Milano. Quel poco che restava del Nigergate tanto caro a Repubblica è naufragato sotto i colpi delle clamorose rivelazioni del Sunday Times di Londra e di Slate, la rivista online del gruppo Washington Post. Ora si conoscono i nomi e le motivazioni di chi ha fabbricato il dossier che conteneva un finto contratto di acquisto di uranio nigerino da parte di Saddam Hussein. Si ha la certezza che l’ex poliziotto Rocco Martino fosse al servizio dei francesi, non degli italiani. Si intuisce che intorno a questo caso che risale al 2000, cioè a ben prima della guerra in Iraq e dell’11 settembre, si sia sovrapposto un successivo tentativo ben riuscito di depistaggio nei confronti di una notizia che ora scopriamo essere vera, verificata e ancora oggi confermata dai servizi francesi e inglesi. La notizia è questa: Saddam tentò davvero di comprare l’uranio dal Niger, inviando a questo scopo nella nazione centroafricana Wissam al-Zahawie, il suo ex rappresentante all’Agenzia atomica dell’Onu e alle conferenze sulla non proliferazione delle Nazioni Unite. Il contratto non si è mai formalizzato, ma il tentativo c’è stato e ci sono le prove documentali. L’ex ambasciatore anti Bush, Joe Wilson, al centro del Ciagate che ha sconquassato Washington, inviato in Niger dalla Cia e da sua moglie Valerie Plame per indagare sulla vicenda non se ne era accorto e ora è costretto a balbettare risposte evasive durante i talk show televisivi americani.
Il Sunday Times, citando fonti Nato molto vicine a un’inchiesta ufficiale sul Nigergate, per la prima volta svela che esiste una lettera del 2000, ottenuta dai servizi francesi nel 2002 ma non attraverso Rocco Martino né attraverso i fabbricatori del falso dossier, che parla esplicitamente del viaggio in Niger dell’uomo di Saddam proprio per acquistare l’uranio. Questa lettera – soltanto questa lettera, non il dossier falso tanto caro a Repubblica – è alla base delle famose 16 parole pronunciate da George W. Bush nel discorso sullo Stato dell’Unione del gennaio 2003. In quell’occasione, Bush disse che al governo britannico risultava che l’Iraq avesse cercato di acquistare uranio da alcuni paesi africani. L’interpretazione dell’ex ambasciatore Joe Wilson, e poi di Repubblica e di un paio di giornalisti radical assunti dalla Cbs dei falsi scoop anti Bush, è quella che il presidente americano abbia fatto quelle affermazioni sulla base dei documenti falsi cucinati a Roma e diffusi con la complicità del Sismi per fare un favore agli amici neocon di Washington. Il Foglio ha più volte dimostrato per tabulas, oltre che per logica, come la ricostruzione di Repubblica non stesse in piedi (dimostrazione poi condivisa dai Ds, dalla Margherita e da Rifondazione comunista che con il senatore trotzkista Luigi Malabarba ha addirittura definito “favolistici” gli articoli di Repubblica).
