Camillo di Christian RoccaOra tocca a Gonzales

New York. Ora tocca ad Alberto Gonzales, ministro della Giustizia di George W. Bush. Uno dopo l’altro, la potenza mediatica dei grandi giornali liberal sta abbattendo i pilastri dell’Amministrazione Bush, riuscendo nell’impresa di cambiare il regime di Washington ben prima della scadenza naturale del secondo mandato. In verità ci aveva tentato anche prima della rielezione del 2004, inventandosi lo scoop fasullo sul servizio militare di Bush a una settimana dal voto, ma in quell’occasione un paio di blogger e la palese falsificazione della prova costrinsero la Cbs ad anticipare il pensionamento del leggendario conduttore Dan Rather. Gli obiettivi sono sempre due, Bush e Cheney, ma il colpo grosso è difficile da sferrare. Più semplice far crollare quelli che gli girano intorno. Karl Rove, intanto, sul quale ogni giorno – compreso ieri – il New York Times scrive di aver trovato le sue impronte digitali su questo o quello scandalo. Rove è stato azzoppato per un paio d’anni, a causa del Plamegate poi finito nel nulla. Sotto c’è rimasto Lewis Libby, l’ex capo dello staff di Cheney, condannato per un reato – falsa testimonianza e ostruzione alla giustizia – commesso nel corso dell’inchiesta, non prima. Un’inchiesta creata su impulso dei media per accertare l’ipotesi di un complotto ordito dalla Casa Bianca contro l’ex ambasciatore Joe Wilson e sua moglie Valerie Plame. Il complotto non c’era, ma Libby è stato costretto a lasciare per un passo falso in un’inchiesta che lo aveva scagionato. La settimana scorsa, sotto la ghigliottina è finito Paul Wolfowitz, dimessosi da presidente della Banca Mondiale non si capisce per quale motivo, visto che l’accusa di aver aumentato lo stipendio alla sua partner, portandolo a una cifra già raggiunta da oltre mille dipendenti di quel livello, è stata dismessa dallo stesso board della Banca, anche perché l’intervento di Wolfowitz era stato esplicitamente richiesto dal direttore del personale per sanare un’ingiustizia maschilista nei confronti di Shaha Riza. Ora, appunto, è il turno di Alberto Gonzales, a sua volta diventato Attorney General dopo che era andata a segno la campagna mediatica contro il suo predecessore evangelico, John Ashcroft, a suo tempo accusato di voler cancellare le libertà civili americane e stracciare la Costituzione. Adesso la stampa liberal ha riabilitato Ashcroft e comincia a dipingerlo come un “American Hero”, come uno che, in realtà, si era battuto come un leone contro le pressanti richieste della Casa Bianca, e dell’allora consigliere legale Gonzalez, di voler spiare sui presunti terroristi e di non voler garantire ai nemici combattenti di Guantanamo gli stessi diritti dei cittadini americani. Il viva Ashcroft di oggi serve ad abbattere Gonzales. Cinque senatori repubblicani, quasi tutti sotto rielezione tra un anno, si sono aggiunti ai democratici nel chiedere le sue dimissioni e in settimana ci sarà un voto di sfiducia, anche se non avrà alcun effetto costituzionale. Gonzales è accusato di aver sostituito 8 dei 93 procuratori locali, tutti repubblicani. Gonzales ha agito confusamente e con modalità sospette, ma resta che i procuratori sono nominati e rimossi a discrezione del presidente. Non è una questione di separazione di poteri (sono i giudici a essere indipendenti), ma di responsabilità politica dell’azione penale. Clinton, per dire, in un solo giorno li sostituì tutti e 93, compreso uno che in Arkansas stava indagando su cose che lo riguardavano. A Clinton non dissero niente, Gonzales prima o poi sarà costretto a lasciare tra gli olè della più formidabile potenza mondiale, la stampa.

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