Camillo di Christian RoccaD'Alema presenta all'Onu il suo piano per la pacificazione del centrosinistra

New York. Il ministro degli Esteri italiano Massimo D’Alema ha presentato alle Nazioni Unite, in perfetto inglese, la sua proposta di pacificazione del centrosinistra italiano, ancora privo di una politica estera contro il fondamentalismo islamo-fascista e anzi protagonista di una mediazione tra governo afghano e talebani, “con la comprensione americana”, per il rilascio di Daniele Mastrogiacomo in cambio della liberazione di cinque capi talebani. La trattativa non è piaciuta al portavoce dell’Onu in Afghanistan, Adrian Edwards, il quale ha tenuto a specificare che “l’Onu non tratta coi terroristi”. Invece l’idea fassiniana di una conferenza di pace allargata ai talebani ha irritato l’ambasciatore afghano a Roma, che ieri ha escluso l’ipotesi.
L’occasione per portare un po’ di pace nel centrosinistra a Roma è stata la riunione sull’Afghanistan del Consiglio di sicurezza. Il ministro degli Esteri – emozionato per la sua prima volta, ma anche compiaciuto quando al termine della seduta l’ambasciatore francese lo ha chiamato “primo ministro D’Alema” – ha proposto una Conferenza internazionale per l’Afghanistan. La proposta è sembrata diversa da ciò che è stato detto e scritto in Italia nei giorni scorsi, esattamente come nel colloquio con Condoleezza Rice di Washington non è stato posto, malgrado il roboante annuncio prima della partenza, né il caso Calipari né il caso Abu Omar, forse per non forzare la “comprensione americana”.
Quella che, in italiano, passa per una grande proposta di pace, cioè di trattativa col nemico talebano e di ripensamento delle strategie occidentali, nell’ovattata sala del Consiglio è stata presentata come il quarto o quinto round di incontri internazionali sull’Afghanistan, sulla scia di quelli di Bonn e Londra, oltre che la naturale continuazione di altri meeting già fissati da tempo, come quello del 30 maggio all’interno del G8 e un altro, a Roma, sullo stato di diritto e la giustizia. D’Alema ha usato un acronimo “Jcmb” per descrivere il formato che dovrà avere la Conferenza afghana. Jcmb sta per Joint Coordination and Monitoring Board ed è il comitato di controllo dell’accordo di cooperazione (il Compact) tra l’Onu, l’Afghanistan e la comunità internazionale siglato a Londra l’anno scorso e ancora in vigore per quattro anni.
La sedia vuota di Ban Ki-moon
Malgrado ciò, e nonostante la bozza di risoluzione sull’Afghanistan ricordi già l’importanza di un maggiore ruolo Onu nella cooperazione regionale, resta improbabile che la proposta italiana presentata ieri da D’Alema possa entrare nella risoluzione al vaglio del Consiglio di sicurezza. L’idea della Conferenza è stata accolta con cautela, se non con freddezza, dal Consiglio di sicurezza dell’Onu e la sensazione che si trattasse del momento decisivo per il futuro dell’Afghanistan si percepiva soltanto tra la folta delegazione italiana. D’Alema, infatti, era l’unico ministro degli Esteri presente. Gli altri paesi erano rappresentati dagli ambasciatori o da funzionari di grado inferiore. Per gli Stati Uniti ha parlato la numero tre della missione. La sedia del segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, è restata vuota e nella tribunetta stampa c’erano solo cronisti italiani. Quasi tutti i paesi membri, compresi gli Stati Uniti, hanno ringraziato la leadership dalemiana, senza impegnarsi sul merito, cosa che ha consentito a D’Alema di dire che i partner stanno valutando “con attenzione” la sua proposta (il giorno prima aveva riscontrato in Condoleezza Rice “un atteggiamento non negativo, ma interlocutorio”). Le domande poste dai giornalisti mediorientali a D’Alema sono state sul governo palestinese, sul Libano, sull’Iran, mentre l’Afghanistan è spuntato solo quando gli sono state riportate le critiche della comunità internazionale per il rifiuto italiano di intraprendere un ruolo più attivo.

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