Camillo di Christian RoccaIl fronte interno

Milano. Ora che c’è il nuovo piano per l’Iraq e i primi rinforzi sono già partiti per Baghdad, George W. Bush e la sua amministrazione sono impegnati nella difficile operazione di convincere l’opinione pubblica americana. Ieri Condoleezza Rice e Bob Gates, cioè i capi della diplomazia e dell’esercito americani, sono andati a Capitol Hill, sede del Congresso, ma anche in televisione, a spiegare le novità della strategia irachena annunciata mercoledì sera da George W. Bush. Gates, inoltre, ieri ha annunciato un piano per ampliare di 92 mila uomini la forza complessiva dell’esercito americano (65 mila soldati, 27 mila marines).
I più scettici, ovviamente, sono i democratici, nel cui caucus si trova soltanto un sostenitore convinto del piano Bush: il senatore Joe Lieberman. Divisi anche i repubblicani, i quali dovranno fare i conti con almeno sei senatori (su 49) contrari al rilancio dell’impegno americano in Iraq. Tra costoro ci sono il veterano del Vietnam Chuck Hagel, sodale di Colin Powell e avversario della dottrina Bush fin dal primo giorno, e un paio di senatori che l’anno prossimo si giocano la rielezione in stati liberal o divisi a metà, ma anche il campione della destra religiosa, Sam Brownback, candidato evangelico alla Casa Bianca 2008.
Il discorso di Bush ha costretto i candidati presidenziali dei due partiti a schierarsi: i due front runners repubblicani, ma anche il numero 3, cioè John McCain, Rudy Giuliani e Mitt Romney, hanno accolto calorosamente il discorso di Bush (ma McCain si chiede se il numero delle truppe sia sufficiente). Tra i democratici la situazione è più fluida: sono tutti contrari alle proposte di Bush, ma soltanto i due candidati più di sinistra, John Kerry e John Edwards, propongono di bloccare al Congresso il finanziamento della nuova missione, così come indicato dal senatore Ted Kennedy. I due favoriti, Hillary Clinton e Barack Obama, ma anche il senatore Joe Biden, sono molto più cauti e si limitano a esternare la loro contrarietà, senza però fare le barricate. Questa, in sintesi, è la posizione anche dei leader democratici al Senato e alla Camera, anche se alla House la fronda radicale è meno disposta a votare una semplice risoluzione senza alcun effetto vincolante. Tra l’altro l’ipotesi di votare no soltanto all’invio dei nuovi 21.500 soldati, mantenendo i finanziamenti alle truppe già presenti in Iraq, non tiene conto che prima che Bush invii al Congresso le richieste economiche e che i deputati esaminino la questione i nuovi soldati saranno già tutti impegnati in battaglia a Baghdad.
In generale i democratici più responsabili sembrano non essere in grado di individuare una strategia alternativa a quella di Bush, perché consapevoli che sia il ritiro immediato sia un ordinato ridimensionamento della missione sarebbero piani di attenuazione degli effetti di una sconfitta, non proposte per tentare di vincere. Tra l’altro dovessero riuscire nell’impresa di fermare Bush, sarebbero immediatamente co-responsabili della sconfitta militare con effetti negativi sulle elezioni del 2008. Ecco perché Ted Kennedy ha detto che i democratici avrebbero bisogno di un vero leader che non sia impegnato nella corsa alla Casa Bianca.
Il rigetto della linea Baker-Hamilton
Ma al di là del numero delle truppe e delle nuove regole d’ingaggio, il piano di Bush sembra decisamente più aggressivo nei confronti delle potenze regionali che sono alla base del caos iracheno, l’Iran e la Siria, rigettando così anche ufficialmente il principale suggerimento della Commissione Baker. Bush ha detto di aver inviato altre forze navali nella regione e ha spiegato che fermerà le iniziative iraniane a favore dei terroristi e contro le forze americane. Ieri, a Erbil, le truppe americane hanno arrestato sei agenti iraniani, mentre Condi Rice – rifiutandosi di escludere l’opzione militare – ha avvertito Teheran che le interferenze iraniane in Iraq “non saranno tollerate”.
L’analisi dell’esperto militare del New York Times, Michael Gordon, spiega che le possibilità di successo del piano Bush dipendono dalla reale volontà del governo iracheno guidato da Maliki di porre fine alla guerra settaria, un’ipotesi a cui non crede l’editorialista neoconservatore del Times, David Brooks. Altre volte tentativi simili sono falliti, ma secondo Gordon erano mal finanziati e avevano pochi uomini a disposizione. Col nuovo piano, a Baghdad ci saranno 29 mila americani, invece di 15 mila, e 20 mila soldati iracheni, invece di 9.600.

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