Camillo di Christian RoccaLettera dall'Italia

Ieri il Washington Post ha pubblicato un estratto di un nuovo libro scritto da un suo giornalista, Peter Eisner, sulla vicenda dei falsi documenti italiani che avrebbero dovuto provare l’acquisto iracheno di uranio nigerino. Il libro s’intitola “The Italian Letter: How the Bush Administration Used a Fake Letter to Build the Case for War in Iraq” e varrà la pena di leggerlo con attenzione, sebbene sostenga la tesi opposta a quella raccontata su queste colonne nei mesi scorsi. Liquidiamo subito ciò che non ci convince della tesi secondo cui Bush avrebbe giustificato la guerra in Iraq sulla base dei documenti in possesso dei servizi italiani: nel famoso discorso sullo Stato dell’Unione del 2003, Bush non ha giustificato la guerra sulla base dei documenti italiani, ma – esplicitamente – sulla base di ciò che risultava al governo britannico e che, tra l’altro, non era l’avvenuto acquisto di uranio, come risultava dal falso contratto italiano, ma solo il tentativo di acquisto. Ancora oggi, Londra sostiene che a) quelle informazioni erano corrette e b) non si basavano sui documenti italiani. Ci sono numerosi altri dettagli a non convincere, ma questo editoriale non vuole criticare un lavoro giornalistico che, stando all’anticipazione, sembra serio e documentato. Segnaliamo il libro del cronista del Washington Post, infatti, per sottolineare la differenza di stile e di correttezza tra un’inchiesta politico-giornalistica condotta da un grande giornale americano e la sua versione italiana di qualche mese fa. Il giornalista del Washington Post crede che Bush abbia utilizzato i documenti “italiani” senza aver tenuto conto dei caveat che vari funzionari della Cia e del dipartimento di stato avevano posto riguardo alla loro attendibilità. I cronisti di Repubblica hanno sostenuto la stessa tesi, ma costruendoci intorno un fumettistico complotto politico-spionistico (la Nigerbarzelletta) per incastrare i servizi italiani, Silvio Berlusconi e perfino Carlo Rossella, allora direttore di Panorama. Leggete la ricostruzione fornita dal Washington Post e scoprirete che i servizi italiani, in quanto tali, non c’entrano, men che mai il governo Berlusconi (anche perché i documenti sono stati falsificati quando a Palazzo Chigi c’era il centrosinistra). Avrete anche la notizia che la motivazione dell’ex agente deviato che voleva vendere i documenti a Panorama era pecuniaria e che quindi non c’entra il grande complotto politico ordito da Berlusconi e dai neocon spacciato da Repubblica. Infine verrete a conoscenza che un giornale italiano ha condotto con correttezza anglosassone la sua inchiesta sull’uranio e che il suo comportamento avrebbe dovuto servire da esempio per la Casa Bianca. Il giornale non è Repubblica, ma il Panorama di Rossella.