Camillo di Christian RoccaMax ti voglio bene

Finalmente sono riuscito a capire Massimo D’Alema. Erano anni che tentavo di spiegarmi le sue continue giravolte di politica estera, un giorno cadetto di West Point, l’indomani pioniere del socialismo. Brancolavo, come si dice, nel buio. Salutavo con soddisfazione le sue posizioni più occidentali e tendevo a giustificare le sue cadute di stile su Israele e sugli Stati Uniti con le necessarie esigenze di opportunità politica di un leader innamorato della tattica e consapevole di essere il migliore. Mi sbagliavo. L’ho capito leggendo questo bel libro dello storico Silvio Pons dal titolo “Berlinguer e la fine del comunismo” (Einaudi). L’argomento è la politica estera del Pci, una politica volta al superamento dei due blocchi di Guerra fredda e alla disperata ricerca di un’improbabile terza via tra il totalitarismo sovietico e la socialdemocrazia europea che riuscisse a non rinnegare del tutto il primo e a non abbracciare completamente la seconda.
Il saggio non è un pamphlet polemico, ma una ricostruzione storica, direi simpatetica, basata su documenti, note e minute di riunioni poco conosciute o inedite. Ne viene fuori il romanzo di un fallimento ideologico, ma soprattutto il ritratto dell’inadeguatezza personale di Berlinguer e di un gruppo dirigente che, salvo eccezioni, prova timidamente a recidere il cordone ombelicale (e della borsa) con i sovietici, ma che fin dall’inizio sa bene di non poterci riuscire. E’ un libro quasi drammatico, feroce, proprio perché non prende posizione, ma si limita a far parlare i documenti che svelano un Berlinguer incapace di dare respiro internazionale alla sua visione. L’eurocomunismo di Berlinguer, qualsiasi cosa volesse dire, aprirà al Pci le porte del governo consociativo di Roma, ma non affascinerà e non convincerà nessuno oltre Chiasso, rimanendo una bizzarria italiana, una soluzione alle vongole, come l’odierno vasto programma bertinottiano di rifondare il comunismo. Pons mostra un Giorgio Napolitano alquanto audace nel suggerire toni forti contro Mosca e un Armando Cossutta che, di fatto, era più dirigente del Pcus che del Pci. In mezzo c’erano Berlinguer e la sua malinconica inadeguatezza. Il Segretario era tentato dallo strappo, ma sapeva anche di non poterlo portare a compimento perché senza le spalle (e le tasche) coperte da Mosca, il Pci sarebbe morto, tantopiù che considerava l’imperialismo americano il pericolo maggiore per l’umanità. Sicché quando Jimmy Carter ha inaugurato una politica centrata sulla promozione dei diritti umani, Botteghe Oscure ha rimpianto la Realpolitik di Henry Kissinger, come accade oggi con la dottrina democratizzatrice di Bush. Secondo Pons, questa radice antiamericana e antioccidentale dell’ideologia Pci è la chiave di lettura del fallimento berlingueriano. Ho capito che lo è anche dell’attuale, contraddittorio e inadeguato dalemismo.