Alle sue spalle c’era Nancy Pelosi, speaker della Camera. La maggioranza dei parlamentari non s’aspettava granché e l’indice di gradimento era ai minimi storici, quasi ai livelli di Jimmy Carter e Richard Nixon. Il sesto e penultimo discorso sullo Stato dell’Unione di George W. Bush – pronunciato ieri notte innanzi al Congresso di Washington – non poteva cominciare in condizioni peggiori per il presidente, forse solo Bill Clinton nel 1998, pochi giorni dopo la rivelazione delle accuse di Monica Lewinsky, s’era trovato in una situazione più critica. Clinton, allora, esordì con un “signore e signori, lo stato della nostra Unione è ottimo” e propose di salvare il sistema pensionistico con i soldi del surplus di bilancio. La mossa politica piacque e i numeri di Clinton cominciarono a crescere. In 50 minuti, ieri notte, Bush ha provato a fare la stessa cosa, puntando su un articolato programma di riforme di politica interna – sanità, energia, ambiente, immigrazione, istruzione, sprechi – senza però rinunciare a ricordare “la battaglia ideologica decisiva dei nostri tempi” e a ribadire l’importanza del suo nuovo piano per l’Iraq (ieri il generale David Petraeus ha cominciato la sua audizione al Senato per ottenere la conferma della nomina a capo delle operazioni militari a Baghdad). Per andare incontro ai democratici, ma anche agli scettici del suo stesso partito, Bush ha proposto l’istituzione di un Comitato speciale consultivo sulla guerra al terrorismo composto dai leader dei due partiti al Congresso e, inoltre, ha chiesto di aumentare di 92 mila unità il numero dei soldati a disposizione dell’esercito americano.
Bush ha ancora due anni pieni di governo, un tempo sufficiente ad ampliare il più possibile la copertura sanitaria degli americani, ridurre i consumi di carburante, tutelare l’ambiente, riformare la politica sull’immigrazione, limitare gli sprechi di bilancio, aumentare l’impegno contro l’Aids e rafforzare l’istruzione pubblica rinnovando il No child left behind act, in scadenza quest’anno. Su quest’ultimo punto è probabile che il Congresso democratico dia il consenso. Anche sul fronte dell’immigrazione è possibile che l’accoppiata Casa Bianca-Congresso vari una riforma complessiva delle norme sull’immigrazione, legalizzando i lavoratori clandestini che risiedono già negli Stati Uniti e promuovendo l’integrazione.
Le due proposte più ambiziose presentate ieri notte da Bush sono state sulla sanità e sull’energia, argomenti che il presidente aveva già affrontato allo Stato dell’Unione del 2006. Quest’anno Bush propone una deduzione fiscale di 7.500 dollari per persona (il doppio per una famiglia) a prescindere se si riceva l’assicurazione sanitaria dal datore di lavoro oppure se la si compri autonomamente. Oltre quella cifra si dovranno pagare le imposte. L’idea è piaciuta al Washington Post, perché elimina l’attuale discriminazione nei confronti di chi non riceve l’assicurazione dall’azienda come benefit esentasse ed è invece costretto a comprarsela senza benefici fiscali. Tecnicamente si tratta del primo, parziale, aumento di tasse dell’era Bush, ma la Casa Bianca e il guerriero anti tasse Grover Norquist spiegano che le riduzioni saranno maggiori degli aumenti. Il piano dovrebbe far scendere i costi delle polizze e diminuire così i 47 milioni di non assicurati. Contemporaneamente, Bush propone di usare parte dei fondi del Medicare e Medicaid per destinarli a favore di un nuovo fondo che aiuterà gli Stati dell’Unione a predisporre piani per rendere le polizze più abbordabili.
Per la prima volta Bush ha parlato di surriscaldamento della Terra e ha proposto un piano per la riduzione dei consumi di benzina del 20 per cento in 10 anni (the 20-10 plan) in modo da liberarsi dalla dipendenza del petrolio mediorientale. Il piano prevede regole per l’aumento dell’efficienza delle automobili, dei camion, dei Suv, ma anche incentivi per la produzione di carburanti alternativi e riduzioni delle emissioni dei gas inquinanti. Nel frattempo, Bush punta a un aumento della produzione petrolifera interna.
24 Gennaio 2007