IIl processo del secolo è cominciato mercoledì mattina nell’aula 1241 del Dirksen Federal Building di Chicago, Illinois. “Gli Stati Uniti contro Conrad Black” sono una formidabile rappresentazione della commedia umana di scena nell’alta società e nel mondo dell’editoria americana, londinese e canadese. Conrad Black è accusato di quindici reati federali che potrebbero costargli una condanna a novantaquattro anni di galera, con una pena possibile di quindici anni da scontare in un carcere dell’Ohio o del Texas, più una multa tra i sessantaquattro e i novanta milioni di dollari. La cauzione è stata fissata a venti milioni di dollari. L’accusa è di aver utilizzato, tra il 1997 e il 2003, in complicità con tre alti dirigenti del suo gruppo editoriale circa 391 milioni di dollari appartenenti alla Hollinger International, la società da lui fondata e guidata, ma di cui non era il proprietario unico. Secondo l’atto di incriminazione di Chicago, almeno 84 milioni di dollari sono stati spostati all’insaputa degli azionisti e del consiglio di amministrazione dai bilanci della Hollinger alla società privata di Black, la Ravelson. Conrad Black non nega di aver usufruito di quei fondi, ma sostiene che fosse tutto perfettamente legale oltre che a conoscenza del consiglio di amministrazione. Vivere dispendiosamente non è un crimine, si difende Black. Ma i suoi accusatori credono che lo sia, se il costo dei lussi è pagato dagli ignari azionisti.
Lord Conrad Black è autore di acclamati saggi storico-politici, un bon vivant colto e illuminato, il più filo americano e pro occidentale tra i canadesi e gli inglesi. Ma è noto soprattutto per essere stato il fondatore del terzo gruppo editoriale del mondo fino al momento della sua destituzione dalla Hollinger, avvenuta nel 2003. Il suo gruppo possiedeva il Daily Telegraph a Londra, il Jerusalem Post in Israele, il National Post a Toronto, il Chicago Sun-Times in America e fino a quattrocento altre testate nazionali e locali che hanno ridefinito il modo di fare giornalismo nel mondo anglosassone. Questo influente gruppo editoriale, ridimensionato nel 2000 dalla vendita in un solo giorno di 150 quotidiani alla CanWest, si è disintegrato nei mesi successivi la rivolta interna degli azionisti di minoranza che ha costretto Black alle dimissioni e ha dato il via all’inchiesta federale ora in via di giudizio a Chicago.
Lord Conrad Black non è nato nobile. Il sessantatreenne magnate canadese è diventato membro di diritto della House of Lords britannica soltanto nel 2001, dopo vari tentativi andati a vuoto ai tempi di Margaret Thatcher e poi ancora con John Mayor. Sei anni fa, su suggerimento di Tony Blair, la regina Elisabetta gli ha infine offerto il titolo di Lord di Crossharbour. L’onorificenza ha creato un caso politico-diplomatico senza precedenti tra Tony Blair e l’allora premier canadese Jean Chrétien, perché secondo un’interpretazione delle leggi canadesi la Corona britannica non può conferire titoli nobiliari a cittadini canadesi. La crociata di Chrétien contro Black, secondo molti osservatori, è stata una forma di piccola vendetta del premier contro l’editore del giornale che tanto lo aveva criticato.
Dopo mesi di processi, appelli e polemiche, nel 2001 Conrad Black ha rinunciato alla cittadinanza canadese per diventare, da cittadino britannico, Lord di Crossharbour. Black, però, ha mantenuto il privilegio di restare nel Consiglio Privato della Regina per il Canada, il prestigioso organo costituzionale dove era stato nominato nel 1992 dal precedente premier canadese Brian Mulroney. Da quando è caduto in disgrazia, Black è tornato a vivere Toronto e ora sta cercando di riottenere la cittadinanza canadese in modo che, in caso di condanna a Chicago, possa scontare la pena in Canada in condizioni meno dure di quelle che le regole americane prevedono per condannati di reati finanziari.
Al tribunale di Chicago, contro Lord Black c’è il governo federale di Washington, rappresentato dal procuratore Pat Fitzgerald, quel mastino del foro che la settimana scorsa è riuscito a far condannare l’ex capo dello staff del vicepresidente Dick Cheney per ostruzione alla giustizia e falsa testimonianza in un’inchiesta che era cominciata su ben altro. A giudicare Black, accanto ai dodici giudici popolari selezionati giovedì dopo aver risposto a un questionario di 140 domande approvato da accusa e difesa, c’è una preparatissima e volenterosa giudice quarantaseienne, Amy St. Eve, già assistente di Kenneth Starr nel Whitewater, l’inchiesta federale sullo scandalo immobiliare dei coniugi Clinton che negli anni Novanta ha portato all’impeachment del quarantaduesimo presidente degli Stati Uniti.
