Camillo di Christian RoccaLa formidabile campagna di Hillary, per ora

New York. La campagna presidenziale di Hillary Clinton procede serenamente, almeno per ora. Nei sondaggi è in testa su Barack Obama e, per la prima volta, ha superato anche il repubblicano Rudy Giuliani. Nel dibattito televisivo di fine aprile ha stracciato i colleghi, dimostrando una maggiore esperienza. Hillary è capace, preparata e può schierare come partner un campione come Bill Clinton, quando tutti gli altri – con l’eccezione di Obama – faticano a contenere le difficoltà dei coniugi. Appare ancora fredda, calcolatrice e incapace di scaldare i cuori come lui, ma la frequenza con cui gira il paese comincia a esserle d’aiuto, tanto che il comico Dave Letterman ha scherzato sul nuovo impegno di Bill contro il surriscaldamento terrestre, evidentemente cominciato quando ha visto una lastra di ghiaccio staccarsi dal volto della moglie. Poi c’è la questione dei soldi, dove la senatrice ha un’organizzazione imbattibile, ma anche un potenziale punto di debolezza. Nei primi quattro mesi dell’anno, Hillary ha raccolto 25 milioni di dollari, più o meno quanto Obama. Lei potrà però usarne soltanto 19 milioni, perché gli altri sei, più dieci che le sono rimasti dalla scorsa campagna senatoriale, sono stati raccolti per le elezioni generali. Lui invece ne potrà spendere 24 e può contare su un bacino di sostenitori più ampio: centomila persone contro 70 mila. L’ex first lady, come Obama, gode di ottima stampa, anche se Bill si è lamentato col New York Times. A differenza di Giuliani e di John McCain, su cui ogni giorno si pubblicano storie di disaffezione da parte dell’elettorato conservatore, la senatrice assiste a un affievolimento del sentimento anti Hillary diffuso tra la base radicale del suo partito, a causa del sostegno alla guerra in Iraq. Con la complicità della stampa amica, Hillary è riuscita abilmente a passare dal fronte dei falchi a quello dei pacifisti, tanto che Obama ha cominciato a lamentarsene, attaccando direttamente i coniugi Clinton, i quali per mesi hanno spiegato che i voti sull’Iraq dei due candidati sono sempre stati identici. “Vero – ha replicato lui – Ma tranne uno: lei ha votato a favore della guerra e io no”. Hillary e Obama, tre giorni fa, sono stati tra i pochi senatori democratici ad aver votato per tagliare i fondi alle truppe americane impegnate in Iraq. Entrambi hanno fatto ciò che nei mesi scorsi sostenevano fosse un’assurdità per non inimicarsi l’ala radicale del partito, fondamentale alle elezioni primarie. La mossa, però, potrebbe rivelarsi pericolosa in vista delle elezioni generali, perché ricorda il voto contrario al finanziamento delle truppe espresso nel 2003 da John Kerry per vincere le primarie ma che, poi, gli fu contestato durante la campagna presidenziale. In generale, intorno a Hillary non c’è negatività, non si addensano nubi, non si avvertono i sospetti che pure sfiorano le campagne di Obama e John Edwards. Obama deve difendersi da una piccola storia di favoritismo immobiliare, che per ora resta confinata sui giornali di Chicago. Edwards, autonominatosi paladino dei poveri, comincia a essere chiamato “il Caimano” perché l’anno scorso ha guadagnato mezzo milione di dollari in consulenze a un fondo di investimento che tiene i suoi asset alle isole Caymans, al riparo dalle tasse americane. In teoria Hillary non ha nulla da temere in questo senso, perché su di lei si è indagato per anni. Gli avversari non ne sono così convinti, non solo perché il 47 per cento degli americani continua ad avere un giudizio negativo nei suoi confronti, ma anche perché il 19 giugno uscirà nelle librerie un libro di Carl Bernstein, uno dei due giornalisti del Watergate. Bernstein ha lavorato in segreto sulle carte lasciate in eredità all’Università dell’Arkansas dalla migliore amica di Hillary, Diane Blair, scomparsa qualche anno fa. Le poche informazioni che circolano – a proposito di una ricostruzione diversa da quella ufficiale di Hillary sulla relazione tra Bill e Gennifer Flowers – fanno pensare che potrebbero avere un effetto sulla campagna elettorale e magari consolidare l’accusa anticlintoniana per eccellenza, recentemente rilanciata da un loro ex sodale, il magnate di Hollywood David Geffen: “I Clinton sono imbroglioni”.

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