Camillo di Christian RoccaWolfowitz nei guai, ma intanto ha scelto un'italiana come vice: si occuperà di Iraq

New York. Il sindacato della Banca mondiale chiede le dimissioni del presidente Paul Wolfowitz. Le voci sul suo futuro sono le più varie, c’è chi giura che resterà, chi dice che è pronto a lasciare, chi sostiene che si rimetterà al board dei direttori. I rapporti tra la burocrazia della Banca e l’architetto della guerra in Iraq non sono mai stati facili. La campagna anticorruzione ideata da Wolfowitz è stata boicottata, perché sospettata di essere uno strumento della dottrina di Bush di promozione della democrazia. Negli ultimi giorni lo scontro si è sviluppato sull’accusa a Wolfowitz di aver favorito con un doppio scatto di stipendio la sua fidanzata Shaha Riza, femminista musulmana e militante dei diritti umani, oggi dirigente di un’ong americana. Wolfowitz ieri si è scusato, ma il sindacato con una richiesta inaudita nella storia della Banca gli ha chiesto di andarsene. Il caso della fidanzata è un pretesto. I punti veri sono due, i soliti: Wolfowitz e l’Iraq. Da poche settimane Wolfowitz era riuscito a risolvere a suo favore la questione dell’apertura della sede della Banca a Baghdad, contrariamente alle convinzioni della burocrazia interna. La persona scelta per guidare le operazioni della Banca mondiale in Iraq è un’economista italiana, Daniela Gressani, nominata vicepresidente della Banca con la specifica competenza su medio oriente e Africa del nord. Laurea a Roma, master a Londra e in Pennsylvania, Gressani è l’italiana più alto in grado in un’organizzazione internazionale di questo livello. Anche se non dipende da Roma, la sua nomina è stata approvata dal direttore esecutivo italiano, cioè dal rappresentante della Banca d’Italia e del Ministero dell’Economia. In autunno, Wolfowitz aveva chiesto di aprire un ufficio permanente a Baghdad, per lavorare a stretto contatto col governo iracheno. I dirigenti interni hanno bloccato l’iniziativa, convinti che le motivazioni di Wolfowitz fossero politiche. Il coinvolgimento della Banca nelle questioni irachene non è una novità: già nel 2003, quando Wolfowitz era al Pentagono, la Banca ha gestito con l’Onu un Fondo per l’Iraq con cui sono stati finanziati scuole e acquedotti. Con l’arrivo di Wolfowitz è stato concesso il primo prestito. Wolfowitz sostiene che, già prima del suo insediamento, la Banca avesse in programma l’apertura di un ufficio in Iraq, mentre i suoi oppositori dicono che sia solo una sua idea e lo accusano di non essersi liberato della sindrome irachena.
Chrik Poortman, il predecessore di Daniela Gressani, si è opposto al coinvolgimento della Banca in Iraq, per ragioni di sicurezza, politiche ed economiche. Il New Yorker ha raccontato che il contrasto andava oltre l’apertura dell’ufficio. Poortman non voleva spendere soldi in Iraq: temeva andassero sprecati o rubati, preferiva insegnare agli iracheni a gestire i grandi progetti di ricostruzione, invitandoli ad Amman o a Washington. Wolfowitz non era d’accordo. Così, in autunno, ha sostituito Poortman con Gressani, che ora sta cercando un nuovo “country manager” per l’Iraq e sta organizzando l’ufficio nella zona verde di Baghdad. L’Interim Strategy Note 2006-7 prevede prestiti, assistenza e punta a far ripartire i servizi base, sviluppare il privato, rafforzare gli ammortizzatori sociali e migliorare la gestione del pubblico. “Wolfowitz non ha potuto fare nation building al Pentagono perché Rumsfeld non voleva averci niente a che fare – ha detto un dirigente della Banca al New Yorker – Ora Paul vede nella Banca Mondiale un’altra strada per provarci”. A meno che non sarà costretto a dimettersi.

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