Apple TV
E’ un oggetto fantastico, ma non serve praticamente a niente a meno che
non compriate telefilm sull’i-Store americano. Per comprarli bisogna
avere un acconto apple (o Aol) americano, cioè avere una carta
di credito con billing address negli Stati Uniti, oppure comprare le
gift card della Apple al mercato nero. Io credo di essere l’unico
italiano a comprare telefilm americani con la carta di credito, cosa
alquanto bizzarra anche perché potrei vedermeli direttamente in
televisione. Per me, dunque, l’Apple tv è molto utile, meglio
sarebbe se avessi un buon impianto stereo collegato al televisore, in
modo da poter ascoltare per bene i brani di iTunes (e vedere le
copertine dei dischi) che ho sincronizzato dal mio computer. L’Apple tv
porta sullo schermo anche le foto della libreria di iPhoto, ma dopo 5
minuti non le vuoi più vedere. L’oggetto è bello, la
velocità con cui compri la puntata (o il film) che ti interessa
su iStore e poi lo vedi sullo schermo ad altra definizione del
televisore (in streaming dal computer o copiandolo su Apple tv)
è davvero mica male. Ma credo che, alla fine, Joost sarà ben più utile, sempre se riuscirà a coinvolgere i grandi network.
30 marzo
Nel 2008 sarà Reagan-Bob Kennedy, ovvero Thompson-Obama
Bill Kristol su Time (poi ricordatevi dove avete letto la prima volta di Fred Thompson, eh)
30 marzo
Fred Thompson ieri ha parlato di Oriana Fallaci
30 marzo
Quanto rode
Quanto rode ai giornalisti giustizialisti l’assoluzione della
Juventus nel processo per doping? La notizia è che la Cassazione
ha annullato il processo di appello, non che abbia riconosciuto la
colpevolezza della Juventus. Ma i giustizialisti da bar dello sport
pensano che la Corte avesse voluto condannare, solo che non c’è
riuscita perché è intervenuta la prescrizione. E,
inoltre, fanno finta di non aver capito, ma forse non hanno capito
davvero, che la Corte ha escluso che nello spogliatoio della Juventus
si usasse l’Epo. Assoluzione pienissima insomma, nel merito e di
diritto (tutte le assoluzioni sono piene, comunque: o si è
colpevoli o non lo si è) Fanno ridere, lo sappiamo dalla scorsa
primavera. C’è poi un tizio sul Corriere che blatera di
un’assoluzione in appello per Agricola per “insufficienza di prove”,
non sapendo che l’assoluzione per insufficienza di prove è stata
abolita nel 1989 con l’adozione del nuovo codice di procedura penale.
(E non ho ancora letto il giornale illeggibile…)
30 marzo
“The decade after”
Joe Biden e Chuck Hagel, nel 2002, votarono per la guerra in Iraq e criticarono Bush con questo articolo sul Washington
Post perché non sembrava pronto a impegnare l’America in Iraq
per almeno un decennio. Ieri, i due amigos, uno democratico l’altro
repubblicano, hanno votato per fissare la data di rientro delle truppe
americane dall’Iraq già il prossimo anno, cinque anni
prima “the decade after”.
30 marzo
Il suo vero nome era Antonio Sciacca
E’ morto, a Roma, il grande clarinettista jazz Tony Scott, originario di Salemi (Tp).
30 marzo
Titoli e giornali online
“Iraq War Funding Bill Passed by Senate”
(Washington Post, il giornale del Watergate)
“Senato Usa: Via dall’Iraq”
(Repubblica, il giornale della Nigerbarzelletta)
29 marzo
E chi paga, ora, i danni alla Fiorentina?
Dunque, come avete letto qui fin dal giorno numero 1, la
giustizia sportiva ha spiegato che i dirigenti della Fiorentina “non
hanno commesso alcun illecito sportivo”, hanno soltanto assunto
comportamenti contrari ai principi di lealtà. Fate attenzione:
il caso della Fiorentina era il più grave tra tutti quelli della
bufala cosiddetta “calciopoli”, perché almeno nel caso della
squadra di Della Valle l’accusa era di aver taroccata una partita, al
contrario dei fumi e delle chiacchiere da bar dello sport sulla
Juventus e sulle altre. Alla Fiorentina, però, è stata
tolta la Champions di quest’anno regolarmente e meritatamente
conquistata sul campo e, con l’ingiusta penalizzazione, per quanto sia
rimasta in A, probabilmente anche la Champions del prossimo anno (per
non parlare dell’aiuto agli indossatori di scudetti altrui nell’isolata
– il termine è perfetto – corsa allo scudetto
falsato di quest’anno). Chi paga i danni? Guido Rossi? Il giornale rosa
che si trova (sempre meno, pare) sul bancone dei gelati nei bar dello
sport?
29 marzo
Notizie dalla campagna elettorale
Il Washington Post in prima pagina su Fred Thompson, il quale viene snobbato (thanks God) da James Dobson. Il miliardario Steve Forbes si
schiera con Rudy Giuliani. L’altra sera ho visto il miglior candidato
democratico (di gran lunga il migliore), Bill Richardson. Simpatico,
antitasse e l’unico con esperienza internazionale. Io voterei lui.
Qualche sera precedente ho visto John Edwards, abbastanza conciato male
(era il giorno dell’annuncio pubblico della malattia di sua moglie).
29 marzo
“And I’d like to thank Senator Webb for providing security”
La cena annuale con i giornalisti televisivi e le simpatiche battute di Bush su se stesso e Cheney.
