Camillo di Christian RoccaMr. Mastella in America non potrebbe proibire un'opinione, soltanto perché sgradevole

Milano. Negli Stati Uniti l’ipotesi di una legge Mastella che punisce l’apologia dei crimini contro l’umanità è costituzionalmente impossibile, sia a livello federale sia statale. Una legge di questo tipo è proibita, senza tanti giri di parole, dalle prime e chiarissime due righe del primo emendamento della Costituzione federale: “Il Congresso non potrà fare alcuna legge… per limitare la libertà di parola o di stampa”. Il caso è chiuso qui. La diffusione di idee, anche le più detestabili, come il razzismo o la negazione dell’Olocausto, è permessa e garantita. Un esempio su tutti: l’ex leader del Ku Klux Klan, David Duke, è stato eletto deputato nello Stato della Louisiana e si è candidato due volte a presidente degli Stati Uniti, oltre che a governatore e a senatore di Washington. Duke propone la segregazione razziale, promuove l’eugenetica ed è un antisemita militante, tanto da essere stato l’ospite d’onore alla famosa Conferenza sull’Olocausto di Teheran organizzata da Mahmoud Ahmadinejad.
Il primo emendamento della Costituzione – che garantisce anche la piena libertà religiosa – è il pilastro del “freedom of speech” americano. A differenza dei paesi dell’Europa continentale, quelli anglosassoni sono regolati dalla common law, cioè da un diritto consuetudinario e non positivo. Sicché le eccezioni americane a questa libertà pressoché totale di espressione del pensiero sono state decise dalle sentenze della Corte suprema. Secondo i giudici costituzionali, per esempio, il primo emendamento non protegge l’oscenità, la pornografia infantile e nemmeno “l’espressione commerciale”, cioè la pubblicità. In questi casi il Congresso può intervenire, restringere e regolare.
C’è anche un altro tipo di espressione del pensiero che i giudici hanno vietato, più simile al caso della legge Mastella, quello che “promuove l’uso della forza o della violazione della legge nel caso in cui questa promozione sia diretta a incitare o a produrre imminenti azioni illegali ed è probabile che inciti o produca tali azioni”. Ma anche in questo caso estremo di limitazione del diritto di parola si può notare la differenza tra l’ipotesi del governo italiano e il sistema americano. Nelle parole di una famosa opinione del giudice Oliver Wendell Holmes, ai primi del Novecento, “la più rigorosa protezione della libertà di espressione non protegge un uomo che falsamente urla ‘al fuoco’ in un teatro causando panico… La domanda in ogni caso è se le parole usate creano un pericolo chiaro e attuale”. In quel caso specifico la Corte aveva deciso per l’illegalità della distribuzione di volantini contrari alla leva obbligatoria durante la Prima guerra mondiale, perché costituiva “un pericolo chiaro e attuale” per la campagna di reclutamento bellico dello stato. In seguito questa sentenza è stata ribaltata, facendo rientrare nella protezione del primo emendamento anche l’aperta contrarietà alle politiche belliche del governo. Ma nel 1968 la Corte ha dato torto al pacifista David O’Brien che era stato condannato per aver bruciato la cartolina di arruolamento. Secondo i giudici, invitare alla diserzione è lecito, bruciare un documento governativo non rientra nella libertà di espressione.
Il concetto generale del modello americano è questo: le parole che incitano all’odio, di per sé, non sono vietate, ma la protezione costituzionale viene a mancare quando si incita a violare la legge ed è probabile che quelle violazioni si verifichino. Nel 1992, la Corte suprema ha giudicato incostituzionale un’ordinanza dell’Università di St. Paul che proibiva l’esposizione di simboli come la croce infiammata o la svastica nazista. I giudici hanno ribadito che “lo stato non può proibire l’espressione di un’idea, semplicemente perché la società trova quell’idea offensiva o sgradevole”. Altra cosa è se le croci infiammate servono a intimidire o a minacciare una persona, in questo caso la Corte ha ribadito che una legge statale che proibisce questo tipo di atto non è protetta dal primo emendamento. Anche la diffamazione è un’eccezione alla libertà di esprimere le proprie opinioni garantita dal primo emendamento, ma in America è praticamente impossibile far condannare qualcuno per questo reato, perché il diffamato dovrà provare con “chiarezza” che la diffamazione è stata fatta con “reale  premeditazione”. Se non ci riesce, è libertà d’opinione.

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