Camillo di Christian RoccaLo Stato dell’Unione 2006

Milano. Guerra al terrorismo e Iraq, Iran e Hamas, competitività dell’economia e tasse, riforma della sanità e nuove tecnologie energetiche per porre fine alla dipendenza americana dal petrolio mediorientale. Sono queste le priorità di Washington per il 2006. Ieri George Bush ha pronunciato il suo quinto discorso sullo Stato dell’Unione, il solenne evento, ormai più teatrale che costituzionale, progettato dai padri fondatori degli Stati Uniti per consentire al presidente di fare il punto della situazione e di suggerire al Congresso le riforme necessarie per migliorare la condizione del paese.
La giornata è cominciata nel migliore dei modi per Bush, con la conferma di Samuel Alito alla Corte suprema. L’italoamericano Alito è il secondo giudice supremo che il presidente è riuscito a nominare in quattro mesi, dopo la scelta di John Roberts come Chief Justice, sicché l’onda lunga della presidenza Bush si sentirà per generazioni grazie alla giovane età dei due nominati e all’incarico a vita dei giudici costituzionali.
Più controverso il giudizio sullo stato attuale dell’America e del primo dei secondi quattri anni di Bush, mandato che scade a gennaio del 2009. I giornali liberal sono stati insolitamente cauti e rispettosi nei confronti del presidente e delle indiscrezioni fatte trapelare dalla Casa Bianca sul contenuto del discorso.
Il saggio più completo sulla presidenza Bush è uscito sul Financial Times a firma di Caroline Daniel. Il giornale finanziario della City ha spiegato come gli errori del passato ormai costringano Bush a ridimensionare le sue velleità rivoluzionarie, sia all’estero sia in America. A causa dell’enorme deficit federale e della radicale divisione provocata dalla sua politica estera e di sicurezza nazionale, Bush non ha più un grande spazio di manovra sicché è costretto ad abbassare i toni, a ridurre le aspettative e a tirare a campare, come hanno sempre fatto i presidenti che entrano nell’anno che si conclude con le elezioni di metà mandato. Su altri giornali, come The New Republic, sono comparse critiche diametralmente opposte: l’agenda di Bush è finanche troppo ambiziosa e radicale. Secondo il settimanale liberal, nel discorso di ieri notte è prevalsa la linea di Bill Kristol (direttore neocon del Weekly Standard), di Karl Rove (lo stratega del presidente) e di William McGurn (il più pugnace degli speechwriter di Bush), vale a dire alzare piuttosto che abbassare i toni, concentrarsi sulla guerra al terrorismo e rincuorare il movimento conservatore.

L’anno peggiore
Politicamente il 2005 è stato l’anno peggiore per Bush. L’indice di gradimento è sceso a picco. I democratici sono convinti che le cause di questo crollo siano la crescente disaffezione americana sulla guerra in Iraq, gli intrighi di palazzo culminati nel Ciagate, il programma segreto di intercettazioni telefoniche, l’inefficienza mostrata nei confronti dell’uragano Katrina e il sospetto di corruzione della leadership repubblicana. I sondaggi e Karl Rove però raccontano un’altra storia: Bush è ritenuto affidabile come comandante in capo, la maggioranza degli americani è disposta a cedere una frazione della propria libertà pur di sentirsi sicura, mentre il Ciagate e gli scandali etici non hanno avuto effetto. Secondo questa ricostruzione, Bush ha perso consensi soprattutto tra i suoi, tra i repubblicani, già non particolarmente entusiasti dell’eccessiva spesa pubblica decisa dal Congresso e avallata dalla Casa Bianca.
Tutto è cominciato con la nomina di Harriet Myers alla Corte suprema, scelta poi ritirata dalla Casa Bianca in seguito alla rumorosa rivolta di gran parte del movimento conservatore che non giudicava la consigliere legale del presidente adatta a combattere le difficili battaglie culturali dentro la Corte. La scelta di Alito ha rimesso le cose a posto. Così come è servita a far risalire la fiducia una lunga serie di discorsi sull’Iraq e sul terrorismo, tenuti a novembre.
Gli strateghi della Casa Bianca hanno elaborato un piano volto a diffondere ottimismo nel paese, non paura o ansia come segnalano il Financial Times e i giornali liberal. L’economia va molto bene da oltre un anno e mezzo, cresce a buon ritmo e senza sosta, anche se l’ultimissimo dato è un magro più 1,1 per cento. I disoccupati sono soltanto il 5 per cento, una percentuale più bassa di quella che si registrava ai tempi del boom economico clintoniano. Bush sostiene che il merito principale di questo miracolo economico sia la sua imponente riduzione delle tasse.
(continua dalla prima pagina) Nei palazzi di Washington nei mesi scorsi circolava voce che il più grande problema di George Bush fosse quello che l’America non ha grandi problemi, salvo il costo della benzina e delle assicurazioni sanitarie. Bush ieri ha affrontato proprio questi due temi: energia e sanità. Temi rischiosi, soprattutto il secondo. Chiunque abbia toccato il tasto della “health care”, non è sopravvissuto politicamente e Bush peraltro è ancora scottato dal fallimento della riforma della previdenza sociale annunciata nel discorso sullo Stato dell’Unione dell’anno scorso. La riforma dell’assistenza sanitaria è tabù, come può testimoniare l’ex first lady Hillary Clinton. Ma ora c’è la consapevolezza bipartisan e diffusa che il sistema a breve potrebbere non reggere più. I problemi sono due: i 46 milioni di non assicurati e l’alto costo dei servizi e delle polizze. In Europa sbrigativamente si pensa che la sanità americana sia totalmente privata e che non fornisca alcun servizio a chi non se lo può permettere. Non è così. Gli Stati Uniti spendono quasi duemila miliardi di dollari l’anno in spese sanitarie, cioè il 16 per cento del loro prodotto interno, poco meno del doppio della media dei paesi Osce. Il 60 per cento di questa spesa è pagata dal settore pubblico e comprende anche la ricerca e lo sviluppo di nuove tecnologie, che poi consente ai paesi del resto del mondo di usufruire di farmaci e tecniche più efficienti e meno care. Gli anziani, i bambini, le donne in gravidanza e i poveri hanno cure gratuite, a spese dello stato. Il controllo dei costi sanitari potrebbe saltare per una serie di motivi, non ultimo quello che i malati non vedono i conti e non si interessano alle spese, in quanto coperte dalle assicurazioni fornite dai datori di lavoro e in parte pagate dallo stato attraverso benefici fiscali. L’idea di Bush è quella di trasferire i benefici fiscali su nuovi conti sanitari personali affidati a tutti i cittadini, i quali gestirebbero da soli e senza sprechi la propria spesa sanitaria. Il sistema è complicato e c’è chi dice che, per quanto sofisticato, non funzionerà.
La questione energetica riguarda anche la sicurezza nazionale. Per non dipendere più dal petrolio mediorientale, fin qui Bush ha proposto di trivellare l’Alaska alla ricerca di altro petrolio nazionale. Ora l’idea è di sviluppare le tecnologie basate sui nuovi tipi di carburante già esistenti e sulle automobili ibride già in commercio.
Nonostante le previsioni del Financial Times, Bush è stato altrettanto fermo e visionario sull’Iran. I mullah non potranno dotarsi della Bomba e, mentre la diplomazia e le sanzioni cercheranno di fermarli, gli Stati Uniti sosterranno l’impegno del popolo iraniano e dell’opposizione democratica.

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