Sul banco dei testimoni di Chicago si alterneranno grandi personaggi della finanza e dell’editoria di entrambe le sponde dell’Atlantico, tra cui il principe della politica estera realista Henry Kissinger e il principe delle tenebre neoconservatrici Richard Perle, entrambi arruolati da Conrad Black nello stesso board della sua azienda malgrado le loro differenze ideologiche. E’ probabile che Kissinger e Perle testimonino contro Black, accusandolo di aver ingannato non solo gli azionisti ma anche i membri del consiglio di amministrazione della Hollinger, cioè loro stessi. Viceversa sarebbero più o meno complici oppure, come sostiene Black, semplicemente al corrente di tutte le operazioni finanziarie decise del magnate.
Oltre a Kissinger e Perle, nel board dei direttori dell’azienda, nominati personalmente da Black, c’erano altre star come l’ex governatore dell’Illinois, James Thompson, e l’economista e presidentessa del MoMa di New York Marie-Josée Kravis. Gli azionisti che si sono ribellati a Black, in realtà, sono convinti che i direttori non sapessero nulla delle manovre di Black, ma non mancano di notare che sono stati perlomeno inadempienti, oltre che felici di prendere gettoni da 25 mila dollari e di poter usufruire di quel trattamento regale che Lord Conrad sapeva offrire ai suoi amici. La difesa di Black li chiama in causa, confidando che la giuria difficilmente potrà credere che queste vecchie volpi della politica e dell’economia si sono fatte imbrogliare da Black.
L’asso in mano all’accusa è l’ex socio e braccio destro di Black, David Radler, il quale dopo una prima fase in cui si è dichiarato innocente ha improvvisamente patteggiato una pena di 29 mesi in un carcere canadese più 250 mila dollari e ha deciso di testimoniare contro il suo ex amico Black.
Nessuno di questi grandi personaggi, però, regge il confronto con il fascino e il mistero che si respira intorno a Lady Black, la dama nera. Barbara Amiel è una delle più brillanti columnist anglo-canadesi, collaboratrice dei principali quotidiani e settimanali dei due paesi. Nel 1992, in quarte nozze, si è sposata con Black. Oggi è l’imputato ombra del processo di Chicago, l’oggetto di pettegolezzi fantastici, di invidia e di ammirazione assoluti a seconda di chi ne parla. Bella, anzi bellissima, intelligente e irresistibile ancora oggi che ha sessantasette anni, Barbara Amiel è descritta dagli accusatori di Lord Black come la reincarnazione di un’avida e cinica cortigiana balzacchiana, nata e cresciuta poverissima ma – una volta raggiunto il successo – colpita da “una stravaganza che non conosce limiti”, come autoironicamente ama ripetere lei stessa.
Gli avvocati di Conrad Black hanno chiesto alla giudice St. Eve di lasciar fuori Lady Black dal processo, di non menzionare in aula le sue spese folli e la sua lussuosa frivolezza. Il giudice di Chicago ha detto di no, con grande gioia degli oltre centotrenta giornalisti accreditati e, soprattutto, dell’accusa federale che non vede l’ora di poter sfruttare mediaticamente la mitologica altezzosità della dark lady, una gran dama che s’è fatta costruire un cinema in casa perché non sopporta la puzza della gente nelle sale pubbliche.
Barbara Amiel e la sua sfrenata condotta di vita saranno quindi al centro del processo, anche perché una parte degli 84 milioni sottratti alla Hollinger, almeno secondo l’accusa, sono serviti a pagare l’happy life e gli eccessi nell’alta società di Lady Black, a cominciare da un aereo privato intercontinentale che Conrad ha dovuto prendere dopo una cena a casa di ipermiliardari americani. Era successo che i Black avevano dovuto interrompere anzitempo la cena, perché dovevano correre a fare il check-in in aeroporto per tornare a Londra. “Non mi sono mai sentita così umiliata in vita mia”, ha detto Barbara a Conrad sulla limousine diretta verso Jfk, secondo il racconto della cattivissima biografia sul loro conto scritta da Tom Bower.
