New York. “Il piano meno sbagliato”. E’ del Washington Post il commento più equilibrato sul nuovo corso iracheno annunciato da George W. Bush giovedì notte. “La strategia di lungo termine del presidente – ha scritto ieri il giornale liberal – è meno rischiosa delle sue alternative”, cioè del disimpegno proposto dal Partito democratico senza alcuna preoccupazione delle conseguenze umanitarie, militari e geopolitiche di tale scelta. Bush ha annunciato il ritiro di 2.000 soldati entro la fine del mese, che diventeranno 5.700 prima di Natale e circa 3.000 a luglio del 2008, legandolo ai risultati conseguiti dal “surge”, cioè dalla nuova strategia politica e militare decisa a gennaio ed eseguita dal generale David Petraeus. A luglio 2008 le truppe torneranno a essere 130 mila, ai livelli precedenti il “surge”. Qualche mese prima, a marzo, Petraeus tornerà al Congresso per un’ulteriore valutazione. Soltanto allora, Bush deciderà se continuare a ritirare le truppe o meno, perché la chiave del “ritorno”, ha detto giovedì il presidente, non può che essere il “successo”, per cui maggiori saranno i miglioramenti, meno truppe americane resteranno in Iraq. Bush ha ribadito che, in ogni caso, l’impegno generazionale per un Iraq libero, stabile e democratico sarà di lungo termine. I leader democratici non sono d’accordo, anche perché non credono che la guerra si possa vincere e comunque sembrano più interessati a vincere la campagna elettorale del 2008. Sospettano anzi che la vera strategia di Bush sia quella di imbrigliare il prossimo presidente, lasciandogli in eredità il caos iracheno. I candidati alla Casa Bianca chiedono il ritiro delle truppe combattenti, ma nelle note a piè di pagina dei loro piani “per porre fine alla guerra” ammettono che alcune decine di migliaia di soldati dovranno comunque rimanere. Un mese fa, il Congresso era certo di poter costringere Bush a chiudere la partita irachena, ora è alla ricerca di un compromesso onorevole. A Bush i democratici hanno sempre imputato di non voler ascoltare, per ragioni ideologiche, i consigli dei migliori generali. Ora sono loro a non ascoltare Petraeus, ma per ragioni elettorali.
15 Settembre 2007