Massimo D’Alema è il principale candidato del centrosinistra sia alla presidenza della Repubblica sia al ministero degli Esteri. In entrambi i casi, sulle questioni di difesa e di sicurezza, D’Alema potrebbe svolgere un ruolo bipartisan e autonomo rispetto ai polverosi meccanismi della politica italiana. Al Quirinale guiderebbe il Consiglio supremo di difesa, alla Farnesina condurrebbe una politica estera di sinistra più svincolata dall’asse tecnocratico franco-tedesco. C’è da notare come l’unica cosa su cui il governo Berlusconi e il primo governo italiano guidato da un ex comunista sono stati d’accordo è stata proprio l’idea di intervenire, anche con le armi, per cambiare un regime, sanare un’ingiustizia e contemporaneamente perseguire i propri interessi nazionali. Lo ha fatto il governo D’Alema in Kosovo e in Albania, grazie anche al voto dei parlamentari del centrodestra. Lo ha fatto Berlusconi in Afghanistan e in Iraq, anche senza il sostegno del centrosinistra.
Fosse eletto capo dello stato, Massimo D’Alema dovrebbe dirimere una volta per tutte la questione dell’articolo 11 della Costituzione, da lui aggirato ai tempi dell’intervento in Kosovo. La vulgata di sinistra sostiene che l’articolo 11 si fermi alla prima frase, quella che dice: “L’Italia ripudia la guerra”. In realtà l’articolo continua e dice che “l’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli”. Ovviamente liberare un popolo dal suo oppressore non offende la libertà di altri popoli, piuttosto la difende. Ma c’è un’altra questione, avanzata anni fa da Adriano Sofri: “La Costituzione italiana vuole che l’Italia ripudi la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali, e fa bene. Ma è una ‘controversia internazionale’ la pulizia etnica del Kosovo” o qualsiasi altra violazione di diritti umani su scala nazionale? D’Alema riuscirà a spiegare queste due semplici cose al valoroso popolo della sinistra?
Seconda domanda. L’ipotesi è che D’Alema vada alla Farnesina. Da anni il suo schieramento, malgrado la corposa eccezione della guerra in Kosovo, invoca la legittimazione delle Nazioni unite per gli interventi in un paese straniero. La questione adesso è questa: a fine anno scade il mandato Onu per la presenza della coalizione internazionale in Iraq, ma la risoluzione del novembre 2005 prevede che il 15 giugno il Consiglio di sicurezza ascolterà il nuovo, legittimo e costituzionale governo iracheno per fare il punto della situazione. Come è probabile, gli iracheni chiederanno alla comunità internazionale un’estensione del mandato Onu fino a tutto il 2007. A quel punto, di fronte a una richiesta esplicita del governo democratico iracheno e delle Nazioni unite di restare in Iraq, il governo italiano che cosa farà? Ritirerà ugualmente le truppe voltando le spalle alla risoluzione Onu e alle richieste d’aiuto del primo governo democratico arabo?
Terza domanda: Hamas e Ahmadinejad. La comunità internazionale, asse del male a parte, ha deciso di non finanziare l’organizzazione terroristica che difende le stragi di civili e non riconosce lo stato d’Israele. Massimo D’Alema seguirebbe questa intransigente linea d’azione comune oppure aprirebbe spiragli al dialogo con Hamas come di recente è scappato a Prodi e come ha fatto lui stesso in un’intervista su Internet di qualche mese fa? Sull’Iran, poi, ora che l’Agenzia atomica Onu ha accertato tre anni di violazioni di un paese la cui leadership parla di cancellazione dello stato di Israele e alla vigilia di una risoluzione del Consiglio di sicurezza, la politica estera dalemiana farà finta di non vedere il pericolo dei turbanti atomici oppure spiegherà la minaccia di un paese islamista dotato dell’atomica?
Quarta domanda. Parecchi intellettuali liberal americani e i maggiori candidati del partito democratico alle presidenziali del 2008, con tutti i distinguo del caso rispetto all’amministrazione Bush, non cedono di un millimetro sulla necessità di combattere la guerra al terrorismo e vincere in Iraq. La stessa cosa fa Tony Blair, il leader che Pietro Folena voleva espellere dall’Internazionale socialista. Può un partito democratico italiano discostarsi da questo solco?
Quinta e ultima domanda: caro D’Alema ha letto il “Manifesto di Euston”?
3 Maggio 2006