Hillary Clinton e i massimi vertici del Partito democratico applaudono le parole di Silvio Berlusconi in favore della diffusione della democrazia nel mondo, mentre il futuribile Partito democratico italiano accusa il presidente del Consiglio (che ha “commosso” Hillary e gli altri senatori del vero Partito democratico a cui si vorrebbe ispirare) di aver svenduto l’Italia agli Stati Uniti, con toni diversi ma perfettamente compatibili con quelli di uno dei tanti zombie in libera uscita dalla spazzatura della storia. Piero Fassino si dimentica le poche, timide, eppure coraggiose parole sul processo democratico in medio oriente, avviato da Bush e dal compagno Blair peraltro sulla base di una dottrina di politica estera che ha radici nella cultura della sinistra democratica e liberale, da Wilson a Roosevelt, da Truman a Kennedy, da Blair a Clinton. E se la sinistra italiana non lo capisce, o non lo sa, è perché ha una tradizione antifascista ma non antitotalitaria. Così Massimo D’Alema crede che il modo migliore per andare alla Farnesina sia difendere i fascisti-islamici di Hamas.
Il paradosso è che negli stessi giorni di questo imbarazzante arretramento della sinistra italiana (l’eccezione è Rutelli), i liberal americani si sono interrogati sulle grandi difficoltà della strategia di promozione della democrazia, giungendo però alla conclusione che la direzione resta giusta, nonostante le continue stragi in Iraq, il ruolo dei Fratelli musulmani e l’ascesa di Hamas al governo. Domenica è stato il Washington Post a spiegare che le critiche a questa politica non stanno in piedi e, soprattutto, non offrono un’alternativa credibile (domenica il Corriere ha scritto la stessa cosa in un corsivo non firmato e il Los Angeles Times ha pubblicato un articolo di Natan Sharansky con la medesima tesi). La settimana scorsa il New York Times s’è accorto della “vergogna delle Nazioni Unite” (titolo di un editoriale), egemonizzate anche nei tentativi di riforma dall’alleanza delle dittature, per cui ora scopre che “John Bolton ha ragione e il segretario generale Kofi Annan ha torto”. Il Washington Post ha entusiasticamente appoggiato la proposta di Condi Rice di aumentare gli aiuti all’opposizione iraniana, cioè di utilizzare quel soft power tanto invocato per criticare le soluzioni militari, poi sempre ignorato quando viene esercitato. Su Foreign Policy, il guru del soft power, Joseph S. Nye, ha spiegato che alcuni obiettivi possono essere raggiunti soltanto con l’uso della forza militare, mentre Christopher Hitchens, su Slate, si è fatto beffe di chi si illude che le dittature possano essere abbattute soltanto col “potere morbido”. Serve, ovviamente. Ma servono di più un esercito efficiente e una leadership dotata di una politica antitotalitaria. Opporsi alla promozione della democrazia è legittimo, ma a patto che si individui l’alternativa.
7 Marzo 2006