Camillo di Christian RoccaIl voto e gli interessi

L’ultima è questa: improvvisamente sarebbe diventato immorale e vergognoso e illiberale votare pensando al proprio interesse personale, quasi ci fosse motivazione più potente di questa oltre che più gravida di effetti benefici sia per il singolo sia per la società. L’indignata elaborazione ideologica è di due intellettuali seri, ma talvolta affini alla categoria dei “sinceri democratici”, il mitteleuropeo Claudio Magris e il mittelgranata Massimo Gramellini. Sul Corriere e sulla Stampa, ieri, hanno scritto che il vero insulto del Cavaliere non è stato l’aver dato di “coglione” a qualcuno, ma l’aver osato offendere chi si appresta a mettere una croce sulla scheda elettorale senza tenere conto del proprio interesse. E’ un principio “sovversivo”, ha scritto l’uno. “Una visione bottegaia”, ha spiegato l’altro. Gli antiberluscones sono buoni, mica votano per soddisfare i propri interessi, lo fanno per andare incontro a quelli degli altri e per il bene della società (e chissenefrega se questa ipocrisia ricorda la filastrocca bigotta di chi fa l’amore urlando “non lo fo per piacer mio, ma per dare un figlio a Dio”).
Magris e Gramellini hanno voluto perpetuare, nonostante alcune buone ragioni, la favola buonista dell’interesse generale da contrapporre a quello individuale, per cui pare che se voti il Caimano che ti promette meno tasse sei un mostro disumano, mentre se voti Pecoraro Scanio che promette di raffreddare la Terra o Bertinotti che giura di scaldare le lotte operaie sei un figo pazzesco. E’ come se fosse da addebitare alla volgarità di Berlusconi perfino l’antico adagio secondo cui le persone votano con “il cuore a sinistra e il portafoglio a destra”. Ecco, non c’è bisogno di recuperare polverosi testi liberali per rispondere che, da che mondo è mondo, è proprio l’interesse dei singoli a muovere le società fino al punto di far loro perseguire, quando vada bene, l’interesse generale. E’ la somma degli egoismi personali a costruire una società plurale, non la somma di inesistenti altruismi.
Le società vibrano di interessi particolari, si organizzano intorno a essi e sono sostenute dalla ricerca individuale della felicità, certo non da un virtuoso quanto inesistente disinteresse né da formule moraliste volte a instaurare il Paradiso in Terra. Al Parlamento inglese, Winston Churchill una volta ha detto che “non è corretto concepirci come un’Assemblea di gentiluomini che non hanno interessi di alcun tipo e legami di alcuna natura. E’ ridicolo. Potrebbe essere vero in Paradiso, ma non qui, per fortuna”. Tra l’altro sono proprio le società più individualiste, quelle fondate sul libero arbitrio della persona e sull’associazione volontaria, sia essa familiare o comunitaria, a essere le più solidali e compassionevoli, soprattutto quando la secolarizzazzione integrale non esclude Dio dalla vita pubblica. Tre americani su quattro fanno beneficenza e – malgrado, o forse grazie, allo Stato minimo e alla detassazione – sono proprio le associazioni private caritatevoli a battersi contro la povertà.
Il 9 aprile sulla scheda elettorale si troveranno due visioni di società diverse. Senza entrare nel merito delle singole proposte, Berlusconi offre contratti con gli elettori, patti fondati su una palese richiesta di voti in cambio del soddisfacimento di un interesse. Prodi, invece, intitola “Per il bene dell’Italia” il suo programma di governo e vuole “organizzare la felicità” degli italiani da un ministero centralizzato di Roma. Ora aprendiamo che non è elegante badare ai propri affari, ché alla salute pubblica ci penserà l’Ulivo. Gli Stati Uniti sono stati fondati sul principio del “no taxation without representation”, se non ci fate contare, non potete tassarci. Ma in democrazia vale anche quel corollario che fa: non ci potete rappresentare, se non ci fate curare il nostro interesse personale.

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