29 marzo
Pajamas in chief
Bush cita ancora una volta i bloggers iracheni
29 marzo
All the news fit to punch
Botte tra due ragazze della sezione Styles del New York Times
29 marzo
A rilento
In questi giorni il blog è andato avanti un po’ a rilento, anche perché sto provando per voi la Apple-tv.
29 marzo
Non s’è ancora candidato, è già terzo e ha già il 10 per cento in New Hampshire
La candidatura potenziale di Fred Thompson continua a fare proseliti, a danno di Rudy Giuliani. I primi endorsement dalla Camera e le partite Iva del Nebraska. L’attacco radiofonico alla politica clientelare della Camera di Nancy Pelosi.
27 marzo
La vittoria dei pacifisti a midterm
Arrestato un collaboratore del neo senatore
democratico James Webb mentre portava in Senato una pistola carica
appartenente al senatore.
27 marzo
Una rotonda sul mare
Chiudiamola qui: questo nuovo-vecchio live di Neil Youngè il miglior disco dell’anno.
(qui la pagina con tutti i pezzi su niliang pubblicati su Camillo)
25 marzo
Riprendiamoli!
“That is a mission too important to American national security to allow
either Afghans or Italians, however well intentioned, to undermine. It
is a point that NATO and American GIs and the Bush administration could
make most emphatically by recapturing all five freed Taliban, starting
with Ustad Yasir, and bringing them to Guantanamo where they belong”.
Editoriale del New York Sun di oggi
23 marzo
Correzione
Stanotte mi ero sorpreso del modo in cui Repubblica
ha provato a mettere una pezza alla figuraccia dalemianca. Rispetto
alle cose comiche che mi hanno segnalato stamattina, in particolare
L’Unità e Il Riformista, Repubblica sembra il Washington Post.
L’Unità, poi, ha individuato con tanto di fotina segnaletica in
Maurizio Molinari (il più bravo e più corretto
corrispondente italiano in America) uno dei divulgatori di quelle che,
secondo l’Unità, sarebbero false e infamanti accuse a Massimo
D’Alema.
23 marzo
10 dollari e 9 centesimi
Da 5 giorni vedete nella colonna qui a destra una strana
pubblicità di Google e un “cerca con Google”. Ho voluto fare
un’esperienza nel meraviglioso mondo pubblicitario. Grazie ai vostri
clic, alle vostre ricerche su Google e ai successivi clic sulle
pubblicità, in 5 giorni Camillo ha guadagnato i suoi primi 10
dollari e 9 centesimi che saranno custoditi in una teca come il primo
milione di Zio Paperone.
23 marzo
Il regime
Leggete le sei pagine di Repubblica sul caso
Rice-D’Alema, sintetizzabili in “niente crisi”, al massimo “crisi
finta” e comunque c’è il complotto Bush-Berlusconi. Capirete il
significato della parola “regime”.
23 marzo
Riepilogo
Sì, è il peggior governo della storia repubblicana (e lo dobbiamo a Marco Pannella).
23 marzo
In effetti ci potremmo telefonare
Paferrobyday crede di aver trovato la prova
definitiva dello status di agente segreto di Valerie Plame (ricordo che
si tratta di una persona che aveva un lavoro d’ufficio a Langley, ove
si recava tutti i giorni in macchina e timbrava il cartellino) nella
dichiarazione del generale Hayden (il quale peraltro in passato non era
stato così chiaro). No, non è così: la prova
definitiva che Valerie Plame non era un’agente coperta (e che suo
marito Jo Wilson, peraltro cacciato in malo modo dalla campagna Kerry,
è uno spaccone raccontaballe) proviene dall’inchiesta federale
del procuratore speciael Pat Fitzgerald che era stata aperta per
scoprire chi aveva commesso il reato di svelare il nome di Valerie
Plame: ebbene, si è scoperto chi ha fatto il nome (Armitage e
poi gli altri), ma non è stato incriminato nessuno, appunto
perché non c’era il reato. La Plame non era un’agente coperto.
23 marzo
Oggi niente neocon
Geniale, però, la ricostruzione di Ennio Caretto della
mazziata americana a D’Alema, dopo che ieri aveva spiegato quanto i
buoni dell’Amministrazione avessero lodato D’Alema: “In ritirata
nell’amministrazione (…) i falchi combattono una battaglia di
retroguardia a volte vincente”.
22 marzo
Cattivi Maestri
Una coppia di newyorchesi, rovinata da Al Gore, sta
conducendo un esperimento di vita “no impact”, cioè un anno a
zero impatto ambientale (per dire: senza usare carta igienica). Qui il New York Times spiega come, qui l’ideatore dell’esperimento racconta tutto nel blog.
22 marzo
Kakuro, Masyu e Nurikabe
Dopo il Sudoku, ecco le nuovemanie giapponesi per l’estate di Luca Sofri, sempre che il giornale rosa gli conceda le ferie.
22 marzo
Now shipping
E’ nei negozi AppleTV. Entusiasta il Wall Street Journal, così come David Pogue del New York Times. Domani vi dico io.
22 marzo
“Una svolta, un nuovo corso”
Dall’Agenzia Stefani, ovvero La Repubblica, di ieri:
“Una «svolta», un «nuovo corso». A
Palazzo Chigi ne sono convinti. Alla Farnesina ne hanno avuto una prova
in queste ore. Il rapporto tra Roma e Washington ha subito
un´inversione di rotta. La diffidenza che ha caratterizzato il
dialogo tra il governo di centrosinistra e la Casa Bianca è
stata abbandonata. Nelle vorticose giornate del sequestro
Mastrogiacomo, Romano Prodi e Massimo D´Alema hanno insomma colto
un «nuovo registro» nei contatti con
l´amministrazione Bush.
