Milano. Ventidue anni fa lo studioso libertario Charles Murray pubblicò “Losing Ground”, un rivoluzionario saggio dove sosteneva che il welfare state non favoriva, anzi danneggiava, i più poveri e i meno avvantaggiati, oltre che contribuire al disastro morale della società. I critici bollarono il libro di estremismo reazionario, lo giudicarono totalmente irrealistico e fuori sincrono con la realtà politica americana. Sbagliarono. Alcuni anni dopo, prima a livello statale, poi al Congresso di Washington e con la firma di Bill Clinton, sono state approvate corpose riforme del welfare state che hanno sostituito gli assegni spettanti di diritto con meccanismi di pagamento legati al reale svolgimento di un lavoro. Sebbene le proposte di Murray, come ha recentemente ricordato Michael Barone, fossero più radicali delle riforme realizzate negli anni 90, “Losing Ground” ha aperto la strada ed è tuttora considerato uno dei libri più influenti degli ultimi decenni. Ora Murray ha scritto un altro saggio, ancora più utopistico. S’intitola “In Our Hands: A Plan to Replace the Welfare State” ed esce in un momento in cui ogni tentativo di riformare il sistema pensionistico e sanitario americano non riesce a ottenere né il favore dell’opinione pubblica né quello di una maggioranza parlamentare, malgrado tutti prevedano la bancarotta nel giro di qualche decennio.
La soluzione di Murray è questa: abolire i programmi federali che oggi forniscono pensioni, sanità e assistenza varia (Social Security, Medicare, Medicaid), sostituendoli con un assegno annuo di 10 mila dollari (rivalutabili con l’inflazione) da assegnare a ogni singolo americano che abbia già compiuto 21 anni. L’idea dell’assegno è presa in prestito da Milton Friedman, ma anche da una vecchia idea dei laburisti inglesi, i quali però non pensavano di sostituire il welfare state. Lo stato assistenziale americano, sostiene Murray, non può sopravvivere. L’America non si può permettere di portare la spesa per il welfare dall’attuale 9 per cento del prodotto interno lordo al 28 per cento che nel 2050 si renderà necessario per fornire i servizi promessi. Murray propone di azzerare tutto, di ricominciare daccapo, anche perché il risultato di questa enorme spesa pubblica resta quello di 45 milioni di americani non coperti da un’assicurazione sanitaria e di 36 milioni di persone che vivono al di sotto della linea di povertà. Col piano di Murray costoro avrebbero le risorse per il riscatto.
Oggi gli americani inviano i soldi delle tasse a Washington. Le burocrazie federali li gestiscono tra un dipartimento e l’altro, trasformando ciò che rimane in servizi assistenziali da restituire ai cittadini. Secondo Murray sarebbe meglio che il governo federale raccogliesse le tasse, le dividesse e le restituisse sotto forma di assegno annuo da diecimila dollari a ogni americano maggiorenne. Se un ventunenne investisse duemila dollari l’anno in un fondo, dopo 45 anni, cioè nel giorno della pensione, avrebbe 253 mila dollari, ovvero una rendita annuale di 20.500 dollari. E, questo, immaginando il peggior andamento storico in un periodo così lungo (quello dal 1887 al 1932). Stessa cosa sulla sanità: con 3 mila dollari l’anno si ottiene una polizza sanitaria che copre tutto il necessario. Il piano di Murray costerebbe 355 miliardi di dollari in più dell’attuale sistema, ma solo il primo anno. Nel 2011 costerebbe quanto l’attuale sistema, mentre nel 2020 peserebbe alle casse federali 500 miliardi di dollari in meno ogni anno.
Incoraggia la responsabilità individuale
Ma non è solo il costo esorbitante dell’attuale welfare a convincere Murray ad abolire lo stato assistenziale. Il suo piano incoraggia la responsabilità individuale, l’associazione volontaria e la solidarietà per chi è in difficoltà, causando effetti benefici a cascata per la società. La virtù è un’abitudine, sostiene Murray, che non fiorisce perché ai nostri figli diciamo in astratto di essere onesti, solidali e generosi. La virtù fiorisce, piuttosto, nelle società libere dove i bisogni umani non sono affidati a una burocrazia statale, ma nelle società dove sono parte integrante della vita quotidiana. “La soluzione è di far tornare la responsabilità delle nostre vite nelle nostre mani – nostre come individui, nostre come famiglie, nostre come comunità”.