Camillo di Christian RoccaContro il totalitarismo

Milano. Nel settembre 2002 la Casa Bianca ha presentato la sua Strategia di Sicurezza Nazionale con cui ha codificato le linee guida di difesa americana nel nuovo mondo creato dagli attacchi dell’11 settembre 2001. Quella strategia conteneva l’intera e complessiva dottrina Bush attuata con fortune alterne in questi anni, nonostante sia passata alla storia soltanto per l’idea del first strike, del primo colpo, della guerra preventiva. In realtà quel documento conteneva anche la formalizzazione della politica favorevole al cambio di regime, invece che il mantenimento dello status quo dispotico. Prevedeva la parificazione tra gli stati terroristici e i paesi che ospitano, finanziano e sostengono il terrorismo internazionale. E, infine, metteva nero su bianco il vecchio motto clintoniano dell’agire multilateralmente quando è possibile, unilateralmente quando è necessario. Ieri mattina, dopo quattro anni, George Bush ha presentato il nuovo documento strategico sulla sicurezza nazionale. La novità principale di queste 49 pagine è che la Casa Bianca non ha cambiato di una virgola l’impostazione del 2002, limitandosi a tenere conto dei risultati negativi, delle questioni ancora aperte e delle sfide prossime venture. Il documento smentisce ancora una volta i pettegolezzi giornalistici su improbabili divisioni tra falchi e colombe all’interno dell’Amministrazione, tra i cattivi di Dick Cheney e i buoni di Condoleezza Rice, tra unilateralisti e multilateralisti, tra realisti e neoconservatori. Dopo l’11 settembre, la politica estera e di sicurezza americana è una soltanto ed è saldamente in mano al presidente Bush.
La nuova dottrina riafferma chiaramente il principio della diffusione della democrazia (“è la più efficace misura di lungo termine per rafforzare la stabilità internazionale, ridurre i conflitti regionali, opporsi al terrorismo e all’estremismo che lo sostiene, estendere pace e benessere”), il diritto a intervenire per prevenire un attacco (“quando le conseguenze di un attacco con armi di sterminio sono potenzialmente così devastanti, non ci possiamo permettere di oziare mentre questi seri pericoli si materializzano. Questo è il principio e la logica della prevenzione. Nella nostra strategia di sicurezza nazionale il posto della prevenzione rimane lo stesso”). Il documento inoltre spiega che talvolta bisogna agire da soli (“dobbiamo essere preparati ad agire da soli se necessario, ma riconoscendo che ci sono poche conseguenze durevoli che possiamo ottenere senza la cooperazione con i nostri alleati e i nostri partner”), ma anche che spesso sono utili le coalizioni dei volenterosi (“creare partnership ad hoc sul modello dell’iniziativa strategica sulla proliferazione per affrontare le nuove sfide e le nuove opportunità. Queste alleanze mettono in evidenza la cooperazione internazionale, non la burocrazia. Fanno affidamento su adesioni volontarie piuttosto che sui trattati. Sono orientate all’azione e ai risultati piuttosto che a fare leggi o a creare regole”).
Nella lettera di presentazione, Bush ha spiegato che la strategia di sicurezza americana è fondata su due pilastri: “Il primo pilastro è quello di promuovere libertà, giustizia, dignità umana – lavorare per porre fine alla tirannide, promuovere vere democrazie ed estendere il benessere attraverso la libertà di commercio e sagge politiche di sviluppo”. Bush ha aggunto che “i governi liberi sono responsabili nei confronti dei loro popoli” e “non opprimono i propri cittadini, né attaccano le altre nazioni libere”. Il secondo pilastro della strategia “è quello di affrontare le sfide del nostro tempo guidando una crescente comunità di democrazie. Molti dei problemi che affrontiamo – minaccia di malattie pandemiche, proliferazione di armi di distruzione di massa, terrorismo, tratta di esseri umani, disastri naturali – attraversano le frontiere. Sforzi multinazionali efficaci sono essenziali per risolvere questi problemi. Ma la storia ha dimostrato che solo quando noi facciamo la nostra parte, gli altri fanno la loro”. A differenza del 2002, la Strategia bushiana denuncia i pericolosi passi indietro in Russia, affronta il caso Iran e scrive che il modello di sviluppo cinese non è auspicabile, perché i paesi che “cercano di separare la libertà economica dalla libertà politica” alla lunga rischiano di trasformarsi in nemici. Qui di seguito, in corsivo, i passaggi principali del documento:

La politica degli Stati Uniti è quella di individuare e sostenere movimenti e istituzioni democratici in ogni nazione e in ogni cultura, con l’obiettivo ultimo di porre fine alla tirannide nel nostro mondo. Nel nostro mondo, il carattere fondamentale dei regimi è importante quanto la distribuzione di poteri. L’obiettivo del nostro stato è quello di aiutare a creare un mondo di paesi democratici ben governati che possano rispondere ai bisogni dei lori cittadini e agire essi stessi in modo responsabile nel sistema internazionale. Raggiungere questo obiettivo è un lavoro di generazioni. Gli Stati Uniti si trovano nei primi anni di una lunga battaglia, simile a quella che il nostro paese ha affrontato nei primi anni della Guerra fredda.
Queste sono le prime parole della Strategia che individua nella promozione della democrazia l’arma principale per garantire la sicurezza nazionale. La battaglia è generazionale, come si è detto fin dall’11 settembre. La lotta al terrorismo islamista è la nuova Guerra fredda.

