Camillo di Christian RoccaPesce fritto alle primarie della Carolina del Sud

Columbia (Carolina del sud). Quando il deputato Jim Clyburn telefona, Hillary Clinton, Barack Obama e John Edwards, ovvero i tre principali candidati democratici alle presidenziali 2008, corrono sempre a prendere la chiamata. Clyburn è il numero tre democratico al Congresso di Washington, ma soprattutto è il leader afro-americano e capobastone del partito in Carolina del sud, uno stato di quattro milioni di persone, il trenta per cento di colore. Avere il sostegno di Clyburn vuol dire partire da una solida base per vincere le primarie in Carolina e, per una serie di ragioni, significa anche posizionarsi bene nella corsa finale. Qui, nel 2004, vinse John Edwards, nato in Carolina del sud ed ex senatore della Carolina del nord. Grazie a questa vittoria, Edwards si è conquistato il posto di candidato vicepresidente nel ticket con John Kerry, poi sconfitto da George W. Bush e Dick Cheney. La Carolina è cruciale per due motivi. Il primo è una questione di calendario: qui le primarie, per entrambi i partiti, si tengono il 29 gennaio 2008, cioè 15 giorni dopo il caucus dello Iowa e sette dopo il voto in New Hampshire, tradizionalmente i due appuntamenti elettorali che avviano la stagione presidenziale. Si tratta, insomma, di una seconda chance per i candidati andati male in Iowa e New Hampshire. Chi va male qui solitamente rinuncia ad andare avanti, perché finiscono i soldi e diventa praticamente impossibile raccattarne altri per affrontare il super tuesday (che nel 2008 sarà il 5 febbraio), ovvero il giorno in cui gran parte degli stati americani vota per scegliere il candidato presidenziale del proprio partito. Bill Richardson, il governatore del New Mexico oggi considerato il numero 4 del campo democratico, ha detto che se in Carolina del sud non riuscirà ad arrivare ai primi tre posti, certamente abbandonerà la corsa. Il secondo motivo per cui la campagna elettorale in questo stato è fondamentale è la sua popolazione. A differenza di Iowa e New Hampshire, dove gli abitanti sono al 97 per cento e al 95 per cento bianchi, la Carolina del sud ha una percentuale di neri quasi tripla a quella nazionale e, inoltre, è il primo tra gli stati del sud a pronunciarsi. E’, inoltre, uno stato molto conservatore, dove c’è chi tesse apertamente le lodi del conservatore cristiano Sam Brownback, dicendo che è “un brav’uomo, un cattolico, un fondamentalista”. Le parole dei candidati qui suonano diverse da quelle pronunciate in California o a New York. Pochi giorni prima di scendere in Carolina per il dibattito presidenziale, Barack Obama ha tenuto il suo primo discorso di politica estera e di sicurezza nazionale che non è piaciuto all’ala radicale del partito, ma che è stato lodato sul New York Times e sul Washington Post da due intellettuali neoconservatori come David Brooks e Robert Kagan. Giovedì sera, a dibattito ancora in corso, l’ufficio stampa di Hillary sottolineava le risposte da falca della senatrice con un comunicato il cui titolo era: “Campaign Memo: Commander in Chief”. Alle elezioni del 2004, qui vinse Bush con il 58 per cento dei voti, contro il 41 di Kerry. Nel 2000, Bush sconfisse Al Gore più o meno con lo stesso scarto e le previsioni di questo ciclo elettorale non sono molto diverse. Eppure la Carolina, come quasi tutto il sud, non è stato sempre un bastione del Partito repubblicano. Ai tempi della segregazione razziale, il voto andava ai democratici che qui eleggevano senatori, governatori e, nel 1940, ottennero addirittura il 96 per cento alle presidenziali. Negli anni Sessanta il Partito democratico ha condotto la campagna per i diritti civili, con la durissima opposizione del senatore democratico locale Strom Thurmond, e da quel momento la Carolina e tutto il sud hanno votato repubblicano. Negli ultimi quarant’anni, soltanto Jimmy Carter è riuscito a vincere in Carolina del sud, uno stato dove ancora oggi, davanti al palazzo del governatore, a Columbia, sventola la bandiera confederata, simbolo dell’America schiavista. “Quella bandiera andrebbe messa in un museo”, ha detto Barack Obama giovedì a Orangeburg, mentre gli altri candidati evitano di affrontare la questione e, in alcuni casi, sostengono che si tratti di una questione statale e non federale. Negli anni scorsi la polemica, invece, era diventata un caso nazionale. L’associazione per i diritti delle persone di colore (Naacp) aveva organizzato un boicottaggio della Carolina del sud, finché non avesse tolto la bandiera sudista dalla cupola del palazzo. Se ne è discusso per quattro anni e, alla fine, nel 2000, l’assemblea legislativa ha deciso di toglierla, ma non del tutto. Anziché dalla cupola, ora la bandiera confederata sventola su un monumento ai caduti della guerra civile che si trova proprio davanti il palazzo, mentre sul lato sinistro è stata posta una scultura che ricorda la storia e la tragedia degli afroamericani. Lo scorso weekend i candidati democratici, ma anche i repubblicani, hanno occupato i quattro angoli dello stato. I democratici hanno dibattuto in diretta tv all’Università di Orangeburg, i repubblicani lo faranno tra 15 giorni. Venerdì sera, a Columbia, c’è stata l’annuale Jefferson-Jackson dinner, dove ha parlato Harold Ford, il giovane leader nero dell’ala centrista del partito. Hillary, Obama e Edwards hanno stretto mani su mani e si sono sottoposti alle luci di migliaia di flash, specie alla sagra del pesce fritto organizzata da Jim Clyburn in un garage a poche centinaia di metri dalla bandiera confederata. Clyburn non ha ancora scelto chi appoggiare, ma sul palco ha presentato i candidati in ordine di importanza, riservando il posto finale a Obama, non a Hillary. Non è detto, però, che la vittoria di Obama sia scontata. L’organizzazione di Hillary è capillare, quasi come quella di Edwards. E’ probabile che i tre big arrivino appaiati, divisi da pochi voti, un’ipotesi che secondo alcuni analisti potrebbe anticipare uno scenario da incubo: l’ipotesi che nessuno dei tre arrivi alla Convention dell’estate 2008 con la maggioranza dei delegati necessaria a conquistare la candidatura. A quel punto spetterebbe ai delegati scegliere, i quali potrebbero puntare su una figura unitaria, su un salvatore della patria, magari su uno che sta già provando a salvare la Terra come Al Gore.

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