Non solo la «comprensione» (così l´ha definita
il ministro degli Esteri) americana per le trattative intavolate con i
talebani per la liberazione dell´inviato di Repubblica, ma anche
un diverso atteggiamento nei confronti dell´azione complessiva
dell´esecutivo italiano”.
22 marzo
I grandi successi di Max/2
Ieri ho provato a spiegare in un articolo che la proposta di Conferenza sull’Afghanistan aveva impressionato solo
i giornali italiani (li avete letti oggi?) e che al Consiglio di
Sicurezza se l’erano filata poco, a cominciare dal Segretario Generale
che manco s’era presentato. Oggi guardate che cosa scrivono della
proposta di D’Alema il New York Times e il Washington Post.
Niente, nemmeno una riga. Voi direte: agli americani non frega niente
dell’Onu, ecco perché. Vero. Però, oggi, un articolo di
cronaca sul dibattito di ieri al Consiglio di Sicurezza c’era, sia sul
NYT sia sul WP. Solo che né il NYT né il WP hanno ritenuto meritevole di menzione la straordinaria proposta
politica dello statista di Gallipoli. La Reuters, riportata oggi sul
sito del WP, racconta delle critiche americane e britanniche al governo italiano.
22 marzo
I grandi successi di Max
Insomma, avete capito che cosa è successo,
no? Il nostro Max, il migliore tattico di tutti i tempi, ha provato a
parlare in italiano in un modo e in inglese in un altro, sul modello di
Yasser Arafat. In italiano ha fatto la voce grossa antiamericana, in
inglese l’agnellino che fa bye-bye a Condi con la zampetta.
Finché la cosa resta nell’ambito della complice stampa italiana,
tutto funziona alla perferzione e pivono lodi di ogni tipo su quanto
sia bravo Max eccetera. Appena si esce fuori Chiasso, fa rimpiangere Calderoli.
22 marzo
Caretto e Woody Allen
Oggi Ennio Caretto, sull’incredibile Corriere della Sera, scrive che
George Allen è (stato) “un senatore neocon”. Chiunque abbia
letto solo 5 minuti un giornale americano (cioè nessuno che
lavora agli esteri del Corriere) sa che George Allen è l’esatto
opposto di un neocon, ma a super Caretto e al sempre
più incredibile Corriere della Sera bastano i sospetti di
razzismo per qualificare “neocon” George Allen (e questo, ancora, non
capendo che i neocon – ammesso che esistano – sono la minoranza
di sinistra del partito repubblicano).
21 marzo
Cresce la candidatura di Fred Thompson
– Iowans for Fred– Come Jack Bauer
“Guys”, l’editoriale radiofonico sull’immigrazione. Sentite che voce presidenziale.
21 marzo
Poi non dite che non vi avevo avvertito
La figlia di Jack Bauer, Kim, è praticamente
scomparsa da 24, per la gioia dei fan. Mi sono chiesto che fine avesse
fatto e ho scoperto questo:
– ha girato questo film, i cui cartelloni pubblicitari sono stati appena rimossi dai taxi di New York, guardate e capirete perché
– ha un blog, dove scrive di hockey su ghiaccio Nhl
– suo padre Jack l’ha salvata da circa quattrocento attentati nucleari
alla sua vita, difficilmente potrà salvarsa dalla sua nuova migliore amica.
21 marzo
Coi primi caldi
Il 22 maggio esce il nuovo libro di Al Gore. Un bel manifesto elettorale?
21 marzo
“This is the story of Rael”
Dal sito delle meraviglie, il concerto di Los Angeles dei
Genesis (anno 1975) al loro ultimo tour prima dello scioglimento (ci
siamo capiti)
21 marzo
Da quando ci scrive Luca Sofri
“Nel mese di febbraio i principali quotidiani
italiani hanno avuto una crescita diffusa. Quasi tutti (tranne il
“Secolo XIX” e “La Gazzetta dello Sport”) hanno infatti registrato una
crescita delle vendite rispetto al febbraio 2006″
21 marzo
Sì, ancora quattro anni dopo, è stato giusto destituire il dittatore Saddam Hussein
Christopher Hitchens e le ragioni di
sinistra dell’invasione in Iraq (certo, di una sinistra né
comunista né post comunista all’italiana).
20 marzo
Il nome della moglie, stavolta lo faccio io
Questa mi mancava: Mandy Grunwald, la moglie di Matt Cooper,
cioè del giornalista di Time che ha contribuito a mettere nei
guai Scooter Libby nell’inutile caso denominato Ciagate o Plamegate,
è la chief ad strategist di Hillary Clinton. E non è
coperta.
20 marzo
No release, baby, no surrender
Nasce “Release Me” il blog dove si postano gli inutili comunicati stampa che ci inondano le caselle di posta
20 marzo
E Pio Pompa?
Il
direttore di Repubblica, al contrario del presidente del Consiglio, non
dedica nemmeno una parola di ringraziamento e nemmeno una riga al Sismi.
