Tranquilli. L’America ci sarà sempre. Viceversa saremmo nei guai. Mettiamoci d’accordo su cosa sia questa benedetta o maledetta entità amata e odiata a ogni latitutidine. Fatemi dire quale sia la sua ordinaria grandezza e vi prometto che non ricorderò la sua potenza industriale, che non ribadirò il suo genio tecnologico, che non spiegherò la sua creatività culturale, né che senza di lei in questo momento avreste tra le mani un giornale meno glamouros di Vanity Fair e peraltro scritto in tedesco o in russo.
Da tempo mi sono convinto che l’America non sia soltanto un luogo o un continente o un indicatore economico. L’America non è né Washington né Los Angeles. Non è né il baseball né il corpo dei marines. Non è né Bill Gates né Philip Roth. Ovviamente è anche tutto questo, ma molto altro, molto di più. L’America è il contrario della sua straordinarietà, dell’esagerazione, dell’americanata di cui ci prendiamo gioco ogni volta che la vediamo al cinema. L’America non è affatto la sua eccezionalità, come spiegano i politologi. Credo piuttosto sia la normalità che ci garantisce, l’insostituibile libertà di essere normali. L’America è il cartellino già timbrato della nostra esistenza tranquilla. Il sogno americano altro non è se non il tran-tran di cui ci lamentiamo, ma senza il quale saremmo persi. L’America è ovunque, anche se non la vediamo. Siamo noi, anche se non ce accorgiamo. E’ il nostro quotidiano, anche se non lo sappiamo. L’America è un lavoro soddisfacente, oppure no. E’ la famiglia, la casa, gli hobby, i dispiaceri. Tutto è compreso nella nostra America: alzarsi la mattina, fare colazione, andare in ufficio. La nostra America non è fatta soltanto di rose e fiori. Figuriamoci. Ma ci sono gli amici, c’è il cinema, c’è l’amore, c’è la partita in televisione. Nella nostra America quotidiana ci sono anche quelli che ci stanno sulle palle. L’America prevede anche loro. Pensateci: l’America è stata conquistata molto tempo fa, e poi esportata. Con le navi, con i paracadute, con la musica. Con i film, con i logo, a volte anche con la Cia. Noi ce la godiamo da un bel po’, quest’America. Sono ancora in molti a non avere l’America. Ma sono in coda. Prima o poi tutti giungono in America, tutti vogliono assaggiare l’America. Anche quelli a cui non piace, ma che ci sono dentro fino al collo. Anche loro vivono l’America. Fateci caso. L’antiamericanismo è un prodotto made in Usa, con tanto di logo, globalizzazione e mercificazione. I guru antiamericani sono splendidi americani come Michael Moore, Noam Chomsky, Gore Vidal, Naomi Klein e Georgino Clooney. E i no global, non sono nati a Seattle? E il movimento dei diritti civili? E gli amici della Terra? E il pacifismo? E i figli dei fiori? E il rock and roll? E la cultura beat? E la contestazione del Sessantotto, non è forse cominciata a Berkeley nell’estate del 1967? Certo, l’America non ha prodotto l’antiamericanismo fascista o comunista, ma non me ne lamenterei. Quest’America pretende di stare dalla parte degli angeli, ma proprio per questo ci consente di essere ciò che siamo. E se da questo articolo vi sareste aspettati notizie su chi sostituirà George W. nel 2008 o indicazioni su chi è meglio piazzato tra la destra e la sinistra nella corsa alla Casa Bianca, una sola cosa è certa: vincerà un americano.
2 Marzo 2006