New York. Il Partito democratico americano conferma sempre di più la sua risolutezza contro il pericolo nucleare degli ayatollah iraniani e continua a non avere una linea chiara e definita sull’Iraq a causa della spaccatura tra l’ala moderata e quella radical-pacifista. I leader democratici della Camera di Washington lunedì hanno deciso di ritirare dalla risoluzione sull’Iraq il paragrafo con cui, in un primo momento, avrebbero voluto imporre a George W. Bush di tornare al Congresso e chiedere una specifica autorizzazione nel caso volesse avviare un’azione militare contro Teheran. Questo paragrafo è stato cancellato e, indirettamente, dà forza all’interpretazione bushiana dei poteri di guerra. Senza questa imposizione, infatti, Bush potrebbe decidere un intervento contro i siti nucleari iraniani semplicemente sulla base delle precedenti autorizzazioni ricevute dal Congresso per combattere la guerra al terrorismo. L’ala moderata del Partito democratico ha chiesto alla speaker Nancy Pelosi (ieri fischiata all’assemblea della lobby pro israeliana dell’Aipac per i suoi commenti contro la guerra in Iraq) di ritirare la richiesta sull’Iran, perché la sua approvazione avrebbe potuto avere un impatto negativo su Israele, ma lo ha fatto anche per rendere meno indigesto il pacchetto iracheno che prevede il rientro obbligatorio delle truppe americane per la fine del 2008.
La scelta di escludere la richiesta di autorizzazione a colpire l’Iran dal pacchetto di finanziamento della nuova e irrobustita missione irachena decisa da Bush si aggiunge alla proposta di legge del presidente della commissione Affari esteri, il democratico Tom Lantos, che prevede sanzioni economiche durissime nei confronti del regime di Teheran, ma anche contro le aziende straniere che continuano a fare affari con l’Iran. L’attenzione, dunque, è sull’Iraq. Il testo della risoluzione democratica comincerà a essere discusso domani in una commissione della Camera. La Casa Bianca aveva chiesto 100 miliardi di dollari per finanziare l’aumento di truppe in Iraq (21.500 in totale), ma nei giorni scorsi, su richiesta dei generali impegnati in Iraq, il presidente ha deciso che invierà altri 4.700 soldati e, di conseguenza, ha chiesto al Congresso altri 3 miliardi, che troverà tagliando da qualche altra parte. La risoluzione dei democratici concede alla Casa Bianca i soldi per la nuova strategia e l’invio dei 26.200 nuovi soldati e, inoltre, aumenta la spesa per i soldati di altri 20 miliardi di dollari, smentendo le ipotesi circolate nei mesi scorsi secondo cui il nuovo Congresso a maggioranza democratica uscito dalle elezioni di metà mandato avrebbe tagliato i finanziamenti alla missione irachena. La risoluzione, però, concede anche all’ala radicale del partito, fissando una data certa di rientro delle truppe combattenti nell’ottobre 2008 o, magari, anche prima nel caso il governo iracheno non riuscisse a rispettare gli impegni politici, militari e sociali assunti al momento dell’avvio della nuova strategia delineata da Bush.
La Casa Bianca ha già ufficialmente minacciato il veto, ma probabilmente sarà già il Senato, dove i democratici non hanno i voti necessari, a bloccare il compromesso che la Camera si appresta a votare. Dopo essersi preso le critiche del vicepresidente Dick Cheney, ieri “il piano Pelosi per l’Iraq” è stato strapazzato dal primo editoriale del Washington Post, giornale liberal e non affine all’Amministrazione Bush. Secondo il Post, il piano dei democratici ha senso soltanto se l’obiettivo è conquistare voti negli Stati Uniti, ma non è né nell’interesse del paese né, tantomeno, in quello degli iracheni.
14 Marzo 2007