20 marzo
Milano, 25 ottobre 2001, 350 mila dollari
La mappa di tutti i posti dove Bill Clinton ha tenuto discorsi a pagamento dal 2001 al 2005 (30.975.598 dollari in 192 discorsi)
20 marzo
Il remix del Washington Post
Tutti i progetti indipendenti creati con i
contenuti del Washington Post. Il curatore è questo nuovo genio
dei new media che sia chiama Adrian Holovaty, 26 anni, appena assunto al Washington Post per sviluppare nuovi contenuti. Se siete bravi, vi assume
20 marzo
Newsmap
20 marzo
Quest’uomo voleva essere presidente
John Kerry, con sua moglie Teresa Heinz, pubblica un libro
in difesa della Terra. Deve averglielo suggerito, per la verità
un po’ in ritardo, un focus group.
19 marzo
Al posto di Cobolli
19 marzo
E le foto dove sono?
Bill Kristol sull’assurdità della rivelazione extramaritale di Newt Gingrich
19 marzo
Barack Obama meets Steve Jobs (and George Orwell)
Spot anti Hillary e pro Obama che prende spunto
dalla famosa pubblciità girata da Ridley Scott per il
lancio di un computer Apple e ispirata a 1984.
19 marzo
Nadagate
L’incredibile bufala del Plamegate – il caso
che meglio di ogni altro spiega il pregiudizio liberal della stampa
mondiale – interessa soltanto me e Paferrobyday,
ma la cosa ormai certa sul caso Plame è che i primi ad aver
parlato con i giornalisti dell’intera vicenda Niger sono stati Joseph
Wilson e Valery Plame medesimi. L’unica vera novità
dell’audizione della Plame, ignorata dalla stampa, è questa: lei
ha detto di aver partecipato a una colazione con Nick Kristof del
Nyt, il primo ad aver scritto la storia di Wilson in Niger, sia pure
senza aver fatto il nome. A una domanda di un deputato democratico, la
Plame ha confermato che le due fonti citate da Kristof erano suo marito
e lei stessa. Tutto questo ben prima che Richard Armitage, ex vice di
Powell e avversario del gruppo Cheney, lo dicesse prima a Bob Woodward
e poi un mese all’editorialista conservatore – contrario all’intervento
in Iraq- Bob Novak. Nessuno di loro, nemmeno Libby e Rove, ha mai detto
che la Plame fosse un’agente dall’identità segreta, anche
perché non lo era secondo la legge, aveva un lavoro d’ufficio a
Langley e il procuratore federale non ha incriminato nessuno per aver
fatto il suo nome. Woodward non ha scritto niente e Novak l’ha scritto
quasi incidentalmente. Il punto è che la coppia Wilson-Plame ha
raccontato una quantità industriale di balle, a cominciare
dall’idea che fosse stato Cheney a inviare Wilson in Niger. Uscita la
notizia, un avversario di Cheney e poi gli uomini di Cheney hanno
cominciato a dire ai giornalisti che non era vero, che era stata sua
moglie Valerie Plame a suggerire alla Cia il nome di suo marito per
quell’incarico e che non avevano mai visto nessun rapporto di Wilson
(che, infatti, non c’è mai stato). Nessuno ha mai parlato
dell’identità segreta di Valerie Plame. Il primo ad averlo
fatto, di nuovo. è stato Joseph Wilson con David Corn di The
Nation, lo stesso giorno dell’uscita dell’articolo di Novak. Peccato
solo che non fosse reato svelarla, sennò avrebbero incriminato
Jospeh “blowhard” Wilson.
19 marzo
Diciamo così
Al Weekly Standard non è piaciuto il
libro della Sgrena che, pare, abbia lasciato perplessi perfino quelli
di Democracy Now.
19 marzo
Il primo, splendido, editoriale del Washington Post
Lessons of War
The fighting in Iraq enters its fifth year.
Sunday, March 18, 2007; B06
TOMORROW MARKS the fourth anniversary of the start of the Iraq war, as
appropriate a moment as any to take stock. What matters most is finding
the best policy now — doing whatever can be done to help Iraq and
safeguard U.S. interests in a vital region. But looking back also is
essential, particularly for those of us who supported the war.
We will never know what might have happened had Saddam Hussein and his
sons been left in power. Nor do we know how Iraq will evolve; history’s
judgment in five years or 10 may look very different than today’s. But
the picture today is dire, and very different from what we would have
hoped or predicted four years ago. The cost in lives, injuries and
dislocations, to Americans and Iraqis, has been tragic; the opportunity
costs for U.S. leadership globally have been immense. So there is an
obligation to reassess. What have we learned?
The easy way out is to blame President Bush, Vice President Cheney or
former defense secretary Donald H. Rumsfeld: The decision was right,
the execution wrong. There’s no question that the execution was
disastrous. Having rolled the dice on what everyone understood to be an
enormous gamble, Mr. Bush and his team followed up with breathtaking
and infuriating arrogance, ignorance and insouciance. Read Post
reporter Rajiv Chandrasekaran’s account of the first year of
occupation, “Imperial Life in the Emerald City,” and weep at the tales
of White House operatives sending political hacks to overhaul Baghdad’s
stock exchange and tinker with its traffic rules as a deadly insurgency
gathered strength.
But the war might have spun out of control even under wiser leadership.
Decisions that seem so obviously wrongheaded now, such as disbanding
the Iraqi army or deploying too few troops, had smart people arguing
both sides at the time. Even a larger force might not have stopped the
looting; total forgiveness of Baathist officers might not have
forestalled Sunni insurgency or might have spurred the Shiites into
rebellion. Wars unleash unpredictable and ugly forces, even short and
“successful” wars. The United States is still paying a price for the
betrayal of Shiites and Kurds after the Persian Gulf War; U.S. forces
remain bogged down in Afghanistan after dislodging the Taliban regime
in that brilliant, brief campaign of 2001.
