Camillo di Christian RoccaSilvio B. va a Washington

Roma. Silvio B. va a Washington. A febbraio, subito dopo il discorso sullo Stato dell’Unione di Bush del 31 gennaio, al presidente del Consiglio italiano spetterà un onore che l’amico George W. ha concesso soltanto a pochi capi di Stato o di governo: un discorso al Congresso riunito in seduta comune, un evento che dopo l’11 settembre si è verificato soltanto con Blair, Aznar, l’iracheno Allawi, l’afghano Karzai, l’indiano Singh e l’ucraino Yushenko. L’invito solenne a Berlusconi, a poche settimane dalle elezioni politiche italiane, dimostra come la Casa Bianca non abbia nessuna intenzione di abbandonare il premier, nonostante i report provenienti da Roma raccontino il vantaggio del centrosinistra nei sondaggi elettorali. Ma per Bush, dicono al Foglio da Washington, quel che conta è il rapporto politico e personale instaurato con Berlusconi e il sostegno che il governo italiano ha dato agli Stati Uniti dopo l’11 settembre e in tutti i momenti chiave della guerra al terrorismo. Il premier italiano non è soltanto un amico personale, ma un affidabile partner politico. A Washington non dimenticano che fu lui a lanciare l’idea di un appello, poi confezionato da José Maria Aznar, con cui nel 2003 otto paesi europei risposero all’unilaterale scelta antiamericana di Francia e Germania. Bush dunque spera che l’amico Berlusconi resti ancora al governo, sicché il mandato dell’altro grande amico del presidente, cioè del nuovo ambasciatore americano a Roma, Ronald Spogli, è quello di coltivare con giudizio questa precisa indicazione della Casa Bianca.
La notizia dell’invito a Berlusconi, insieme con la decisione italiana di ritirare le truppe dall’Iraq entro il 2006 e al prossimo viaggio italiano di Laura Bush, giovedì sera sono stati il passa-parola di una cena a Palazzo Taverna a Roma, dove l’ospite d’onore era proprio Spogli. L’ambasciatore è un grande conoscitore del nostro paese, parla benissimo l’italiano con un leggero accento toscano, ricordo dei cinque anni, tra il 1968 e il 1973, vissuti a Firenze. Spogli si districa perfettamente nelle maglie della politica italiana, nonostante abbia una formazione storica e un passato da businessman. Legge con attenzione i giornali, incontra praticamente tutti i giorni i leader di primo piano, gli imprenditori di alto livello, gli opinionisti di vertice, gli uomini degli apparati e invia a Washington report molto precisi, soltanto velati di pessimismo rispetto all’esito elettorale che farebbe felice la Casa Bianca. Alla cena di giovedì c’era anche l’ex ambasciatore Reginald Bartholomew, ma è stato Spogli ad attirare l’attenzione e a parlare fitto fitto con i più svariati interlocutori (e in particolare col direttore generale di Confindustria Maurizio Beretta), salvo poi trovare un pretesto gentile per liberarsi elegantemente quando la conversazione diventava poco interessante o poco utile.

Gli incontri dell’ambasciatore
Gli Stati Uniti non interferiscono negli affari interni di paesi sovrani, per di più se fedeli alleati. Eppure, nonostante le bocche cucite all’Ambasciata di via Veneto e al desk Italia del dipartimento di stato, le indiscrezioni trapelano. Spogli sa che Bush spera nella vittoria di Berlusconi, ma non sta con le mani in mano. Oltre al Cavaliere e a Gianni Letta, incontra spesso anche i leader del centrosinistra Amato, Rutelli, Veltroni, Fassino, D’Alema. E, un po’ meno, anche Prodi. Ma non c’è un tifo aperto come è capitato nel recente passato con altri ambasciatori americani.
Il sostegno bushiano a Berlusconi non è segreto, non c’è nessuna trama oscura, è tutto alla luce del sole. L’unica cosa che gli americani chiedono al premier è la cautela, per evitare un’altra figuraccia come quella del 31 ottobre scorso, quando il portavoce della Casa Bianca fu costretto a smentire Berlusconi perché dopo un incontro con Bush aveva detto che gli americani “temevano” una vittoria dell’Ulivo.
A Washington sanno molto bene che il ritiro delle truppe italiane, sostituite da una presenza di tipo civile, aiuterà il premier a disinnescare una potenziale arma a disposizione del centrosinistra. Così Pentagono e dipartimento di stato hanno dato il via libera alla scelta italiana di annunciare il ritiro dei soldati entro il 2006, concordando tutti i dettagli militari con il ministro Antonio Martino e con Palazzo Chigi. Anche la decisione di far guidare proprio a Laura Bush la delegazione americana alle Olimpiadi invernali di Torino è da interpretare in questo senso.  A Washington fanno notare che se Bush ha scelto di mandare sua moglie dall’amico Silvio, non è per un caso.

Le newsletter de Linkiesta

X

Un altro formidabile modo di approfondire l’attualità politica, economica, culturale italiana e internazionale.

Iscriviti alle newsletter