse e infine correggesse, ha provocato qualche imbarazzo agli interlocutori di centrosinistra a cui il Foglio si è rivolto per un commento. Il presidente del Copaco Enzo Bianco, per esempio, ha scelto di non commentare la frase di Prodi a Newsweek, preferendo rimandare a quanto detto giovedì al termine dell’audizione di Pollari e Letta. Massimo Brutti, membro Ds del Copaco, invece non ha avuto alcun tentennamento nel confermare al Foglio che il dossier truffa “non proveniva dal Sismi”. E, categorico, ha aggiunto: “Nessuna disinformazione è venuta dall’intelligence italiana”.