Orangeburg (Carolina del Sud). Otto candidati del Partito democratico. Due star, Hillary Clinton e Barack Obama, quattro solidi comprimari, due guastafeste. L’auditorium dedicato a Martin Luther King. La diretta televisiva sulla Msnbc. La lunga campagna elettorale americana è cominciata sul serio giovedì sera all’University of South Carolina, sede del primo dibattito presidenziale tra i candidati del Partito democratico e luogo simbolo del movimento per i diritti civili degli anni Sessanta. Al centro del campus, un monumento ricorda i tre ragazzi neri uccisi la sera dell’8 febbraio 1968, quando i poliziotti aprirono il fuoco sul corteo di studenti contro la segregazione razziale che vietava loro l’accesso al bowling.
I candidati hanno parlato di varie cose, di assistenza sanitaria, di ambiente, di energia, ma ovviamente il cuore del dibattito sono stati l’Iraq e la politica estera. Il giorno precedente il Congresso aveva votato il finanziamento delle truppe in Iraq, ma anche un calendario di ritiro da Baghdad. Sei degli otto candidati hanno provato a mostrarsi seri, duri e credibili sulle questioni di sicurezza nazionale, il loro punto debole degli ultimi trent’anni, ma i due pacifisti, Dennis Kucinich e Mike Gravel, hanno fatto il gioco opposto, denunciando l’ipocrisia dei colleghi che dicono di voler porre fine alla guerra, ma poi continuano a finanziarla. Kucinich è un deputato dell’Ohio, veterano delle primarie (c’era già nel 2004), Gravel è stato riconosciuto da pochissimi quando è salito per primo sul palco del dibattito, malgrado sia stato senatore dell’Alaska per due mandati. “Sull’Iraq c’è stato il consenso unanime dei candidati, sono tutti favorevoli a finanziare le truppe e a fissare la data del ritiro”, ha detto al Foglio l’ex capo dello staff di Bill Clinton, John Podesta, evitando volutamente di considerare le posizioni di Kucinich e Gravel. “Mi fate paura – ha detto Gravel rivolgendosi in particolare a Hillary e Obama – perché quando dite di non voler escludere nulla riguardo all’Iran, ci vedo la parola in codice per l’uso di armi nucleari”. Hillary e Obama hanno fatto finta di niente e non hanno alzato la mano, quando il conduttore ha chiesto loro chi fosse favorevole alla proposta di Kucinich di avviare la procedura di impeachment nei confronti di Dick Cheney.
Era la prima volta che Hillary Clinton e Barack Obama – appaiati sia nei sondaggi sia nella raccolta dei fondi elettorali – si confrontavano a tutto campo. Alla fine del dibattito, l’unica cosa che interessava sapere era chi avesse vinto tra i due. Nella spin room, cioè nella sala dove si sono catapultati i candidati di seconda fascia e i consiglieri di Clinton, Obama ed Edwards, ciascuno ha raccontato la propria versione, con particolare fermento da parte degli edwardsiani. Un sondaggio ha rilevato la vittoria di Obama, ma il sentimento diffuso era quello di una forte delusione per la performance del senatore dell’Illinois, apparso impacciato e non completamente a suo agio con il formato del dibattito che richiedeva risposte secche e non gli consentiva di esercitare la sua famosa arte affabulatoria. Alla domanda sui tre principali alleati degli Stati Uniti ha risposto Europa, Giappone, si è messo a parlare della Cina, dimenticandosi – come ha sottolineato il conduttore – di Israele.
Hillary, al contrario, è sembrata di gran lunga la più professionale, la più preparata, la più presidenziale. “Li ha stesi tutti per knock out alla domanda sull’attacco terroristico contro due grandi città americane”, ha detto al Foglio Podesta, oggi presidente del Center for American Progress, ma pronto a tornare alla Casa Bianca con Hillary. Il conduttore Brian Williams aveva chiesto che tipo di risposta, intesa come risposta militare, avrebbero preparato e come sarebbe cambiato l’impegno americano all’estero nel caso in cui al Qaida, “Dio non voglia”, avesse colpito due città americane. Obama ha parlato di soccorsi, di intelligence e di consultazioni con la comunità internazionale. Edwards ha detto che, una volta saputo con certezza a chi attribuire la responsabilità, avrebbe agito velocemente. Hillary, senza esitazioni, ha detto che il presidente deve subito organizzare una risposta militare “veloce e prudente” e ha aggiunto che “se siamo stati attaccati e conosciamo chi c’è dietro e se ci sono nazioni che hanno sostenuto o dato supporto materiale a chi ci ha attaccato, credo che si debba rispondere velocemente”. Anche Bill Richardson, al quale la domanda non era stata posta, ha detto che avrebbe risposto “aggressivamente e militarmente”. Alla fine del dibattito, parlando con il Foglio, Richardson s’è lamentato che la domanda sull’attacco terroristico fosse stata posta soltanto a Clinton, Obama ed Edwards, ovvero ai tre principali candidati, come a segnalare che soltanto uno di questi tre ha serie possibilità di conquistare la nomination democratica. Ci sono anch’io, ha spiegato Richardson, l’unico ispanico, del west, contrario all’aumento delle tasse, con la più ampia esperienza internazionale, favorevole alla diffusione della democrazia (“sono stato presidente di Freedom House”) e tra tutti i candidati, compresi i repubblicani, il favorito dalla Nra, la potente lobby delle armi. “Ho approfittato di un’altra domanda, per tornare sullo scenario dell’attacco terroristico – ha detto al Foglio – perché certamente richiedeva una risposta presidenziale”. Obama, ha notato Podesta, s’è accorto di non aver fornito una “risposta presidenziale”, così alcuni minuti dopo è tornato sull’argomento per precisare che “abbiamo nemici veri che devono essere catturati e le cui reti devono essere smantellate”. La precisazione, dettagliata con particolari sull’uso letale della forza contro i terroristi, ha scatenato i due pacifisti, i quali lo hanno accusato di voler iniziare una guerra con l’Iran. Obama s’è difeso, spiegando che considera un errore attaccare Teheran, ma anche più pericoloso consentirgli di costruirsi la bomba, visto che è “il principale sostenitore del terrorismo”. “Contro chi diavolo vuoi lanciare l’atomica, Barack?”, ha urlato Gravel. “Non sto progettando di bombardare nessuno per adesso, te lo giuro”, ha risposto Obama. “Bene, bene. Per un po’ allora siamo al sicuro”, ha replicato Gravel.
28 Aprile 2007