Camillo di Christian RoccaChi vuole e perché lo scalpo del lupo

New York. Al presidente della Banca mondiale, Paul Wolfowitz, mezzo mondo vuole tagliare lo scalpo. Ora i giornali gli contestano anche una storia del 2003, quando da vice al Pentagono inviò in Iraq la sua compagna Shaha Ali Riza, nota militante dei diritti della donna nel mondo musulmano. L’inchiesta si è conclusa da tempo con la completa assoluzione di Wolfowitz, ma ricordarla oggi aiuta la campagna per la sua destituzione. A poco a poco, ha scritto l’Economist, tutti gli architetti della guerra in Iraq stanno uscendo di scena. George Bush il 20 gennaio 2009 lascerà la Casa Bianca. Dick Cheney è meno spavaldo ed è il primo vicepresidente in cinquant’anni che non si candida alla successione. Il suo ex capo dello staff, Lewis Libby, è stato giudicato colpevole di falsa testimonianza in un processo avviato da motivazioni politiche. Donald Rumsfeld è stato dimissionato, così come i due generali Tommy Franks e John Abizaid. John Bolton è rimasto impigliato nella rete Onu. Douglas Feith non si occupa più della direzione strategica dell’intelligence militare. Condi Rice è più attenta agli aspetti pragmatici della politica estera. La guerra in Iraq, in realtà, ha consumato anche i suoi critici più seri e razionali, da Colin Powell all’ex direttore della Cia George Tenet (del quale la prossima settimana escono le memorie). Questo non vuol dire che la dottrina Bush sia una reliquia del passato. Elliot Abrams, genero di Norman Podhoretz, guida ancora la campagna per la democrazia in medio oriente dalla Casa Bianca. Bill Kristol, Charles Krauthammer, David Frum, David Brooks sono più presenti che mai nel dibattito pubblico anche sui grandi giornali liberal. La stessa cosa si può dire dei loro strani compagni di strada di sinistra: Christopher Hitchens, Paul Berman e Martin Peretz. Addirittura Richard Perle è il protagonista di una serie tv della Pbs che fino a pochi mesi fa sarebbe stata impensabile (“America at Crossroads” spiega in undici puntate le ragioni dell’intervento politico, ideale e militare contro il fondamentalismo islamico). I tre principali candidati repubblicani alla Casa Bianca, Rudy Giuliani, John McCain e Fred Thompson, si affidano a consiglieri di area neocon per la politica estera. La favorita sul fronte democratico, Hillary Clinton, è la meno distante nel suo partito dall’idea dell’interventismo democratico.
La crociata contro Wolfowitz rientra in questo quadro e si spiega anche con la sua aggressiva campagna anticorruzione e con l’enfasi posta sulla riduzione dei costi della struttura burocratica della Banca. La promozione e l’aumento di stipendio alla sua compagna, secondo il Wall Street Journal è solo un pretesto, forse addirittura una trappola. Shaha Riza stava per essere promossa già prima dell’arrivo di Wolfowitz. Con fare un po’ maschilista è stata invitata a lasciare la Banca quando è stato nominato il suo compagno, ma lei ha rifiutato. I documenti interni, resi noti tre giorni fa, raccontano che il primo atto di Wolfowitz è stato di ricusare se stesso dalla controversia riguardante la fidanzata, costretta a non poter più lavorare e a non poter avanzare di carriera durante il suo mandato. Il Comitato etico della Banca gli ha risposto che “la potenziale e improvvisa interruzione della prospettiva di carriera le sarà riconosciuta con una promozione sulla base del suo qualificato curriculum”. Nello stesso memo, il comitato etico ha autorizzato Wolfowitz a comunicare l’indicazione al capo del personale, in modo da realizzarla subito. Insomma, le dimissioni sembrano chieste più per il suo ex lavoro al Pentagono che per quello alla Banca mondiale.

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