An overarching lesson is that the failure of diplomacy is not a
sufficient argument for war. It seems as evident today as it was four
years ago that sanctions on Saddam Hussein’s regime were eroding and
that the U.N. Security Council had no appetite to prolong “containment”
in any meaningful form. David Kay’s postwar report suggests that Saddam
Hussein would have used the resulting loosening of bonds to build a
dangerous arsenal. Yet we should have considered that not as an
argument for war but only as a predicate for beginning to weigh war’s
risks and benefits.
Such weighing must include a far more aggressive challenge to
prevailing wisdom than we offered. We were not wrong that Iraqis, like
all human beings, crave freedom. But people also crave security. Their
loyalties to country may jockey with loyalties to tribe and sect. We
may have underestimated the impoverishment brought about by misrule and
sanctions and the brutalization born of totalitarian cruelty. We
underestimated, too, the regime’s determination to fight back and its
resourcefulness in doing so.
Clearly we were insufficiently skeptical of intelligence reports. It
would almost be comforting if Mr. Bush had “lied the nation into war,”
as is frequently charged. The best postwar journalism instead suggests
that the president and his administration exaggerated, cherry-picked
and simplified but fundamentally believed — as did the CIA — the
catastrophically wrong case that then-Secretary of State Colin L.
Powell presented to the United Nations.
The question that Gen. David H. Petraeus posed (as recounted in Rick
Atkinson’s history, “In the Company of Soldiers”) as he led the troops
of his 101st Airborne Division from Kuwait across the Iraq border,
“Tell me how this ends?” — that question must be the first to be
asked, not the last. The answer won’t always be knowable. But the
discussion must never lose sight of the inevitable horrors of war. It
must not be left to the generals in the field. And it must assume,
based on experience from Germany to Korea to Afghanistan, that a U.S.
commitment, once embarked upon, will not soon be over.
We raised such issues in our prewar editorials but with insufficient
force. In February 2003, for example, we wrote that “the president
[must] finally address, squarely and in public, the question of how
Iraq will be secured and governed after a war that removes Saddam
Hussein, and what the U.S. commitment to that effort will be. . . . Who
will rule Iraq, and how? Who will provide security? How long will U.S.
troops remain? . . . Many of these questions appear not to have been
answered even inside the administration. . . .” They were still
unanswered when the war, which we nevertheless supported, began. That
should never happen again.
Even now, though, many of the lessons that others draw from Iraq do not strike us as obvious.
Unquestionably, for example, the experience has shown the risks of
preemptive war. Yet it remains true in an era of ruthless, suicidal
terrorists and easily smuggled weapons of unimaginable destructive
power that not acting also can be dangerous. The risks of war with
North Korea or Iran are evident; but the cost of leaving nuclear
weapons in the hands of a Mahmoud Ahmadinejad or a Kim Jong Il may not
become evident until the price has been paid. And while Iraq
illustrates the importance of challenging intelligence estimates, there
will also be risks in waiting for certainty that may never be
achievable.
Similarly, Iraq has shown the disadvantages of acting without full
allied support. Multilateralism and U.N. authorization are force
multipliers, morally and literally; unilateralism should be a last
resort. But ask the victims of genocide in Darfur whether international
law and multinational organizations can always be counted upon. And,
yes, the past four years have demonstrated the difficulty of seeding
democracy in unaccustomed soil. But no American foreign policy will be
supported at home or abroad if it does not include as one ambition the
spread of freedom.
Unfortunately, none of this provides bright guidelines to make the next
decisions easier — not even those facing the nation right now in Iraq.
It’s tempting to say that if it was wrong to go in, it must be wrong to
stay in. But how Iraq evolves will fundamentally shape the region and
deeply affect U.S. security. Walking away is likely to make a bad
situation worse. A patient, sustained U.S. commitment, with gradually
diminishing military forces, could still help Iraq to move in the right
direction.
19 marzo
Il primo giornale 24 ore su 24
The Guardian
17 marzo
La lista
Tutti i giornalisti americani che hanno un blog
17 marzo
Il tempo è cambiato
La nuova riforma grafica (ed editoriale) di TIME è strepitosa.
17 marzo
Come se Rudy Giuliani criticasse il New York Post (o Rutelli e Veltroni e D’Alema La Repubblica)
Bill Clinton è insoddisfatto di come il
New York Times tratta la campagna di sua moglie Hillary. In effetti,
finora, non hanno allegato nemmeno un doppio poster a colori.
17 marzo
Meanwhile, Petraeus
Il generale Petraeus chiede altri 3 mila uomini che si
andrebbero aggiungere ai 21.500 più 4.700 già in via di
trasferimento in Iraq.
Memo per la sinistra italiana: da quando il centrosinistra americano ha
vinto le elezioni è stato finanziato l’invio in Iraq di
ulteriori 26 mila soldati. Se ci sarà l’ok della Casa Bianca
alla nuova richiesta, saranno 30 mila i nuovi soldati inviati in Iraq,
dieci volte il numero delle nostre truppe ritirate da Nassirya.
16 marzo
L’America del Corriere
I giornali di tutto il mondo, compresa Repubblica, titolano
sulla sconfitta della risoluzione per il ritiro dall’Iraq presentata
dai democratici al Senato di Washington e battuta 50 a 48 (peraltro
aveva bisogno di 60 voti). Il Corriere, invece, ha preferito titolare
sull’inutile e scontato passaggio alla Camera, peraltro in commissione,
dello stesso provvedimento, lasciando solo due righe finali alla
notizia che il Senato ha detto di no. O Riotta, Where Art Thou?
