New York. Martedì avrebbe dovuto essere il gran giorno di Barack Obama, il senatore nero dell’Illinois candidato alle primarie del Partito democratico, ma si è trasformato in un trionfo di Hillary Clinton. La campagna di Obama aveva preparato con cura l’offensiva per recuperare posizioni nei confronti di Hillary. Il primo tassello della strategia era un importante discorso di politica estera che Obama ha tenuto all’Università De Paul di Chicago, in occasione del quinto anniversario di una manifestazione pacifista in cui Obama si era espresso contro l’invasione dell’Iraq. L’obiettivo degli strateghi del senatore era di ricordare agli elettori del Partito democratico che Obama è stato l’unico dei principali contendenti della Casa Bianca ad aver visto giusto sull’Iraq. La strategia non ha funzionato, perché il discorso è stato offuscato da due inaspettate notizie pro Hillary. La prima è un sondaggio nazionale della Abc e del Washington Post, secondo cui Hillary è in vantaggio di 33 punti su Obama, 53 per cento a 20, con John Edwards al 13 per cento. Per la prima volta da quando è cominciata la campagna elettorale, la senatrice di New York ha superato il 50 per cento, crescendo di 13 punti rispetto al mese precedente, mentre Obama è giù di 7 rispetto ad agosto. La seconda notizia, se possibile, è ancora più negativa per il senatore dell’Illinois, perché ha azzerato il suo unico vantaggio, quello della raccolta fondi. Con una perfetta e studiatissima scelta di tempo, cioè poche ore prima del discorso di Obama, la campagna di Clinton ha fatto trapelare i dati dei finanziamenti raccolti nel terzo trimestre dell’anno. Malgrado l’arresto per truffa di un suo super finanziatore, Hillary ha superato Obama di tre milioni di dollari. Non solo, Hillary può contare su settemila sostenitori in più rispetto a Obama, ribaltando un altro punto a favore del senatore dell’Illinois. Obama continua ad avere in banca più soldi di Hillary da spendere alle primarie, 75 contro 72,5 milioni di dollari, ma per la prima volta la tendenza è cambiata. Jason Horowitz, sul New York Observer, ha svelato che i grandi sostenitori di Obama cominciano a rumoreggiare e a preoccuparsi seriamente, tanto che il direttore della campagna, David Plouffe, li ha dovuti rassicurare nel corso di un’improvvisata conference call. A Obama, a questo punto, per conquistare il favore dei democratici non resta che puntare tutto sulla sua originaria opposizione alla guerra in Iraq. Il discorso di Chicago era centrato principalmente su questo e, in particolare, sulla dura critica nei confronti di chi al Senato ha autorizzato il presidente Bush a invadere l’Iraq. Obama non ha mai citato Hillary, ma nessuno ha potuto equivocare quale fosse il suo obiettivo: “Senza quel voto non ci sarebbe stata la guerra. Qualcuno ora cerca di riscrivere la storia. Dice che in realtà non aveva votato per la guerra, ma che aveva votato per gli ispettori e per la diplomazia (…). In realtà tutti avevano capito i termini del dibattito, cioè che si trattava di un voto a favore o contro la guerra”.
Obama si è impegnato a porre fine alla guerra in Iraq, facendo rientrare le truppe combattenti entro un anno e mezzo dalla sua elezione, cioè nella primavera del 2010, lasciando in Iraq soltanto i soldati a protezione dei diplomatici e le truppe speciali anti al Qaida. Il senatore, inoltre, ha promesso che non darà tregua ai terroristi e che si impegnerà per un mondo libero dalle armi nucleari. La ricetta di Obama è una nuova era diplomatica, una nuova politica estera bipartisan e una nuova leadership americana capace di parlare con tutti, amici e nemici: “E’ arrivato il tempo di offrire al mondo un messaggio di speranza per contrastare i profeti dell’odio”, ha detto Obama. Un mese fa, Hillary giudicò la proposta di Obama ingenua e irresponsabile. (chr.ro)
4 Ottobre 2007