Il clima sta cambiando, forse. L’opinione pubblica americana dopo essersi fatta un lungo giro di valzer col sentimento disfattista e pacifista sta cominciando a ricredersi. I fatti: un sondaggio New York Times/Cbs ha segnalato che il sostegno pubblico all’invasione dell’Iraq è aumentato di molti punti nelle ultime settimane. I contrari ora sono solo il 51 per cento (erano il 61) e il Times, scosso dalla notizia che l’opinione pubblica non stesse rispondendo nel modo atteso alle cattive notizie riportate, ha provato a rifare il sondaggio perché gli sembrava “contraddittorio”. Il secondo tentativo ha confermato i dati: quasi la metà degli americani è convinta che la decisione di invadere l’Iraq e cacciare Saddam sia stata giusta. Sempre i sondaggi, poi, ribadiscono che il gradimento nei confronti di Bush è ai minimi storici, ma svelano che è più alto rispetto al giudizio sul Congresso a maggioranza democratica che in questi mesi ha provato a fare vari giochetti per imbrigliare i poteri di comandante in capo del presidente. La leadership democratica credeva di poterlo fermare sull’onda dell’indignazione pubblica, ma va in vacanza dopo aver approvato una dura legge di sicurezza nazionale proposta da Bush e lasciandosi sconfiggere ancora una volta sul ritiro delle truppe in Iraq. Il New York Times ha pubblicato un articolo di due stimati esperti vicini al Partito democratico, Michael O’Hanlon e Kenneth Pollack, dove spiega che in realtà la guerra in Iraq si può vincere e che si sta cominciando a vincerla. A Washington e sui giornali americani non si parla d’altro, tanto che alcuni boss del partito riconoscono che a settembre bisognerà tener conto dei successi sul campo, ma la stampa italiana non ne dà conto anche perché i candidati democratici alla Casa Bianca restano solidamente a favore del ritiro. Eppure c’è Barack Obama. Il senatore nero che tanto piace al prossimo leader del Pd italiano sta provando a costruirsi una posizione da falco in politica estera e rivendica ogni due per tre il diritto americano di agire militarmente in modo unilaterale e preventivo, eventualmente anche invadendo il Pakistan. Riconosce, inoltre, che esiste un nemico radicale che “ci ha dichiarato guerra” e che “vuole creare un califfato oppressivo”. Il Wall Street Journal ieri ha titolato il suo primo editoriale così: “Il neocon Barack Obama”. Il Washington Post, sempre ieri, ha pubblicato un estratto di un saggio del teorico neocon Robert Kagan, consigliere di John McCain, e dell’ex collaboratore di Bill Clinton, Ivo Daalder, oggi consigliere di Obama. Il titolo dell’articolo è: “Il prossimo intervento”. Kagan e Daalder assicurano che le difficoltà in Iraq e Afghanistan non fermeranno il prossimo presidente dall’inviare truppe all’estero ogni qual volta lo reputerà necessario: “Una causa giusta” e “una minaccia seria” garantiscono “legittimità all’azione militare”. I due escludono che possa essere l’Onu l’istituzione che decide se un intervento è giusto o no: spetta alle democrazie o, meglio, a una nuova alleanza globale tra le democrazie. Insomma, gli argomenti di Bush.
7 Agosto 2007