16 marzo
George W. Bush meets Steve Jobs
16 marzo
Hitch
Comunque Il Corriere pubblica sempre più spesso Hitchens!
16 marzo
Il Senato americano vota contro il calendario di ritiro delle truppe nel 2008
Malgrado la maggioranza sia democratica, la linea anti Bush ha perso 50
a 48 (e, peraltro, aveva bisogno di 60 voti). Soltanto un repubblicano
ha votato con i democratici, mentre tre democratici hanno votato con i
repubblicani. Un democratico, ancora in ospedale, non ha votato, mentre
l’iperbushiano su queste cose, John McCain era in campagna elettorale
in Iowa e non ha partecipato al voto. Insomma è finita 50 a 48,
mentre al completo sarebbe finita 51 a 49. Sempre per chi non vuole
abbandonare l’Iraq ai terroristi di Al Qaida e alla squadracce
iraniane.
16 marzo
Ci attaccano perché siamo cattivi, cioè neocon
Qual è il politico americano più vicino ai
palestinesi, più antisionista e più contrario alle
politiche neocon di Bush? Diciamo Jimmy Carter, premio Nobel per la
Pace, oppure per accontentare i terzaviisti un leader come Bill
Clinton? Bene. Khalid Sheikh Mohammed, l’ideatore dell’11 settembre, ha
confessato di aver lavorato a un piano per uccidere sia Carter sia
Clinton
15 marzo
Che cosa mi tocca fare
Mi tocca difendere Belpietro – direttore di uno dei
giornali più brutti di tutti i tempi – pur non avendo
letto il suo
editoriale su Sircana e non avendo nessuna intenzione di leggerlo. Ma
ho
letto l’inqualificabile e, scusate la citazione, “schifoso” scritto del
solitamente ragionevole (ma pur sempre un ex Manifesto) direttore di
Europa, Stefano Menichini. Dunque. I nomi e le intercettazioni non si
dovrebbero pubblicare, perlomeno nel modo in cui vengono pubblicati
ogni giorno dal 1992 su tutti i giornali italiani (e il Giornale è
quello che in questi anni ci ha marciato di meno). E’ roba da paese incivile, quale
siamo. Nel caso specifico: non è che gli altri non abbiano fatto i nomi
e li ha fatti solo Belpietro. No. Gli altri hanno fatto tutti i nomi e
hanno pubblicato tutto il solito schifo, come fanno regolarmente dal 1992, facendo
sparire soltanto il nome di Sircana.
Ecco, nello “schifo” generale, credo che abbiano fatto più schifo gli altri quotidiani. Anche perché, se anziché Sircana il nome fosse
stato quello di Bonaiuti sarebbe accaduto esattamente l’opposto,
naturalmente con Belpietro a protestare vivamente come fa oggi l’ex
comunista Menichini.
PS
Scritto in disaccordo con Luca Sofri,
il quale però mi pare in disaccordo con se stesso, visto che
prima scrive di condividere l’articolo di Menichini e poi spiega
perché non lo condivide affatto
15 marzo
Laif is nau
Un solo numero (gratis) fa squillare tutti i tuoi telefoni, più altre mille mirabolanti cose. Si chiama GrandCentral, entusiasticamente recensito da David Pogue del Times
15 marzo
“Nation Building per principianti”
Il titolo dell’ultimo rapporto della Rand Corporation
15 marzo
The closing of an anglo-american mind
Russ Douthat è il più dotato tra i
giovani giornalisti/blogger conservatori. E’ redattore all’Atlantic,
mensile liberal. Sul suo blog ha scritto questo splendido post a
proposito del pessimo libro di Dinesh D’Souza sul “nemico a casa” e a commento della monomaniacalità di Andrew Sullivan:
“My friend and colleague Andrew Sullivan’s review essay on Dinesh
D’Souza’s The Enemy at Home opens a window into a brilliant mind held
hostage by its own ideological preconceptions. That mind, alas, belongs
to Andrew himself”. Sullivan è convinto che tutta la destra
americana sia in mano ai fondamentalisti (e i sondaggi favorevoli a
Giuliani e McCain?) e porta, come prova definitiva della sua bizzarra
tesi che pare tratta da articolo di Caretto, il saggio di D’Souza. Solo
che il saggio di D’Souza è stato criticato praticamente da
tutti, a destra. Il gran capo dei theocon americani, il reverendo
Richard John Neuhaus, per dire di uno che secondo le caricature
dovrebbe applaudire a scena aperta, sul numero di Aprile di First
Things ha distrutto D’Souza:
“More troubling is the implication that America, if only the American
left, is responsible for the war being waged by the Jihadists.
Recall the late Jeanne Kirkpatrick’s speech at the 1984
Republican convention and the
‘blame-America-first-crowd.’ That crowd is large
enough as it is. There’s no call for self-identified
conservatives to join it”.
15 marzo
Da Graydon al Pantheon
Il nuovo ristorante delle star di New York, di
proprietà di Graydon Carter direttore radical chic di Vanity
Fair. Speriamo faccia da mangiare meglio di quanto ci fa leggere.
14 marzo
Americanate/4
Una pizza da mille dollari da Nino’s Bellissima
14 marzo
Altri incoraggianti segnali dall’Iraq
Da quando è cominciata la prima fase
dell’operazione di sicurezza congiunta iracheno-americana (invio di
nuove truppe) gli omicidi sono passati da 1440 a 265.
