Milano. A Repubblica credono che i lettori abbiano scritto “giocondo” sulla fronte. Ieri è tornata sulla bufala Nigergate e, in prima pagina, ha titolato così: “Conferma dalla Cia: ‘I servizi segreti italiani dietro il Nigergate”. E’ falso. La Cia non ha confermato nulla, anzi ha smentito. Nessuno, poi, ha pronunciato quella frase che Repubblica ha sparato tra virgolette. A pagina 17 c’è un’altra balla titolata a tutta pagina: “Nigergate, la Cia conferma: ‘C’è il Sismi dietro quelle carte”. Falso. La Cia non ha confermato nulla di ciò che scrive Repubblica, tantomeno la barzelletta Nigergate già smentita dal governo italiano e americano, dall’Fbi, da commissioni indipendenti americane e inglesi, da un’inchiesta della magistratura di Roma e, all’unanimità, dal Parlamento italiano.
L’ultima manipolazione dei republicones nasce da “60 minutes”, la prestigiosa trasmissione della Cbs in crisi di credibilità da quando è stata colta in flagrante a diffondere documenti falsi contro Bush in piena campagna elettorale per la Casa Bianca. L’operazione di ieri è questa: scottata dalle clamorose rivelazioni del Sunday Times ovviamente censurate, Repubblica ha pensato bene di rifarsi prendendo una breve dichiarazione di un ex alto dirigente della Cia, Tyler Drumheller, trasmessa dalla Cbs domenica scorsa, spacciandola come fosse una conferma della Cia. Per conoscere la verità, basta leggere il più corretto New York Times, certo non un giornale favorevole a Bush, dove c’è scritto che la Cia – attraverso il suo portavoce Paul Gimigliano – ha chiaramente detto che “Tyler Drumheller è un ex impiegato che esprime le sue opinioni personali”. Sul Washington Post, un altro portavoce della Cia, Tom Crispell, è stato ancora più netto e ha spiegato che “le dichiarazioni di Drumheller non rispecchiano ciò che pensa l’Agenzia”. Va notato, inoltre, che nel riferire le dichiarazioni dell’ex agente Cia alla Cbs, né il Washington Post né il New York Times hanno fatto alcun riferimento al Nigergate, ai servizi italiani, al tentativo saddamita di acquistare uranio dal paese centroafricano. Il motivo è semplice: le dichiarazioni di Drumheller in tv riguardavano essenzialmente altro, ovvero la testimonianza dell’ex ministro degli Esteri iracheno, diventato spia americana, a proposito dell’inesistenza in Iraq di “programmi attivi di armi di distruzione di massa”. Drumheller ha raccontato di aver fatto notare la soffiata, ma di aver ricevuto questa risposta: “L’Iraq non è più una questione di intelligence, ma di cambio di regime”. Scandalo? I republicones non si rendono conto che in questa frase c’è la conferma di quanto il Foglio, essendosi limitato a riportare i discorsi di Bush, scrive dal 2002, cioè che oltre alle armi e ai legami con Al Qaida, l’altro grande motivo dell’intervento in Iraq – probabilmente il principale – era proprio quello del regime change.
Quanto al merito delle accuse di Drumheller rilanciate da Repubblica e sintetizzabili con un “la Cia aveva avvertito che non c’erano prove, ma la Casa Bianca ha fatto finta di niente”, si può ricordare la famigerata frase di George Tenet pronunciata nello Studio Ovale della Casa Bianca secondo cui trovare le armi irachene sarebbe stato una “slam dunk”, un gioco da ragazzi, oppure citare l’inchiesta bipartisan del Senato americano che smentisce l’idea che l’intelligence di Washington, anche riguardo alla vicenda Niger, fosse contraria all’uso politico di quelle informazioni (“conclusioni 12”, “13” e “19” alle pagine 72, 73 e 77 del Rapporto del Senato). Il Washington Post, peraltro, ha raccontato che l’ex ministro degli Esteri di Saddam non si è limitato a dire agli americani che l’Iraq non aveva “programmi nucleari attivi”, ma ha spiegato che “il dittatore ambiva a un programma nucleare” e, soprattutto, che Saddam aveva nascosto “le armi chimiche, distribuendole ad alcune tribù fedeli”.