La società di Black, in realtà, un jet ce l’aveva già, ma non era abilitato a tratte intercontinentali. Alcune settimane dopo, Lord Black ha preso in affitto un Gulfstream IV, al costo per la Hollinger di 3 o 4 milioni di euro annui. Lady Barbara ha fatto installare nuove poltrone in pelle, due divani e un secondo bagno per il personale. Il costo delle migliorie, addebitato alla Hollinger, è stato di 3 milioni di dollari. Il punto dell’intera inchiesta è che la Hollinger non era di Black, anche se lui si comportava come se lo fosse. Formalmente Lord Black aveva soltanto il 15 per cento della Hollinger, il resto era in mano agli azionisti istituzionali. Legalmente, attraverso un’altra società, Black controllava il 78 per cento dei voti degli altri azionisti, quindi guidava il gruppo come se fosse suo. A un certo punto gli altri azionisti si sono ribellati, preoccupati dall’uso privato e sfrenato che Black faceva della società, trasformata in quella che nel circolo ristretto di amici veniva chiamata “la banca di Conrad”. Lì è cominciato il disastro.
Lady Black – pantaloni marroni, top rosso e borsa di pelle rossa – ha accompagnato in aula il marito, mostrandosi al suo fianco nel momento della difficoltà, come le avevano consigliato i difensori per impressionare favorevolmente la giuria. L’obiettivo dei difensori di Black è quello di trasformare l’imputato in un “simpatico nobile”, ma perché il piano funzioni alla perfezione è necessario che Black non appaia impassibile e gelido e incapace di sorridere come il Kenneth Lay dello scandalo Enron. Per entrare nella parte, Lord Black ha deciso di pubblicare un saggio storico su Richard Nixon, proprio in questi giorni, e per tutta la durata del processo ha scelto una camera ammobiliata da 95 dollari a notte alle Presidential Towers di Chicago. I coniugi Black non possono permettersi gli sfarzi di un tempo (secondo l’accusa non potevano permetterseli neanche prima), eppure quando Black è stato estromesso la vita di relazioni è continuata come se niente fosse accaduto. I suoi avversari si sono convinti che utilizzassse fondi neri sottratti alla Hollinger, secondo alcuni stimati intorno a 200 milioni di dollari, ma lui alla Corte di Chicago ha detto che gli sono rimasti soltanto 300 mila dollari e, l’altro giorno, in un articolo scritto di suo pugno sul National Post ha detto che Barbara e lui ormai sono proprietari soltanto di un paio di cani e di gatti. Ad agosto, il procuratore Fitzgerald ha accusato Black di nascondere alla Corte i suoi reali assett finanziari e ha dimostrato che, malgrado sostenesse di non avere nessun introito, continuava a spendere oltre 200 mila dollari il mese, 114 mila dei quali per pagare il mutuo della nuova casa di Toronto. Una banca ha dovuto svelare che Lord Black nel suo conto aveva 275 mila dollari che, con grande imbarazzo, l’ex magnate ha spiegato essere l’ultima parte di due milioni di dollari ricevuti in prestito da sua moglie Barbara. Alla fine dell’estate 2006, una corte canadese gli ha bloccato tutti i conti, compresi quelli nei paesi offshore dove aveva depositato i soldi della vendita delle case a Londra, New York e Palm Beach, consentendogli di prelevare soltanto 46 mila dollari il mese per le spese correnti più gli onorari per i suoi avvocati.
Il caso di Chicago è sulle prime pagine canadesi e inglesi, ma più sotto tono negli Stati Uniti, proprio nel paese dove secondo l’accusa sarebbe stato commesso il reato. La spiegazione è che questo scandalo finanziario non c’entra nulla con il genere di crac tipo Enron o di altri colossi crollati sulle spalle dei piccoli azionisti che in quelle aziende avevano investito risparmi, liquidazioni e pensioni. Gli azionisti della Hollinger sono, piuttosto, fondi di investimento e altri finanziatori istituzionali, rimasti insoddisfatti della condotta di Conrad Black e dei suoi tre coimputati. I guai di Black sono cominciati nel 2003, quando il capo di uno dei fondi di investimento presenti nel capitale della Hollingeer si è accorto che la società produceva utili e che il 95 per cento di questi finiva diritto nelle tasche dei principali manager. Gli azionisti hanno chiesto a Black la restituzione dei soldi e hanno chiamato gli avvocati. L’accusa principale è quella di aver tenuto per sé, anziché lasciarli alla Hollinger, i 32 milioni di dollari delle varie “clausole di non concorrenza” che, dal 1997, le società acquirenti dei giornali della Hollinger hanno versato all’azienda di Black perché si impegnasse per un paio d’anni a non lanciare altri quotidiani concorrenti nelle stesse zone. Nel 2000 la stessa cosa è avvenuta quando la Hollinger ha venduto 150 giornali alla CanWest per oltre tre miliardi di dollari. I cinquantadue milioni di dollari pagati dalla CanWest per assicurarsi la non concorrenza della Hollinger sono finiti nelle casse della società privata di Conrad Black e nelle tasche dei suoi tre principali collaboratori. Il capo della CanWest, David Asper, in realtà ha scagionato Conrad Black, spiegando che “se Lord Black avesse deciso di vendere i suoi interessi nella Hollinger, avremmo voluto che fosse lui, non la Hollinger, a non competere con noi”. L’asset era lui, Lord Conrad Black, non una società per azioni qualsiasi in mano a gestori di conti di investimento.