Una lettera del 2000
Fin qui non sono bastate le tante e contraddittorie versioni offerte da Wilson, né le inchieste bipartisan americane né tutte le smentite possibili e immaginabili. Non sono servite nemmeno le conclusioni della Commissione inglese Butler che ha spiegato a chiare lettere come le parole di Bush che facevano riferimento alle indicazioni dell’intelligence britannica non nascessero dai falsi documenti “italiani”, ma da altre prove in possesso del governo inglese e pervicacemente giudicate “ben fondate”. Fin qui, però, restava un punto interrogativo: quale fosse questa prova in mano agli inglesi e considerata “ben fondata”. Il Sunday Times, finalmente, l’ha svelata: è la lettera del 2000 in cui si parla del viaggio in Niger di Wissam al-Zahawie. Una prova che non nasce a Roma né a Washington. Una prova, piuttosto, raccolta e rivendicata dall’intelligence francese, quindi dai servizi di un paese contrario all’intervento in Iraq. Una prova che i francesi continuano a considerare attendibile e veritiera. La Dgse di Parigi, nel 2002, ha passato il documento che provava l’interesse attivo di Saddam per l’uranio all’MI6 di Londra con l’obbligo di non mostrarlo a nessun altro servizio di intelligence, perché avrebbe messo a rischio la vita della fonte (una procedura comune tra i servizi). Anche gli ispettori dell’Aiea hanno visto la lettera, sia pure attraverso il funzionario francese e al chiuso degli uffici della delegazione di Parigi, giudicandola vera, al contrario del dossier cucinato in Italia. Gli inglesi si sono limitati a trasmettere un sunto della lettera alla Cia, da qui è finita nello Stato dell’Unione di Bush. In due parole: Bush non ha mentito e la prova che Saddam ha cercato di acquistare l’uranio del Niger è stata fornita dalla Francia e confermata dall’Agenzia nucleare dell’Onu.
Lo scoop del Sunday Times è di Michael Smith, un giornalista inglese ferocemente anti Bush. Questo per dire che non lo si può accusare di essere al servizio della Casa Bianca. Smith ha svelato i nomi dei due funzionari dell’ambasciata nigerina di Roma che hanno preparato i falsi documenti. Sono un’italiana e un diplomatico nigerino. L’italiana, fin qui conosciuta come “la signora”, si chiama Laura Montini, assistente dell’ambasciatore nigerino. L’altro è il console Adam Maiga Zakariaou.
Le cose sono andate così. Un agente Sismi, Antonio Nucera, trasferito a un altro incarico, nel febbraio 2000 ha messo in contatto la sua ex fonte Laura Montini, che in passato aveva fornito al Sismi il cifrario dell’ambasciata, con l’ex agente Rocco Martino, per fare un favore alla “signora” in cerca di denaro ora che Nucera, trasferito ad altro incarico, non era più in grado di aiutare. Dal 1996, ha scritto il Sunday Times, Martino era una spia francese, sotto la guida del capo stazione della Dgse di Bruxelles che lo pagava circa 2.000 euro il mese. La Montini è diventata sub-agente di Martino per 500 euro il mese. I francesi cercavano notizie sui movimenti di uranio in Niger. Da quel momento, la Montini e Martino hanno fornito documenti ai francesi, compreso uno sulla visita di al-Zahawie in Niger (ma non quello più consistente trasmesso dai francesi agli inglesi). I servizi di Parigi hanno chiesto a Martino ulteriori informazioni e promesso parecchi soldi se fosse riuscito a ottenere una copia del contratto di vendita tra Saddam e il Niger. Attirata dal denaro, insieme con il console, la Montini ha costruito il falso contratto quasi certamente tenendo all’oscuro Martino. Martino poi ha passato il contratto bufala ai suoi capi francesi. Secondo il giornalista del Sunday Times, i francesi hanno detto subito al loro uomo che il contratto era falso. Ma fonti di intelligence dicono al Foglio che dall’inchiesta si evince che Martino è venuto a sapere della bufala soltanto all’inizio del 2003, cioè mesi dopo aver tentato di venderli a una giornalista di Panorama e nel nuovo contesto della guerra al terrorismo.
Qui arriva l’interpretazione di Christopher Hitchens su Slate. Nel 2000 i francesi entrano in possesso sia di documenti falsi sia di documenti veri sul tentativo iracheno di acquisto di uranio nigerino. Dopo l’11 settembre, e nei mesi precedenti l’intervento in Iraq, passano agli inglesi la lettera vera, ma consentono a un loro agente di nazionalità italiana, Martino, di diffondere un dossier palesemente falso che, se scoperto, avrebbe certamente alzato un polverone intorno al vero tentativo iracheno di procurarsi l’uranio, lasciando peraltro impronte “italiane” e non francesi. Panorama non c’è cascato, altri organi di stampa sì.