Il surreale tentativo del quotidiano La Repubblica di negare che cia stato un durissimo rimbrotto americano a Sua Eccellenza il Ministro Max D’Alema, nell’edizione di ieri ha raggiunto vertici sublimi con un articolo a pagina 9 titolato: “E il portavoce Usa disse ‘Nessun problema su Mastrogiacomo’”. Ovviamente questa frase virgolettata, attribuita al portavoce americano Sean McCormack, Rep. se l’è inventata di sana pianta, in omaggio al principio giornalistico (diciamo così) che consente al redattore di turno a Largo Fochetti di sintetizzare a suo piacere le frasi pronunciate da qualunque sventurato citato in un articolo di Rep.
Fin qui è la solita approssimazione dei republicones, di per sé non meritevole del ritorno di Redazionalmente Corretto. Repubblica, però, spaccia per ricostruzione “documentale” un suggerimento dalemiano offerto domenica in un’intervista al quotidiano di Largo Fochetti. D’Alema aveva ribadito la sua ricostruzione, quella smentita ufficialmente dal Dipartimento di Stato, secondo cui gli americani avevano prima manifestato “comprensione” salvo poi ripensarci dopo aver fatto altre valutazioni, “magari su pressione dei militari, o di qualche alleato”. D’Alema aveva chiesto di andare a rileggersi le trascrizioni delle conferenze stampa del portavoce del Dipartimento di Stato. E Rep. diligentemente l’ha fatto, però a metà. Sicché, nell’articolo di ieri, rubricato “il documento”, ha raccontato che “nei briefing di McCormack non ci furono critiche all’Italia”.
Rep. cita ampiamente le trascrizioni dei briefing di mezzogiorno del 19 e del 20 marzo, ovvero dei giorni in cui D’Alema è arrivato a Washington e poi a New York. In quelle due occasioni il portavoce del Dipartimento di Stato non aveva detto una parola sulle modalità di rilascio di Mastrogiacomo, né contro né a favore, anche perché ancora non c’erano state, o non erano ancora arrivate a Washington, le rivendicazioni dalemiane di “comprensione” americana. Il problema è che Rep. si è dimenticata di andare a leggere il briefing del 22 marzo (disponibile anche in video, qualora il sito di Rep. fosse interessato), cioè della mattina successiva al rimbrotto americano a D’Alema. Rep., inoltre, si è dimenticata di consultare una fonte cui solitamente tiene molto, cioè la stessa Rep. del 22 e del 23 marzo, dove a firma del corrispondente Mario Calabresi c’era scritto esattamente come erano andate le cose. E non perché Calabresi sia una quinta colonna di Cheney, come i gregari del Foglio, piuttosto perché era uno dei cinque giornalisti convocati ufficialmente dal Dipartimento di Stato il 21 marzo per ascoltare la smentita a D’Alema.
Al briefing del 22, ignorato dal “documento” di Rep., McCormack ha spiegato che cosa era successo: nei due giorni precedenti gli americani “non erano al corrente dei dettagli di questo patto che era stato siglato tra il governo italiano e quello afghano” e ha specificato che “certamente al momento della cena con D’Alema, il Segretario di Stato non era al corrente di questi accordi”. La prova che il portavoce della Rice non s’è inventato una scusa ex post si trova sempre su Rep. del 23 marzo, ancora a firma di Mario Calabresi, dove si legge che gli americani si sono incavolati nel momento esatto in cui al Dipartimento di Stato sono arrivate le traduzioni delle dichiarazioni dalemiane sulla “comprensione” americana e della comunicazione parlamentare di Ugo Intini di conferma ufficiale dello scambio di prigionieri. L’altro pilastro della tesi republicones, nonché dalemiana, è che le critiche all’Italia siano state anonime, quindi non ufficiali. Peccato non sia vero, come ha scritto il corrispondente di Rep. convocato appositamente dal Dipartimento di Stato per ascoltare Kurt Volker, il numero 3 di Condi Rice, il quale ha criticato l’Italia “a nome del suo governo”. Qui ci sarebbe da spiegare ai republicones, e a D’Alema, la differenza tra un background briefing e una fonte anonima, ovvero tra il giornalismo anglosassone e quello alle vongole, ma per carità di patria evitiamo.
27 Marzo 2007