Le altre accuse sono di più grande impatto mediatico: una favolosa vacanza a Bora Bora, l’uso privato del jet privato, un luccicante party newyorchese, i meravogliosi appartamenti a Manhattan. Gli altri azionisti della Hollinger, e ora i procuratori federali, gli hanno contestato 500 mila dollari per una vacanza a Bora Bora (costata un milione) addebitati sui conti della società, “quando chiaramente non c’era nessun obiettivo di business”. Nel dicembre 2000, Black ha organizzato una cena a sorpresa per il sessantesimo compleanno di sua moglie Barbara al ristorante La Grenouille di New York. Il costo è stato di 62 mila dollari, 20 mila pagati da Black, il resto addebitati alla Hollinger. Black rivendica la spesa, spiegando che quella cena è stata una formidabile occasione per fare affari. Donald Trump, il re del mattone newyorchese, conferma e lo ripeterà in aula al processo di Chicago: “Abbiamo discusso della compravendita del palazzo Hollinger di New York e di molte altre cose”. L’accusa sostiene, inoltre, che nel 2000 Black abbia usato un milione e mezzo di dollari della società per ristrutturare il suo appartamento di Park Avenue e di aver acquistato per tre milioni di dollari un altro appartamento dalla Hollinger nello stesso building che, in realtà ne valeva molti di più (nel 2005, Black l’ha venduto a 10 milioni e mezzo di dollari). E, ancora, i servizi di posate d’argento, le porcellane cinesi, i diciassette tra valletti e maggiordomi e cuochi e autisti, 25 mila dollari in drinks, 2.700 dollari per due posti all’Opera House di Seattle per sentire il Ring di Wagner, 2.785 dollari per i completi da ginnastica di Barbara e 2.500 per un paio di borse, comprensivi di mancia ai commessi del negozio newyorchese Bergdford Goodman, sono i dettagli del grande feulleitton giudiziario di scena a Chicago.
Oggi il gruppo Hollinger ha cambiato nome e possiede soltanto una partecipazione nel Chicago Sun-Times, qualche tabloid locale e in una società di elenchi del telefono. C’è qualcuno che comincia a chiedersi se la cacciata di Conrad Black sia stato un bene per gli azionisti che si lamentavano delle spese folli dell’allora presidente del gruppo. Con Conrad al timone, nonostante gli sprechi, la Hollinger era il terzo gruppo editoriale del mondo, ora le azioni valgono un quarto rispetto al giorno in cui è stato costretto alle dimissioni. I conti sono andati in rosso e non c’è in vista nessun piano industriale di ripresa. Gli opinionisti Mark Steyn e George Jonas fanno notare che l’inchiesta interna degli azionisti, guidata da un ex presidente della Sec noto per voler ridurre alla fame i colpevoli di reati finanziari, alla fine dell’anno scorso era già costata 136 milioni di dollari. Oggi sarà già pari alla cifra che Conrad Black avrebbe derubato al gruppo.
Gli amici di Lord Black sono convinti che verrà condannato, anche se sarà difficile convincere la giuria al di là di ogni ragionevole dubbio che il suo obiettivo fosse davvero fraudolento. Lady Black teme il peggio. L’unico che ci crede è lui, Conrad Black, malgrado abbia dovuto subire l’umiliazione dalla sua amata America. Black però è convinto di essere finalmente entrato nel secondo dei tre atti della sua saga giudiziaria. Il primo, quello del crollo, è appena terminato, ma lui ha resistito, non ha mollato ed è ancora qui a combattere. “Sono un freedom fighter – ha detto – Nemmeno i marine riuscirebbero ad abbattermi”. Ora c’è il processo, il momento della rivincita che si concluderà in tre mesi. Quindi, a suo parere, ci sarà il terzo atto: il riconoscimento di non colpevolezza, la rinascita aiutata da tre miliardi di dollari in cause di diffamazione ancora pendenti, e la successiva e gustosissima vendetta che amici e nemici, entrambi, temono possa essere senza pietà.
18 Marzo 2007