14 marzo
Ecco come funziona il bias, il pregiudizio giornalistico
Non è male questa nuova polemica anti Bush, accusato di aver
licenziato 8 procuratori federali (su 93). Peccato che in nessun
articolo si ricordi che a) i procuratori servono at the pleasure of the
president, b) sono nominati e sono rimossi a discrezione del presidente; c) Bill Clinton ne fece fuori 93 in un solo giorno
del 1993 (e non voglio aggiungere il sospetto che lo fece per evitare
guai più seri in Arkansas), d) che non è una questione di
separazione di poteri (sono i giudici a essere indipendenti), ma di
responsabilità politica dell’azione penale.
14 marzo
Fahrenheit Gore Eleven
Il New York Times, dico il New York Times, apre la caccia
liberal agli errori, alle inesattezze e alle esagerazioni del
documentario di Al Gore
13 marzo
Americanate/2
Il sito della Cia, quello della National Security Agency, quello dei reduci di guerra e quello dell’Energia hanno le pagine web per i ragazzini.
13 marzo
Quello che il giornale rosa non dice/4
Da Repubblica di oggi:
“Adesso è più facile iscriversi ai campionati
I club sono con l’acqua
alla gola: hanno dovuto comprare i tornelli per poter riaprire gli
stadi e adesso hanno problemi a iscriversi al prossimo campionato. Per
questo hanno chiesto, ed otterranno, norme meno dure. Se ne sta
discutendo, in gran segreto, proprio in questi giorni. L’Italia era
più severa rispetto alla licenza Uefa: un fiore all’occhiello
della gestione-Carraro. Ora si torna indietro. Saltano i parametri:
basterà essere in regola coi pagamenti di calciatori e fisco.
Niente vincoli per la campagna acquisti”.
E, ora, quale squadra di calcio fuori dalle coppe europee è
stata trovata di recente con l’acqua alla gola e ha bisogno di norme
meno dure di quelle dei tempi di Carraro e della cosidetta calciopoli
per potersi iscrivere al campionato?
13 marzo
Ibra
Non so, davvero,
se siano più idioti quelli che lo hanno svenduto o quelli che
soltanto adesso ci spiegano quanto sia decisivo a far vincere le
partite. Tra i giornalisti sportivi, l’unico a riconoscere la
devastante superiorità di Ibra in tempi non sospetti è
stato Giorgio Tosatti, non a caso sbertucciato dai cantori della grande
bufala chiamata calciopoli.
13 marzo
Altri 4.700
Come anticipato qui,
ora c’è la conferma ufficiale che la Casa Bianca invierà
altri 4.700 soldati in Iraq, oltre i 21.500 già decisi a gennaio.
13 marzo
Americanate
Il blog collettivo dei deputati di destra e di sinistra di Washington
13 marzo
Quello che il giornale rosa non dice/3
C’è una squadra
che ha tesserato illegalmente un giocatore straniero, sia pure senza
aver ricettato e falsificato patenti e passaporti. La squadra ha subito
licenziato il manager responsabile, sebbene sul piano penale non fosse
stato condannato da nessun tribunale ordinario. La procura federale,
invece, di fronte a tale
comprovata falsificazione del campionato (anche se il giocatore in
questione praticamente non è mai sceso in campo) ha chiesto la
revoca della Coppa Italia e diciotto punti di penalizzazione nel
campionato in corso. Nel caso in questione non risultano dossier segreti né intercettazioni né spionaggio industriale. Nemmeno
scambi farlocchi di giocatori volti a gonfiare i bilanci, né
supervalutazioni di atleti ormai non idonei a giocare, né
debiti che non avrebbero permesso l’iscrizione al campionato, meno
che mai vendite fittizie del proprio marchio per far quadrare i conti.
Il giornale rosa è sempre lo stesso. La squadra è la Benetton
Treviso. Lo sport è il basket. A capo della federazione non
c’è Guido Rossi.
(grazie a Mario Sironi)
10 marzo
Piccoli Caretto crescono
Massimo Lopes
Pegna, sul giornale rosa che si trova sui banconi dei gelati nei bar
dello sport, a proposito di una allenatrice di basket che in America ha
relazioni sessuali con alcune sue giocatrici, è riuscito a
scrivere: “Ma si sa, nella provincia d’America, bigotta e neocon,
anche un piccolo spiffero di trasgressione è capace di
trasformarsi in un tornado”.
Ancora una volta, ma tanto è inutile: i neocon, ammesso che
esistano, sono 40 o 50 persone in tutto, note per essere
metropolitane (New York, Chicago, Washington) e, semmai, molto
più a sinistra del resto dell’America conservatrice sulle
cquestioni etico-sociali ed economiche. Con la provincia americana
non hanno nulla a che fare.
(grazie a Giordano)
10 marzo
I neocon sono finiti
Scommettiamo
ora che ne è arrivato uno vero al Dipartimento di Stato di Condi
Rice – si chiama Eliot Cohen – il Corriere della Sera non
ne scriverà nulla?
8 marzo
Giurati/2
Uno dei giurati del
processo Libby è un ex giornalista del Washington Post, è
stato più o meno come affidare il destino giudiziario di Previti
a un cronista di Repubblica. Ma oggi scopriamo, per sua stessa ammissione scritta di suo pugno nientemeno che su Huffington Post,
che negli anni al giornale della capitale ha avuto come capo Bob
Woodward, ovvero il primo giornalista ad aver saputo il nome di Valerie
Plame (e non da Libby). Poi scopriamo che ha fatto la scuola con
Maureen Dowd e che Maureen ebbe una cotta per il fratello del giurato.
