Camillo di Christian RoccaCrocker al Congresso

Storia dell’ambasciatore che era contrario alla guerra e che ora si oppone al ritiro

New York. L’ambasciatore Ryan Crocker era contrario alla guerra in Iraq e aveva previsto le difficoltà dell’operazione, anche perché era ben consapevole dei danni causati alla società irachena dai 35 anni di feroce dittatura saddamita. Ecco perché il suo cauto e moderato ottimismo espresso lunedì e martedì nelle aule del Congresso di Washington è apparso più credibile rispetto a valutazioni precedenti di altri esponenti dell’Amministrazione Bush e ha lasciato spiazzato gli oppositori di George W. Bush. Quando, nel 2002, l’allora segretario di stato Colin Powell gli chiese di preparare un memorandum segreto per esaminare i rischi di un’eventuale invasione, Crocker scrisse sei pagine intitolate “La tempesta perfetta”, nelle quali prevedeva che destituire Saddam Hussein avrebbe potuto scatenare le tensioni etniche e settarie a lungo represse dal dittatore, ma anche che la minoranza sunnita non avrebbe facilmente abbandonato il potere e che le potenze regionali come l’Iran, la Siria e l’Arabia Saudita avrebbero fatto un passo avanti e cercato di influenzare gli eventi iracheni. Crocker aveva inoltre avvertito che l’America si sarebbe dovuta impegnare a ricostruire da zero il sistema politico ed economico, perché Saddam aveva ridotto a brandelli le infrastrutture irachene.
Nato cinquantasette anni fa nello stato di Washington da una famiglia di militari, da ragazzo Crocker ha vissuto in Marocco, Canada e Turchia. Si è laureato in letteratura inglese e parla persiano e arabo. Il suo primo incarico è stato in Iran, prima della rivoluzione khomeinista, poi tutte le sue tappe professionali, fino a essere nominato “ambasciatore di carriera” da Bush, non si sono mai discostate dal mondo islamico: Qatar, Tunisia, Iraq, Turchia, Libano, Egitto e dopo l’11 settembre primo rappresentante americano nel nuovo Afghanistan post talebano, consigliere in Iraq e ambasciatore in Pakistan.
A Washington, Crocker ha sempre seguito dossier arabi, da vice direttore dell’ufficio degli affari arabo-israeliani del Dipartimento di stato (anni di Ronald Reagan) e da direttore della task force sull’Iraq costituita subito dopo l’invasione saddamita del Kuwait. “E’ uno dei nostri migliori diplomatici”, ha detto Powell di Crocker, alimentando le aspettative degli oppositori della guerra in Iraq. Nei giorni precedenti l’audizione di Crocker e di Petraeus, infatti, quando si è capito che il generale avrebbe dipinto una situazione irachena più rosea del previsto, i grandi giornali liberal si sono concentrati su Crocker e sulle notizie negative che certamente un diplomatico pragmatico e preparato come lui avrebbe riportato al Congresso. Sicché sulla prima pagina del Washington Post e negli editoriali del New York Times e di Time si è letto che, malgrado i riflettori fossero su Petraeus, il vero uomo da ascoltare sarebbe stato Crocker.
Timido, maratoneta, tifoso dei Red Sox e fan degli Iron Maiden e dei Black Crows, Crocker è scampato per un pelo al primo attentato terrorista islamico contro gli Stati Uniti. Nel 1983 si trovava all’ambasciata di Beirut, quando Hezbollah con un’autobomba fece saltare il quartier generale americano, uccidendo 63 persone. L’esplosione lo scaraventò contro il muro e rimase ferito. Crocker e sua moglie, una funzionaria d’ambasciata conosciuta in Libano, sono abituati al pericolo e alle situazioni estreme. Nel 1998, durante il bombardamento clintoniano sull’Iraq, la sua residenza di ambasciatore a Damasco è stata attaccata da estremisti siriani e Christine Crocker è stata costretta a rifugiarsi dentro una stanza blindata, mentre i siriani saccheggiavano la casa. Quando, la settimana scorsa, l’inviato di Time Joe Klein gli ha chiesto “e ora che facciamo?”, lui, ridendo, ha risposto: “Be’, come dico sempre, ‘Quando superano il filo spinato… non facciamoci prendere dal panico”. Klein assicura che Crocker è “l’antitesi agli ideologhi che hanno fornito le motivazioni intellettuali alla guerra in Iraq, anzi è l’esempio classico di quelli che i neoconservatori in modo sprezzante definiscono un ‘arabista’. Parla farsi e arabo e ha una vera affinità per la cultura della regione”. La domanda da porgli, ha scritto Klein alla vigilia dell’audizione di Crocker al Senato, è se gli Stati Uniti sono in grado di imporre una democrazia, una costituzione, un esercito nazionale a un non paese diviso in tribù, sette e dinastie familiari. La risposta di Crocker è stata questa: “Un Iraq sicuro, stabile e democratico è raggiungibile”.
Christian Rocca

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