Camillo di Christian RoccaNota per Fassino, in America il conflitto di interessi è libero

(Presidente, vicepresidente e parlamentari non devono nemmeno esibire la dichiarazione dei redditi)

 

Milano. Piero Fassino, a Porta a Porta, ha detto che il centrosinistra farà una legge sul conflitto di interessi per “separare nettamente l’interesse privato, del tutto legittimo, con il ruolo pubblico”. E ha concluso: “Io sono affezionato a una legge di tipo americano”. Bene. Qual è la legge di tipo americano? Sorpresa, non c’è. Negli Stati Uniti non c’è nessuna legge sul conflitto di interessi che impedisca al proprietario di aziende, azioni, imperi industriali o mediatici, di candidarsi a cariche pubbliche e di governo. Non solo: l’ipotesi non è neanche lontanamente presa in considerazione. Qualora un miliardario o un imprenditore, anche del mondo dell’informazione, venisse eletto non è obbligato né a vendere le sue proprietà né a metterle in un blind trust. Non è nemmeno obbligato a presentare la dichiarazione di redditi completa, come si fa in Italia. 

Il codice o codicillo
Negli Stati Uniti, la materia è regolata da un codice di “leggi etiche” di 90 pagine, disponibile presso l’United States Office of Government Ethics. Le norme non si occupano dei conflitti potenziali, piuttosto puntano sulla trasparenza e si limitano a sanzionare penalmente i comportamenti privati che confliggono con gli interessi pubblici. “Va segnalato – si legge nel report del 31 ottobre 2003 del Congresso degli Stati Uniti che fa il punto delle leggi americane sul conflitto di interessi – che non esiste alcuna legge federale che richiede espressamente a un particolare funzionario federale, o a una categoria di funzionari, di mettere i propri assets in un fondo cieco per esercitare un lavoro pubblico all’interno del governo federale”. Ancora: “I funzionari federali e gli impiegati non sono obbligati a dismettere i loro beni per evitare il conflitto di interessi. Piuttosto… i metodi principali di regolamentazione dei conflitti di interessi, a norma delle leggi federali, sono l’esclusione e la trasparenza (disclosure)”. Le leggi americane, dunque, non impediscono a priori a nessuno, neanche a un simil Berlusconi locale, l’elezione o la nomina a cariche politiche o di governo. Non forzano la vendita, non obbligano a mettere in un fondo cieco il proprio patrimonio. La legge americana prescrive esclusivamente “l’esclusione”, cioè la ricusazione, l’astensione dal partecipare a decisioni pubbliche che potrebbero favorire interessi privati, e poi la trasparenza, cioè rendere pubblici i propri interessi finanziari.
Ma, attenzione, l’obbligo di non partecipare alle decisioni pubbliche potenzialmente confliggenti con gli interessi privati vale soltanto per i funzionari di governo e per gli impiegati federali, non si applica né al presidente degli Stati Uniti né al vicepresidente né ai parlamentari di Camera e Senato né ai giudici federali (articolo 202, comma c del codice degli Stati Uniti). Ancora prima che questa esplicita esenzione fosse iscritta nel codice, era consuetudine consolidata escludere presidente e vicepresidente dalle norme sul conflitto d’interesse, per lo stesso motivo per cui non sono mai state applicate ai parlamentari: “Una ricusazione obbligatoria potrebbe, in teoria, interferire con i doveri di presidente e vicepresidente richiesti dalla Costituzione”, perché in democrazia è più importante l’interesse pubblico che gli eletti sono chiamati a perseguire, piuttosto che il potenziale conflitto con gli interessi privati.
Negli Stati Uniti, dunque, il potenziale conflitto di interessi del capo del governo e dello stato, del suo vicepresidente, dei senatori e dei deputati è così poco regolato da far apparire draconiana la legge Frattini approvata in Italia in questa legislatura. Gli eletti, a Washington, hanno soltanto l’obbligo di rendere noti i propri beni e i propri debiti. Punto. Tra l’altro, questo obbligo è meno rigoroso di quello equivalente previsto in Italia. I parlamentari e i ministri italiani devono depositare per legge la dichiarazione dei redditi, i loro colleghi americani no. Si limitano a farne un riassunto, indicando fonte e tipo dei propri guadagni, senza entrare nello specifico e senza rivelare l’esatto ammontare. La legge prevede nove categorie di entrate, così ampie e vaghe che le ultime due sono: “Più di un milione di dollari, ma meno di 5 milioni” e “oltre cinque milioni di dollari”. Di Bush, per esempio, si sa che ha interessi nel settore del “legname” che valgono tra i 10 e i 20 mila dollari. Quando nel 2003 si è scoperto che Dick Cheney aveva ancora interessi non dichiarati nella Halliburton, la società di cui è stato presidente e che è stata la principale beneficiaria degli appalti in Iraq, non è successo nulla dal punto di vista penale o sanzionatorio, proprio perché il presidente e il vicepresidente non sono perseguibili per violazione di conflitto di interessi.
Altra cosa è l’opportunità politica, ma quella è sanzionata dagli elettori non dalla legge. Così il magnate dei media Steve Forbes si è candidato alla Casa Bianca, esattamente come Ross Perot, mentre un pensierino l’ha avuto anche il patron della Cnn Ted Turner. Si candiderà l’ex governatore della Virginia, Mark Warner, fondatore della società di telecomunicazioni Nextel. Per non prestare il fianco a voci o ad accuse di conflitto di interessi, molti parlamentari affidano il proprio patrimonio a “blind trust” regolati dalla legge, i quali però consentono la vendita delle proprie azioni. I miliardari al Senato sono 45 (uno su tutti: Rockfeller), non tutti dotati di un fondo cieco. Bill Frist, nonostante il blind trust, ha venduto le azioni della società di suo padre prima di un ribasso in Borsa. L’inchiesta nei suoi confronti è per insider trading, non per conflitto di interessi. Mike Bloomberg è un magnate delle televisioni e dei servizi finanziari nella città che ospita il mercato azionario più importante del mondo, ma da sindaco non è stato costretto a vendere, né a ritagliarsi il ruolo di mero proprietario né, addirittura, a rendere note le sue dichiarazioni dei redditi. Se lo avesse fatto – ha detto lui stesso – avrebbe danneggiato il business delle sue società. Il suo predecessore democratico, Ed Koch, ha spiegato: “Bloomberg l’aveva preannunciato in campagna elettorale. Gli elettori sapevano e hanno accettato”. E’ questo il modello americano.

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