Il XX secolo ha visto il trionfo della libertà sulle minacce del fascismo e del comunismo. Ora la minaccia arriva da una nuova ideologia totalitaria, un’ideologia che non si basa su una filosofia laica, ma sull’alterazione di una religione orgogliosa. Il suo contenuto può essere differente dalle ideologie del secolo scorso, ma i mezzi sono simili: intolleranza, omicidio, terrore, schiavitù e repressione.
La Casa Bianca spiega la battaglia di idee in corso e descrive il fondamentalismo islamista come l’ultimo totalitarismo del secolo scorso. Un’analisi che, neoconservatori a parte, è stata elaborata da intellettutali liberal come Paul Berman, Christopher Hitchens, Thomas Friedman, André Glucksmann. Costoro, a differenza di Bush, considerano molto simili non solo i mezzi, ma anche i contenuti di queste tre ideologie totalitarie. Il documento affronta il paradosso del voto democratico a favore di Hamas, un caso che in teoria metterebbe in discussione il principio e la bontà stessa dell’idea di promozione della democrazia. I palestinesi – riconosce la Strategia – hanno votato liberamente, ma ora il peso delle scelte è sulle spalle di chi è stato eletto. Se la leadership di Hamas non riconoscerà Israele, non accetterà l’ipotesi di “due popoli, due democrazie”, il suo governo “non potrà essere considerato pienamente democratico”.

Noi abbiamo la responsabilità di promuovere la libertà umana. Ma la libertà non può essere imposta, dev’essere scelta. La forma che la libertà e la democrazia prendono in qualsiasi posto rifletterà la storia, la cultura e le consuetudini uniche del loro popolo. Gli Stati Uniti staranno sempre dalla parte di e sosterranno chi si batte per la libertà ovunque nel mondo. I nostri principi saranno coerenti, le nostre tattiche varieranno
In questo passaggio c’è prima l’idea che non esista un tasso di democrazia valido a tutte le latitudini, poi la correzione realista alla classica posizione idealista della sinistra. E’ la specificità della dottrina dei neoconservatori, i cosiddetti “liberal aggrediti dalla realtà”: in alcuni casi Washington compirà passi decisi e visibili per favorire il cambiamento immediato, in altri avrà un atteggiamento riformatore più cauto per consentire l’emergere dei prerequisiti di una società libera. La differenza di atteggiamento dipenderà da una circostanza molto precisa: se l’uno o l’altro stato avranno intrapreso la strada della democrazia o no. Il documento elenca gli strumenti pacifici per favorire la democrazia: sostegno politico e finanziario alle opposizioni, uso più oculato degli aiuti e la trasformazione dei diplomatici in agenti attivi del cambiamento.

Il primo dovere del governo degli Stati Uniti resta quello di proteggere i cittadini e gli interessi americani. E’ un saldo principio americano quello secondo cui questo dovere obbliga il governo ad anticipare e a opporsi alle minacce, usando tutti gli elementi del potere nazionale, prima che le minacce possano fare danni seri. Se il rischio è grande, grandissimo è il rischio in caso non si agisse e più impellente l’argomentazione a favore di azioni anticipate di difesa, anche se restasse incertezza su tempi e luoghi degli attacchi nemici. Ci sono poche minacce così grandi come un attacco terroristico con armi di distruzione di massa. Per anticipare o prevenire questi atti ostili da parte dei nostri avversari, gli Usa agiranno preventivamente, se necessario, nell’esercizio del loro diritto all’autodifesa. Per prevenire le minacce emergenti, gli Usa non adoperaranno la forza in tutti i casi. La nostra preferenza va ad azioni non militari. Nessun paese deve mai usare la prevenzione come pretesto per l’aggressione. (…) Agire non significa usare la forza militare. La nostra preferenza e la nostra pratica è di affrontare i problemi di prolifereazione con la diplomazia, di concerto con gli alleati chiave e i partner regionali. Se necessario, comunque, invocando i solidi principi di autodifesa, non escludiamo l’uso della forza prima che arrivi l’attacco, anche se rimanesse incertezza su luogo o data scelti dal nemico.

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