Roma. Un anno fa, lo scoop barzelletta di Repubblica sul Nigergate non riuscì a superare gli standard minimi di attendibilità della Cbs, il network televisivo americano non particolarmente noto, di recente, per l’accuratezza delle sue fonti. Nel settembre 2004, la Cbs era già incappata in un altro scoop-bufala che si fondava su un documento maldestramente falsificato da un gruppo di producer e giornalisti anti Bush. In quel caso la patacca andò in onda, ma tre bloggers conservatori scoprirono l’imbroglio spacciato per giornalismo investigativo e costrinsero alle dimissioni Dan Rather. Una figuraccia mondiale per la Cbs e una ferita alla credibilità non ancora rimarginata. Ma la storia meno nota è che, contemporaneamente, la stessa trasmissione “60 minutes” della Cbs stava lavorando a un secondo scoop-patacca, sempre anti Bush, proprio mentre Repubblica pubblicava un primo articolo degli ottimi Carlo Bonini e Giuseppe D’Avanzo.
Quel documentario Cbs mai andato in onda era punto per punto – stesse fonti, stesso plot, stessi scarti logici – uguale a quello pubblicato allora da Repubblica, riciclato in questi giorni e poi smentito cinque volte dal governo italiano, dal Sismi, da un portavoce della Casa Bianca nella sua prova-regina di un incontro segreto a Washington, dalla relazione bipartisan del Senato Usa, dall’inchiesta indipendente inglese di Lord Butler, dalla magistratura di Roma, dal direttore dell’Fbi Robert Mueller, dall’Unità dei Ds, da Liberazione di Bertinotti, da Europa della Margherita, dal Manifesto comunista, dal Giornale berlusconiano, da Libero di Feltri e col contributo di un piccolo quotidiano d’opinione.
L’inchiesta italiana che vanta il più alto numero di smentite è collegata indirettamente a questo precedente americano della Cbs, dove però il controllo dei fatti è una cosa seria e gli standard giornalistici un cincinin più elevati. Siamo nel settembre del 2004 e la Cbs rifiuta di mandare in onda il servizio sul Nigergate nonostante sul progetto abbia investito diverse settimane di lavoro transatlantico e parecchi dollari. Nelle intenzioni del network, lo scoop sul Nigergate avrebbe dovuto essere il colpo da ko nei confronti della presidenza Bush, proprio grazie alla prova che alla base di una delle motivazioni della guerra in Iraq ci fosse un dossier patacca fornito da un servizio segreto alleato un po’ troppo zelante, cioè quello italiano.
La Cbs cestinò lo scoop per un fatto semplice semplice: l’uomo chiave di quell’inchiesta giornalistica, cioè l’autore del falso dossier sull’uranio del Niger, ovvero l’italiano Rocco Martino che la Cbs aveva già intervistato e aiutato in tutti modi possibili e impossibili, fu preso con le mani nella marmellata e riconosciuto per ciò che era: un agente dei servizi francesi, non del Sismi italiano come aveva detto, subendo “forti pressioni”, alla Cbs. Che fosse al servizio dei francesi lo scrissero due autorevoli quotidiani inglesi, il Sunday Telegraph e il Financial Times, e Libero. Poco dopo lo ammise lo stesso Rocco Martino al pm di Roma, Franco Ionta. Si seppe, cioè, che Martino aveva confezionato quel dossier nel 2000, cioè in un’altra epoca, per conto dei francesi e che, al momento della divulgazione della truffa, era ancora a libro paga dei servizi di Parigi.
