Questo è un libro sull’ottimismo, sull’ottimismo come cemento e ideologia del sogno americano. “Happy Days – Questa è l’America” è un divertente saggio sulla classe media, cioè sulla struttura portante della società americana. E’ un irriverente trattato sul fascino sfacciato della borghesia statunitense e sui suoi strambi comportamenti. Leggerete tutti i luoghi comuni su questo paese, troverete tutte le americanate di questa società, avrete a disposizione l’intero campionario delle stranezze dei suoi abitanti, anche se tutto ciò racconta la straordinaria vitalità di un popolo volto al futuro e tutt’altro che composto da babbei o ignoranti, come si tende a credere nella vecchia Europa.
L’America è una soltanto, nonostante sia fatta di diverse moltitudini. Non ce n’è una buona e l’altra cattiva. Le molteplici tribù che la compongono si conoscono a malapena, non si frequentano, non si parlano, ma condividono gli spazi immensi e l’impresa comune, cioè l’America. La chiave della vivacità è nell’assenza di gerarchie, nella mancanza di un’élite unica e di un establishment definito che opprime e contro cui ribellarsi. Non c’è conflitto culturale, non c’è lotta per la terra, c’è posto per tutti, c’è opportunità per chiunque. Ogni ospite di questo paese, scrive Brooks, ha la possibilità di sentirsi aristocratico all’interno del proprio Olimpo, della propria comunità. Sicché, più che “conosci te stesso”, la massima che ispira gli americani è “sopravvaluta te stesso”.
David Brooks è uno dei più brillanti editorialisti americani, un osservatore della realtà che riesce in modo impareggiabile a coniugare temi seri e intrattenimento. E’ un post sociologo, molto ironico, un Michele Serra senza pregiudizi e privo di umoralità. Brooks è stato tra i fondatori del Weekly Standard, ora è opinionista del New York Times, giornale che ospita due volte a settimana la sua column. Nel 2001 ha scritto un fortunatissimo libro intitolato “Bobos in Paradise” dove, per primo, ha individuato la convergenza sociale tra la cultura borghese e quella bohémienne. I bobos sono la nuova upper class metropolitana, i nuovi radical chic, ancorati a valori borghesi. I bobos sono i figli del nuovo boom industriale, i quali si atteggiano a rivoluzionari mangiando sushi, vestendo vintage e firmando petizioni contro il surriscaldamento terrestre. “Happy days”, il cui titolo originale è “On Paradise Drive”, è la continuazione di quel viaggio attraverso la società americana. Comincia, infatti, con un giro in macchina dal centro città dove vivono i bobos verso i sobborghi, i quartieri periferici, le realtà residenziali extraurbane fino alle piccole cittadine delle sterminate praterie americane. Happy days racconta come vivono gli americani, quali sono i loro modelli di vita, come mangiano, come consumano, come lavorano. Soprattutto racconta la loro mobilità e la frequenza con cui danno vita a nuove comunità che non sono né urbane né rurali. E’ questa l’America, sono questi enormi agglomerati che nascono da un anno all’altro l’essenza del paese. Li abbiamo visti al cinema o in tv, in American Beauty o in Casalinghe Disperate, ma Brooks smonta il cliché letterario sulla vita di periferia noiosa e artificiale in superficie, ma segretamente malata e psicotica. Brooks spazza via gli stereotipi sui sobborghi come luoghi dove la gente si trasferisce per crescere i figli o perché non si può permettere l’affitto downtown. Sono invece il fulcro delle rivoluzioni tecnologiche, economiche e sociali del modello americano.
Il tratto comune degli americani è la loro inarrestabile energia, il loro spirito protestante misto a un eccessivo consumismo che non è soltanto voler avere tutto ciò che ci si può permettere oggi, piuttosto lavorare di più per diventare sempre più ricchi in modo da potersi permettere qualcosa di ancora più grandioso in futuro. Gli americani sono motivati da quello che Brooks chiama “L’Incanto del Paradiso”, cioè dalla sensazione che ci sia un destino straordinario a portata di mano. E’ la loro capacità “di guardare il presente dal punto di vista del futuro” e “di vedere un’idea in modo dettagliato e realistico, come se già esistesse”. Caratteristiche di un popolo fantasioso e sognatore, nonostante non abbia profonde radici in culture e tradizioni millenarie: “Ma di certo abbiamo la testa in un futuro vasto e complesso, e ciò dà al pensiero americano una grandezza che non viene facilmente capita”.
Christian Rocca
4 Marzo 2006