Il non ancora candidato alla presidenza degli Stati Uniti, Fred Thompson, l’ex avvocato, ex senatore e oggi attore hollywoodiano che secondo molti analisti conservatori potrebbe essere l’uomo giusto per succedere a George W. Bush alla Casa Bianca, ieri pomeriggio in un’intervista esclusiva alla FoxNews ha detto che nel 2004 gli è stata diagnosticata una forma lieve di linfoma, un tumore del sistema immunitario. Da allora non ha avuto nessun sintomo della malattia e, secondo i medici, la sua aspettativa di vita non dovrebbe risentirne. “Se nel futuro dovesse essere necessaria una cura – ha detto il sessantaquattrenne Thompson – esistono i farmaci adatti che, peraltro, non hanno effetti debilitativi collaterali”. Secondo fonti vicine al protagonista di “Law and Order”, la decisione di parlare pubblicamente del proprio linfoma dimostra che Thompson stia pensando seriamente a candidarsi.
John McCain va avanti come un treno, incurante dei sondaggi e degli sfottò dei giornalisti e degli avversari politici (tra cui Obama) e correndo il rischio che la sua candidatura alla Casa Bianca si schianti. Ieri mattina ha tenuto un solido discorso sull’Iraq davanti ai cadetti dell’Istituto militare della Virginia, i cui contenuti aveva anticipato in un editoriale sul Washington Post. In Iraq la missione è vincere – ha detto – non perdere né arrendersi come chiedono i democratici. Alcuni opinionisti liberal, in passato cantori delle capacità di indipendenza di McCain, ora sostengono che la sua campagna è destinata al disastro. McCain, però, ha mantenuto l’appoggio del Weekly Standard e ottenuto gli elogi del Wall Street Journal, della National Review e di altri editorialisti conservatori da sempre scettici sul senatore dell’Arizona per gli stessi motivi per cui era quasi idolatrato dai giornali liberal. La chiave della campagna McCain si trova in una domanda che gli ha posto un giornalista di “60 Minutes”: “Senatore, a che punto smetterà di fare ciò che pensa sia giusto e comincerà a fare ciò che vuole la maggioranza del popolo americano?”. McCain ha risposto che preferisce perdere un’elezione, piuttosto che una guerra.
I candidati democratici, in versione pacifista, martedì sera hanno partecipato a un dibattito sull’Iraq organizzato su Internet da MoveOn.org, la più influente delle associazioni pacifiste americane. Hillary Clinton, Barack Obama, John Edwards e gli altri hanno risposto in audio-video alle domande dei militanti. I due favoriti, Clinton e Obama, hanno faticato un po’ a convincerli. Hillary s’è dovuta difendere dall’accusa di ambiguità perché dice contemporaneamente di voler porre fine alla guerra in Iraq, ma anche che da presidente lascerebbe a Baghdad un contingente militare perché la stabilità dell’Iraq è nell’interesse nazionale degli Stati Uniti. Obama, invece, la settimana scorsa aveva destato tra i suoi fan parecchi dubbi per aver detto che in caso di veto bushiano al calendario di ritiro, il Congresso dovrà comunque finanziare i militari impegnati sul campo. Sia Hillary sia Obama, soprattutto quest’ultimo, sono riusciti a rassicurare la base senza esporsi al rischio di gaffe radicali che avrebbero potuto pagare più avanti nel corso della campagna elettorale.
La Casa Bianca vuole nominare uno zar bellico che, sotto la direzione del presidente, sovraintenda la guerra in Iraq e in Afghanistan e abbia l’autorità di dare ordini al Pentagono, al dipartimento di stato e ad altre agenzie. Secondo il Washington Post, la Casa Bianca non ha ancora individuato il generale da nominare. Sul fronte democratico, nel corso di una conferenza stampa, Nancy Pelosi ha lasciato intendere di essere pronta a volare a Teheran per incontrare il presidente iraniano, malgrado dica cose “repellenti e non da persona civile”.
12 Aprile 2007