Infine ci spiega che fino all’anno scorso è statovicino di casa
di Tim Russert. I due
giardini di casa confinavano e si dividevano l’uso di un canestro dove
i rispettivi figli giocavano a basket. Ogni tanto il giurato e Russert
facevanoil barbecue insieme. Chi è Russert?
E’ il giornalista la cui
testimonianza, peraltro confusa, contrastava con la ricostruzione
fornita da Libby al grand jury. E Libby è stato condannato
perché la giuria ha ritenuto più credibile la versione
dell’autorevole giornalista della Nbc, invece che quella del capo dello
staff di Cheney.
Uno si chiede:
perché la difesa di Libby non ne ha chiesto l’esclusione?
Risposta: perché le possibili alternative, in una città
come Washington, potevano anche essere peggio.
8 marzo
Giurati/1
Una giurata del
processo Libby, dopo averlo condannato, ha chiesto la grazia per Libby
ad Hardball, neanche fosse a Porta a Porta.
8 marzo
Quello che il giornale rosa non dice/2
La camera arbitrale
della Federcalcio ha deciso di non poter affrontare il ricorso di
Luciano Moggi perché Moggi non è più un tesserato
Figc. Peccato che, in primo grado, la Caf e la Corte d’appello federale
avessero sostenuto il contrario. Un altro esempio di giustizia giusta.
8 marzo
Battuta della settimana
Da
un lettore di Camillo la battuta (più o meno) è
questa: “Ma dunque questo Libby è della Juve?”
8 marzo
Quello che il giornale rosa non dice
7 marzo
O Riotta, Where Art Thou?
Inenarrabile la
descrizione del caso Libby fatta oggi da Ennio Caretto sul peggior
giornale italiano sulle cose americane, parente stretto di quello rosa
che si trova sui banconi del gelato nei bar dello sport.
E per non farsi mancare niente, in un altro articolo, Caretto ha definito “neocon” Ann Coulter.
7 marzo
Vecchia Europa
Basta che manchi almeno
uno dei due calciatori scippati alla Juve, che incontrino una squadra
di calcio mezza decente, che si giochi a calcio, magari con gli
spettatori e senza Guido Rossi e… plof… escono prima delle altre
squadre italiane come negli ultimi 40 anni.
7 marzo
Nadagate
Lewis
Scooter Libby
è stato condannato (4 capi d’imputazione su 5) non per aver
fatto il nome di Valerie Plame, visto che non è stato lui e
comunque non era reato farlo, ma
per aver mentito e ostruito la giustizia nell’inchiesta federale
(decisa dalla stessa amministrazione Bush) sul cosidetto Ciagate.
Cioè: non c’è stato reato, non è stato lui a fare
il nome, ma è stato condannato per un reato processuale commesso
durante l’inchiesta federale sul reato che non c’era e per il quale non
è stato incriminato nessuno. Quindi se il reato non c’era, non
avrebbe dovuto esserci l’inchiesta federale e, di conseguenza, non ci
sarebbe stata l’ostruzione al corso della giustizia e la falsa
testimoninanza. Libby andrà in galera per almeno dieci anni, in
attesa dell’appello.
7 marzo
Per far subito scendere il numero dei contatti
Camillo per qualche giorno andrà parecchio a rilento. Sorry.
6 marzo
Camillo day
Il 22 febbraio, 4952 (quattromilanovecentocinquantadue) persone sono venute a leggere Camillo.
4 marzo
Cobolli Gigli, la più grande sciagura juventina dai tempi di Luca Cordero di Montezemolo
3 marzo
On Arthur Schlesinger/2
Avete
per caso letto, nei ricordi pubblicati oggi a proposito della sua
morte, che negli anni 90 fu considerato un fascista del Ku Klux Klan
per aver criticato, con un libro, la dittatura del multiculturalismo?
Ovvio che no.
2 marzo
On Arthur Schlesinger/1
“There
are three things to say about the work of Arthur Schlesinger, who has
just died at the age of eighty-nine: (1) He was an exceptionally good
writer, commanding a lucid, vivid, and often elegant prose style. (2)
He was an exceptionally bad historian: incapable of doing justice to
any idea with which he disagreed, and so tendentious that he invariably
denigrated and/or vilified anyone who had ever espoused any such idea.
Like the so-called “Whig interpretation of history” in
England, Schlesinger’s voluminous work as a historian amounts to
the proposition that the story of freedom in America is the story of
the Democratic party, and specifically of its never-ending struggle
against the sinister bastions of privilege, oppression, and ignorance
represented by the Republicans of the modern era and their forebears.
(3) This unshakable conviction not only made his wonderfully readable
accounts of the past unreliable and in many cases even worthless; it
also warped his political judgment in the present, leading him in the
last forty years of his life to support the forces that were pushing
the Democratic party to the Left. In becoming an apologist for these
forces, he betrayed the liberalism that he himself, in The Vital
Center, had earlier espoused and whose banishment from the Democratic
party has been, and will continue to be, a calamity for this country”
Norman Podhoretz
1 marzo
Frank Ruth-Hello in “Pliz… visits… the… websites… abouts”
1 marzo
Dopo le truppe, il vertice
1marzo
Non per farmi gli affari loro
Ma nei 12 punti non è che si sono dimenticati del conflitto d’interessi? Non era la priorità numero uno?
1 marzo