l titolo del Padiglione Italia per la 54° Esposizione Internazionale d’Arte alla Biennale di Venezia, a cura di Vittorio Sgarbi, è “L’Arte non è cosa nostra”. Questo nome vuole essere sia un chiaro richiamo alla Mafia (simboleggiato dal Museo della Mafia, portato da Salemi a Venezia in una parte dello stesso Padiglione Italia), sia vuole sottolineare l’idea di fondo che ha guidato scelta del curatore nell’organizzazione di tutto il Padiglione: la polemica verso un certo sistema dell’arte, che spesso è portato a spingere artisti dal nome straniero e altisonante, ed è incurante verso la ricerca di proposte alternative che provengano anzitutto dall’ Italia. Insomma, con “L’Arte non è cosa nostra” , Sgarbi dichiara di porsi su un piano orientato soprattutto verso la qualità intrinseca del quadro, scultura, installazione, a prescindere da nome e provenienza dell’artista. Ecco perchè, per organizzare questa Biennale e selezionare gli artisti, ha adottato un metodo a prima vista insolito: ha selezionato delle personalità del mondo della cultura e dello spettacolo, e ha chiesto loro di portare un artista in mostra. Fra gli “intellettuali” figurano sia persone come Galli Della Loggia, Claudio Magris, Arturo Schwarz, Stefano Zecchi, Sebastiano Vassalli e Paolo Mieli, sia personalità dello spettacolo o dell’imprenditoria, come Vladimir Luxuria, Mogol, Giorgio Forattini, Elio Fiorucci, Luciana Littizetto o Andrea De Carlo. Il risultato delle scelte di un gruppo tanto eterogeneo non può che essere vario e multiforme. Si va da artisti riconosciuti come Mario Donizetti (segnalato da Vittorio Feltri), Gillo Dorfles, Mimmo Jodice, Mimmo Paladino e Michelangelo Pistoletto, ad altri ignorati, finora almeno, dal panorama contemporaneo internazionale. In molti hanno obbiettato a Sgarbi una mancanza di assunzione di responsabilità nell’aver delegato ad altri, gli “intellettuali”, una scelta che gli sarebbe spettata, cioè quella di selezionare gli artisti. Vista la quantità dei convocati, tra artisti e “intellettuali”, inoltre, il Padiglione Italia può dare un’impressione di disomogeneità. In effetti, di primo acchito, pare come un ammasso di opere poco facilmente distinguibili tra loro, che risultano come ammucchiate in uno studio.A mio parere, però, il “progetto” di Sgarbi è quanto mai interessante: riesce a creare una sinergia tra le varie forme di cultura, con, almeno apparentemente, una leggera sottrazione della figura del regista-curatore. Un Padiglione Italia da visitare con un certo impegno, proprio per la difficoltà che comporta vedere tante opere insieme e così diverse tra loro. L’arte contemporanea, però, non si muove verso la caduta del genere artistico singolo, e sempre più è per la sinergia fra i diversi linguaggi? Questo è il motivo principale per cui apprezzo il Padiglione Italia di Sgarbi: ha creato un’unione tra arte, letteratura, musica e spettacolo, portando i vari generi a dialogare fra loro, e in certi casi anche a scambiarsi i ruoli (ci sono persone che figurano sia come intellettuali, che come artisti), mettendo leggermente in ombra la figura del curatore (o facendola emergere ancora di più proprio perchè è apparentemente in disparte, ma questo è un altro argomento…). Il Padiglione Italia, quest’anno, vista la presenza di 150 artisti, è stato aumentato nelle sue dimensioni, e raggiunge i seicento mq. Da non trascurare, infine, per onorare il 150esimo dell’Unità d’Italia, anche l’idea aver allargato la Biennale a 27 città dello Stivale e a 89 città all’estero, che portano in mostra su video il lavoro di circa mille artisti sparsi in altre località, e la presenza di giovani appena usciti da venti Accademie italiane, che sono stati selezionati e sono in mostra per tuta la durata della Biennale nelle Tese di san Cristoforo, di fronte all’Arsenale.
5 Giugno 2011