Tornando ai documenti falsi che Repubblica addebita al Sismi e all’aiuto che il governo italiano avrebbe voluto dare a Bush fornendogli il dossier patacca (ma che aiuto è?!?), dalla trascrizione del programma Cbs si nota come il giornalista dica che il dossier patacca è arrivato in mano statunitense soltanto nell’ottobre 2002, attraverso Panorama che l’ha consegnato all’ambasciata americana di Roma. Questa semplice verità, ribadita dalla Cbs ma omessa da Repubblica, smonta l’intera ricostruzione dei republicones. Secondo loro l’intelligence italiana avrebbe passato agli americani il falso dossier poche settimane dopo l’11 settembre. La tesi è stata ripetuta alla Cbs dall’ex spia Drumheller, il quale però si basa su una semplice supposizione nemmeno personale, ma di un suo sottoposto. Ma è falsa, come hanno potuto verificare con i loro stessi occhi i parlamentari di destra e di sinistra, italiani e americani, che in due diverse situazioni e in due diversi contesti hanno visto e letto il report italiano inviato dal Sismi su richiesta della Cia, poco dopo l’11 settembre. Quelle carte, hanno detto al Foglio i parlamentari che le hanno viste, provano il contrario della tesi di Repubblica e ora dell’ex spione: il Sismi ha inviato agli americani un rapporto (non i documenti) pieno di caveat, di avvertenze e cautele ribadite qualche settimana dopo, quando la Cia ha chiesto ulteriori delucidazioni.
Delle due pagine di Repubblica resta l’accusa non circostanziata di un’ex spia della Cia, il quale dice esplicitamente di non essere a conoscenza diretta dei fatti: “Non mi ricordo nemmeno tutti i dettagli – ha detto alla Cbs Drumheller – perché era una cosa poco importante”, anche se la cosa è diventata “enorme” quando Bush ne ha parlato nel discorso sullo Stato dell’Unione.
L’inchiesta censurata del Sunday Times
Eppure Bush ha parlato di un tentativo iracheno di acquistare uranio in Africa che risultava al governo inglese. Attenzione: “tentativo”, non “acquisto” come avrebbero dovuto provare i documenti falsi. Già qui c’è la prova che il dossier patacca non è mai stato utilizzato. La commissione indipendente inglese presieduta da Lord Butler ha confermato che le parole di Bush erano “ben fondate” e che non c’entravano nulla col dossier falso fabbricato in Italia dall’agente francese Rocco Martino. Però Bonini e D’Avanzo, citando l’ex spia anti Bush che non ricorda tutti i dettagli di una storia considerata a lungo come insignificante, dicono che non è così e spiegano che gli inglesi hanno “la stessa robaccia distribuita dagli italiani”. Prove? Nessuna. Repubblica non dà invece notizia che gli inglesi di ogni ordine e grado continuano a dire che la loro prova è diversa da quella fabbricata in Italia. In realtà, nemmeno l’ex alto dirigente della Cia è sicurissimo al cento per cento di ciò che dice, tanto che alla domanda della Cbs – “crede che i britannici avessero qualcosa che noi non avevamo?” – ha risposto: “No, penso che non ce l’avessero”. Intorno a questa frasetta formulata in forma poco assertiva e in un momento precedente alla rivelazione del Sunday Times, i repubblicones si dicono certi che l’intelligence britannica possegga “la stessa robaccia italiana”. Come facciano a dirlo non si sa. Tanto più che un’inchiesta ufficiale ha raccontato qual è la prova vera sui traffici saddamiti in Niger. Una prova raccolta dall’intelligence francese e giudicata veritiera e affidabile ancora oggi sia dai francesi sia dagli inglesi sia dall’agenzia atomica dell’Onu. Si tratta di una lettera che prova un viaggio in Niger dell’uomo di Saddam per le questioni nucleari, viaggio su cui l’ex ambasciatore Joe Wilson non ha indagato nella famosa missione in Niger che ha dato origine al Ciagate. Non è una ricostruzione dei giornali della cospirazione neocon, ma un’inchiesta che cita fonti Nato condotta da Michael Smith del Sunday Times, il giornalista contrario alla guerra in Iraq che in passato ha svelato il Downing Street Memo che ha messo in imbarazzo Bush e Blair. Un giornalista, quello, che fa scoop veri.