Camillo di Christian RoccaMcCain in crisi

Milano. L’eroe di guerra John McCain è in grande difficoltà a oltre seicento giorni dalle elezioni americane. La sua corsa verso la Casa Bianca sembrava inarrestabile fino a poco tempo fa, ora si trova costantemente dietro a Rudy Giuliani (di una decina di punti) in tutti i sondaggi per le primarie repubblicane e, secondo le ultime rilevazioni, verrebbe battuto d’un soffio anche da Hillary Clinton alle elezioni generali del novembre 2008. Da qui a quella data potrebbe succedere di tutto, però il senatore dell’Arizona comincia a preoccuparsi seriamente e a ridefinire la sua campagna elettorale, provando a incunearsi nelle debolezze dei suoi avversari e cercando di sganciarsi dal destino iracheno di George W. Bush. La debolezza di Rudy Giuliani è la sua posizione liberal sui temi etico-sociali, aborto, diritti dei gay eccetera. Anche Mitt Romney, il terzo tra i favoriti repubblicani, ha qualche problema con la destra evangelica, non solo perché è mormone, ma perché fino a qualche tempo fa su aborto e diritti dei gay aveva posizioni simili a quelle di Ted Kennedy.
Tra tutti i “front runners” McCain è l’unico ad essere sempre stato contrario all’aborto, sicché nei giorni scorsi, in Carolina del Sud, ha ricordato agli elettori la sua lineare posizione sulla questione e s’è spinto fino ad auspicare un ribaltamento della sentenza della Corte suprema, la Roe contro Wade, che nel 1973 ha liberalizzato l’aborto con un voto di cinque giudici contro quattro. Il punto è che McCain, a sua volta, è mal sopportato dalle organizzazioni evangeliche, i cui capi nel 2000 erano stati pubblicamente definiti dal senatore come “mezzi matti” oltre che “pericolosi per la società”. James Dobson, il capo della potentissima Focus on Family, qualche settimana fa ha detto chiaramente che mai e poi mai voterà McCain, il quale peraltro continua a dare segnali contrastanti sul matrimonio gay (è contrario, ma non vuole che il divieto venga inserito nella Costituzione). McCain ha iniziato a riallacciare i rapporti con il reverendo Jerry Falwell, con cui nel 2000 ebbe a scontrarsi in modo rude uscendone con le ossa rotte. L’anno scorso è stato ospite d’onore alla Liberty University del reverendo (ma in quell’occasione ha parlato soltanto di Iraq) e lo scorso weekend ha partecipato a un incontro in Florida del National Religious Broadcasters, dove però all’ultimo momento Falwell ha deciso di non partecipare.
Le critiche alla gestione della guerra
Sul fronte iracheno, McCain è con il democratico Joe Lieberman il vero alleato di George Bush al Senato. Da tre anni sostiene che in Iraq servono più truppe, quindi s’è entusiasticamente schierato con la Casa Bianca quando Bush ha deciso di inviare altri 21.500 uomini. Il problema è che se il piano Bush dovesse fallire, le speranze elettorali di McCain svanirebbero, così nelle ultime settimane il senatore ha preso a criticare rumorosamente la conduzione della guerra e a porre il dubbio che 21.500 uomini siano troppo pochi e inviati troppo tardi. E’ il modo di McCain di costruirsi una via d’uscita, nel caso la situazione a Baghdad non migliorasse. Il senatore non critica direttamente Bush, anche perché aspira ad ereditarne il sistema di alleanze e di guida del Partito repubblicano, ma accusa i suoi consiglieri: il vicepresidente Dick Cheney, l’ex capo del Pentagono Donald Rumsfeld e il nuovo capo di stato maggiore George Casey, a cui McCain ha negato il voto di conferma qualche giorno fa al Senato. Di Cheney, McCain ora dice che “ha servito molto male il presidente”, mentre di Rumsfeld addirittura che “verrà ricordato come il peggior segretario alla Difesa della storia”. Il voto contrario a Casey è dovuto al suo fallimento da capo delle operazioni militari in Iraq, dove ora c’è il generale David Petraeus. McCain ha criticato Cheney e Rumsfeld per tempo, soprattutto sulla liceità di alcune tecniche di interrogatorio dei nemici combattenti operati dalla Cia, ma mai in questi termini chiaramente dettati dall’interesse di sganciare la propria candidatura dagli eventi bellici in Iraq.
Questa rincorsa di McCain al voto religioso, insieme col confuso sostegno a Bush, tiene viva la speranza di un recupero sul laico Giuliani, ma gli apre una falla sul fronte sinistro e indipendente. McCain, infatti, è il tipo di repubblicano che piace ai liberal, tanto che John Kerry, nel 2004, gli aveva chiesto di fare il suo vicepresidente. McCain è indipendente, non è bigotto, manda a quel paese i fondamentalisti, tiene testa a Bush sulle questioni di principio e di libertà, è favorevole alla ricerca sugli embrioni, si batte contro l’ingerenza delle lobby e tante altre belle cose. Per tutto ciò è da sempre il beniamino del sistema mediatico americano, tanto che lui stesso, scherzando, ammette che la sua base elettorale resta “la grande stampa di sinistra”. I voti, però, sono altrove.

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