“Noi ci sentiamo, con l’Europa, a fianco degli Stati Uniti: non solo perché alleati in un’alleanza che si è cementata nel corso di una lunga storia durante la quale per ben due volte, nella prima e nella seconda guerra mondiale, gli americani hanno versato il loro sangue per la pace e la libertà del nostro continente, ma anche perché sentiamo minacciati ed offesi i valori comuni. Anche allora si disse che la forza non avrebbe aperto la strada alla pace, ma poi è venuta la pace e si è aperta la strada anche alla democrazia”. Europa, America, guerra, minacce, valori comuni, armi, sangue, pace, esportazione della democrazia. Queste parole sono state pronunciate con la solennità del caso alla Camera dei Deputati da un presidente del Consiglio italiano. Ma non dal solito Silvio Berlusconi “per ottenere una pacca sulla spalla da George Bush”. Sono di Massimo D’Alema, anno domini 1999, per giustificare le bombe sganciate dagli aerei italiani su una capitale europea senza alcuna autorizzazione dell’Onu. La guerra del Kosovo è stata una guerra geopolitica, priva di legittimazione internazionale, mossa da un gruppo di volenterose nazioni occidentali, e da un’alleanza militare, per cambiare la politica di un dittatore nazionalista che, in passato, aveva compiuto stragi e pulizie etniche. E siccome quel dittatore non ne voleva sapere, per cambiare il regime stesso. La democrazia, in quel caso, è stata esportata sulla punta dei bombardieri, da tremila metri di quota invece che con le baionette, un modo sicuro ma invero vile di piegare un paese. Ma è andata così. E ancora oggi Massimo D’Alema un po’ se ne vanta, un po’ se ne vergogna.
Con quell’operazione, il presidente dei Ds si è guadagnato i galloni di statista europeo, e da allora ha lavorato bene per costruirsi una solida immagine di leader internazionale, con i convegni della Fondazione Italianieuropei, con il mandato a Bruxelles e con il ruolo di vicepresidente dell’Internazionale socialista. Questo curriculum fa di D’Alema uno dei più accreditati candidati alla poltrona di ministro degli Esteri, qualora il centrosinistra dovesse vincere le elezioni politiche e nonostante le scorie del caso Unipol.
Il punto è che ci sono due D’Alema. Quello filoamericano che nonostante la contrarietà all’intervento in Iraq è stato il primo leader italiano a incontrare i nuovi governanti dell’Iraq liberato dagli americani, ma anche il suo opposto, più antagonista di Fausto Bertinotti. Il D’Alema western ha dialogato con Richard Perle e Michael Ledeen, ha riconosciuto “un certo fascino avventuroso nell’ideologia neoconservatrice” e ha perfino lodato Bush per aver ribaltato in favore della democrazia la tradizionale dottrina di politica estera della destra americana. “Io credo che una risposta di centrosinistra debba prendere le mosse da quello che è il nucleo centrale della nuova dottrina americana, l’idea che il fondamento della sicurezza internazionale sta in una espansione della democrazia. Questa idea è giusta e deve essere considerata come il terreno di una sfida positiva. L’espansione della democrazia può essere il fondamento di una nuova sicurezza interna ed è terreno di confronto con la destra americana”, ha detto D’Alema western nel maggio 2005. Forte dell’esperienza personale in Kosovo, D’Alema ha spiegato che “se si vuole perseguire con successo una strategia di espansione della democrazia e dei diritti umani, questo significa non escludere il tema del ricorso alla forza”.
Poi c’è un altro D’Alema, quello più eastern, più pioniere, più ex comunista. E’ il D’Alema che con Veltroni e figli è sceso in Piazza San Pietro per opporsi alla prima guerra irachena, quella per liberare il Kuwait su mandato dell’Onu. E’ il D’Alema che un paio d’anni fa ha detto che gli americani avrebbero portato in Iraq qualche fialetta per dimostrare al mondo che Saddam aveva le armi di sterminio. E’ soprattutto il D’Alema che nello scorso weekend ha concesso due interviste, una a un blog e l’altra all’Unità, in cui ha spiegato che gli Stati Uniti “hanno pensato di combattere il terrorismo con la politica della guerra, delle torture, delle uccisioni dei civili”. Politica di torture e di uccisioni dei civili, ha detto. Un D’Alema che, secondo i pettegolezzi di Monte Citorio, ha definito Piero Fassino “un po’ troppo sionista” e domenica ha accusato Israele e difeso le ragioni sociali di Hamas. Secondo D’Alema eastern, Hamas non è un’organizzazione terroristica e ciò che accade in Palestina è una conseguenza dell’occupazione dell’Iraq.
Ci sono ottime ragioni per credere che il vero D’Alema sia quello western, ma purtroppo anche per sostenere il contrario. Resta il dubbio che l’uno e l’altro siano soltanto tattiche prive strategia, stratagemmi politici di un leader che abusa della consapevolezza di essere il migliore ma che, su questo, finisce per seguire la nota formula “No east, no west / we are the best” di Scialpi al Festival di Sanremo del 1986.
31 Gennaio 2006