Camillo di Christian RoccaI guru afroamericani scaricano Obama perché è troppo bianco per essere nero

Milano. C’è grande entusiasmo attorno alla probabile candidatura alla Casa Bianca di Barack Obama, tranne che tra gli afroamericani. I bianchi vanno pazzi per il senatore nero dell’Illinois, mentre quella che dovrebbe essere la sua base elettorale resta fredda, in alcuni casi gelida. Barack Obama è nero, e tale orgogliosamente si definisce, ma non tutti i leader afroamericani sono d’accordo. Il colore non è un’opinione, ma il senatore è figlio di un ex studente africano del Kenya e di una donna bianca del Kansas. E’ cresciuto alle Hawaii con i nonni bianchi, lontano dal padre, poi è andato a vivere in Indonesia con la madre e il suo nuovo compagno, frequentando le migliori scuole e, poi, di nuovo in America, una grande università. Obama è, insomma, per metà d’origine africana e per l’altra del mid-west, non è parte della tradizione nera e del retaggio afroamericano degli Stati Uniti.
“Non è nero nel modo tradizionale”, ha scritto il saggista del New York Times Scott L. Malcomson. “Non è stereotipicamente afroamericano”, ha aggiunto New Republic. La sua radice etnica è estranea alla dolorosa era della schiavitù dei neri d’America, non ha mai vissuto la stagione repressiva della segregazione, non si è formata nella dura battaglia per i diritti civili. Obama non ha nulla nemmeno del classico politico nero americano, non è stato addestrato a predicare nelle chiese, non parla con quel tipico stile messianico, piuttosto si è laureato in legge a Harvard e sembra un avvocato metropolitano.
Ai più importanti leader della comunità nera d’America, questa cosa non piace, viene vista con sospetto, a maggior ragione per il fatto che i bianchi si sentono rassicurati dal suo essere un nero che si comporta, si veste e parla come un bianco. A loro non può andare giù il fatto che per i bianchi Obama sia il nero dei sogni, un uomo realizzato e di successo che consente di superare l’atavico senso di colpa della segregazione.
E’ questo il motivo per cui il senatore dell’Illinois non viene accusato di essere “lo schiavo che vive nella casa dei padroni”, cioè di essersi venduto, come disse un paio d’anni fa Harry Belafonte a proposito di Colin Powell e Condi Rice. Il punto è che, al di là del colore della sua pelle, Obama è considerato più bianco che nero, con un ribaltamento dell’antica regola razzista, “the one-drop rule”, secondo cui nell’America segregazionista si diceva bastasse una sola goccia di sangue nero per considerare negra una persona.
Il più esplicito è stato l’editorialista del Daily News, Stanley Crouch, storico esponente della comunità nera d’America: “Obama non è nero come me”, ha scritto. Secondo Crouch, Obama non ha mai vissuto la vita di un americano nero, “sicché quando i neri d’America dicono che lui è ‘come noi’ non capisco di che cosa stiano parlando”. Il suggerimento a Obama è di lasciar perdere il colore della sua pelle e di candidarsi da “figlio di una donna bianca e di un immigrato africano”, anche perché “se, alla fine, riuscirà a diventare il nostro primo presidente nero, sarà entrato alla Casa Bianca da una porta laterale”. Il columnist nero del New York Times, Bob Herbert, ha consigliato al senatore di non candidarsi, sospettando che dietro tutta questa gran voglia di Obama che si vede in giro ci possa essere un’oscura manovra dei repubblicani per avere un candidato facile da battere nel 2008.
Il reverendo Jesse Jackson, il leader politico della comunità afroamericana, e più volte candidato alla presidenza, ha rifiutato esplicitamente di sostenere la candidatura di Obama, a una riunione politica di New York: “Non focalizziamoci sui nomi, ci sono molti amici tra i candidati”. L’altro reverendo, Al Sharpton, pensa di candidarsi anche lui alle primarie democratiche, per la gioia di Hillary Clinton che, così, potrà sfruttare la divisione del voto afroamericano: “Sentiamo molte chiacchiere sui media – ha detto Sharpton al Times con il suo modo sempre immaginifico a proposito della candidatura di Obama – ma io ancora non vedo ciccia, non vedo molti contenuti, credo che quando la carne verrà messa sul fuoco, capiremo se c’è soltanto grasso oppure se c’è anche della vera carne”. Anche Harry Belafonte non è affatto convinto di Obama: “Non sappiamo ancora chi è veramente”. Probabilmente “sono gelosi”, insinua il Times citando un anonimo stratega democratico: “Sono stati in trincea per decenni e ora si vedono arrivare il figlio di un imprenditore kenyota che sta già misurando i drappi dello Studio Ovale”. Ma per entrare davvero alla Casa Bianca, Obama dovrà raccogliere il fardello dell’uomo nero e provare a superare le divisioni razziali.

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