La Cbs, già scottata dal falso scoop di Dan Rather, preferì lasciar perdere la storia nonostante le insistenze dei due free-lance americani, Joshua Micah Marshall e Laura Rozen, che parteciparono al progetto. I due giornalisti americani sono tornati alla carica proprio in concomitanza con la nuova serie di articoli di Repubblica della settimana scorsa, provando a far rimbalzare in America, peraltro con scarso successo, il Nigergate lanciato da Repubblica. E’ stata, per esempio, Laura Rozen a chiamare il portavoce della Casa Bianca per farsi confermare la visita di Pollari del 2003 rivelata da Repubblica. Lo scrive lei, sul suo blog. Laura Rozen gestisce il blog War and piece e scrive su un’altra rivista antagonista, The American Prospect. Joshua Micah Marshall è un giornalista fortemente schierato a sinistra, collaboratore del Washington Monthly (non dell’Atlantic come continua a scrivere Repubblica) che è un agguerrito mensile di sinistra radicale al contrario del raffinato Atlantic, e tenutario del blog Talking Points memo. I due, Marshall e Rozen, sono i due terminali americani degli articoli di Bonino e D’Avanzo, tanto che spesso sui loro blog si possono leggere estratti, tradotti in inglese, dell’articolo pubblicato da Rep. il giorno successivo. E viceversa. Su Repubblica, infatti, rimbalzano ogni giorno le “conferme” americane, che altro non sono se non gli articoli e i post di Marshall e Rozen, gli stessi co-autori del “60 minutes” mai andato in onda. E’ un piccolo ma agguerrito network di giornalisti militanti ad aver provato a rilanciare il tentativo andato a vuoto un anno fa. L’occasione era molto ghiotta: la conclusione dell’inchiesta di Patrick Fitzgerald sul Ciagate. Il timing era perfetto: mentre mezza Casa Bianca stava per essere incriminata per aver complottato contro un ex ambasciatore che nel 2002 era andato a indagare sull’uranio del Niger, in Italia si poteva far scoppiare il background di tutta questa intricata vicenda, ovvero i retroscena del falso dossier e le complicità berlusconiane alla base delle bugie sulla guerra in Iraq. Senonché sono successe due cose: Fitzgerald non ha incriminato nessuno per il reato di complotto, ma solo un consigliere di Dick Cheney e per aver mentito alla giuria e all’Fbi.
Un piccolo giornale d’opinione
In Italia, un piccolo giornale di opinione, e poi anche altri, ha usato le inchieste americane e inglesi, bipartisan e indipendenti, per sbriciolare ogni singolo punto dell’inchiesta militante di Rep. Con una semplice telefonata alla Casa Bianca ha fatto crollare la prova regina offerta da Repubblica e dai loro amici americani, spiegando che l’incontro “segreto” tra il generale Pollari (Sismi) e Hadley (Consiglio Sicurezza Nazionale) all’insaputa della Cia e finalizzato a consegnare ai falchi di Cheney il falso dossier sul Niger, in realtà non era un meeting segreto, era organizzato dalla stessa Cia, è durato 15 minuti, non ha affrontato il dossier Niger e la presenza di Hadley è stata pressoché muta, perché l’incontro era con Condoleezza Rice.
Di più. L’Fbi ha chiuso il capitolo Italia dell’inchiesta di controspionaggio per stabilire chi avesse creato e veicolato il falso dossier, escludendo in modo assoluto e inconfutabile i servizi italiani. (Repubblica non ha mai dato questa notizia, anzi l’ha smentita con un articolo del New York Times secondo cui “l’inchiesta è ancora aperta”. Vero, è ancora aperta, ma non sull’Italia. L’Fbi sta indagando su altri paesi. Uno dei quali, immaginate quale, non ha collaborato alle indagini). Su queste colonne avete letto, con le citazioni ufficiali, come sia risibile sostenere che la guerra in Iraq è stata fatta a causa del dossier Niger, il quale peraltro non è stato usato né da Bush né dai servizi inglesi (Rapporto Butler pag. 125, punto 503, rigo d). E siete venuti a conoscenza della falsità, sancita dal rapporto del Senato Usa, del pilastro fondamentale dell’inchiesta di Repubblica, cioè che i francesi avessero gettato nel cestino il dossier ricevuto da Martino nel 2000. Ma la grande novità di questi giorni, oltre al disinteresse americano, è che il centrosinistra italiano è ben più che tiepido sulla vicenda. I giornali dell’Unione hanno smontato la ricostruzione oppure ne hanno depotenziato la portata, mentre gli attenti politici diessini, tra mille cautele, hanno invitato a distinguere il ruolo del Sismi (che vorrebbero salvare) da quello del governo. Rep. ha capito l’antifona e, con affanno, sta provando a spostare il mirino. Oggi l’audizione congiunta di Nicolò Pollari e Gianni Letta al Comitato parlamentare dei Servizi dovrebbe poter dimostrare che non c’è trippa per gatti.