BREVE (E PARZIALE) STORIA DI UN tunnel diventato un mito
Nonostante non sia più una novizia della politica, ci sono delle vicende che riescono ancora a sorprendermi. Per esempio, tutta la situazione surreale che crea periodicamente da circa 15 anni intorno alla TAV, o, per essere più precisi, al tunnel di base in Valle Susa. Surreale perché è da anni impossibile fare una normale discussione sulle caratteristiche, costi, impatti, necessità e alternative di quella che in fondo resta un’infrastruttura e rimaniamo tutti intrappolati in un dialogo fra sordi, nel quale il pomo del contendere non è più il tunnel, ma l’idea che ciascuno ha di che cosa sia utile allo sviluppo di un paese e di un territorio. Un po’ come per il nucleare prima di Fukushima, insomma……
E la prima cosa che mi sorprende è proprio la nebbia che avvolge i contorni reali di quest’opera. Prima di tutto, non siamo di fronte ad una linea di “Alta Velocità”, ma di un tunnel lungo 57 km tra la Francia e l’Italia. Il nome del Movimento “No Tav” fa riferimento ai primi anni della battaglia sulla Lione-Torino, durante i quali si trattava in effetti di un progetto Alta Velocità e non si è mai considerato opportuno modificarne il nome; con gli anni, si è parlato di linea di Alta velocità passeggeri, poi di Alta capacità e l’ambiguità rimane ancora oggi. Ma la controversia si è concentrata appunto sul “buco”; intanto, in Europa si inizia a parlare di un sistema di strade e ferrovie da mettere in “rete” e all’interno di un “corridoio”, il corridoio 5 (Lione-Torino-Trieste-Lubljiana- Kiev) una linea teorica che da Lisbona arriva in Ucraina, indicato nella conferenza pan-europea dei trasporti a Creta nel 1994 e nel 1997 a Helsinki.
Una storia iniziata quindi negli anni’90, quando ancora l’idea che grandi infrastrutture fossero comunque e sempre un elemento di sviluppo positivo e un segnale di progresso e crescita era accettata da tutti. Cosi la “Torino-Lione” ( la Lyon-Turin) entra, come anche il tunnel del Brennero, tra i 14 progetti di interesse europeo approvati nel 1994 ad Essen, di cui se ne sono realizzati solo 3, tra i quali l’aereoporto di Malpensa! Già allora, infatti, e nonostante la crescente retorica intorno ai grandi progetti in grado di unire l’Europa, era evidente la difficoltà tecnica, finanziaria e sociale di concentrare ingenti risorse pubbliche e private in infrastrutture “pesanti” di collegamento internazionale.
Comunque sia, si è cominciato allora a spendere milioni di euro in progettazioni e studi senza arrivare ad un piano condiviso e con l’opposizione crescente dei Valsusini; nel 2001, il governo Berlusconi mette nella Legge Obiettivo l’opera e la sottrae alle procedure ordinarie di Valutazione di impatto e partecipazione degli enti locali; nel 2003 LTF presenta un progetto giudicato assolutamente inaccettabile dai valsusini, dai Verdi e dagli ambientalisti. Un tunnel di 52 km. Nello stesso momento, si discute in sede europea delle nuove prospettive finanziarie 2007-2013; molti Stati membri, tra cui l’Italia, insistono sui loro vecchi “progetti prioritari” e con l’entrata dei nuovi stati membri nel 2004 si assiste ad una moltiplicazione di assi e proposte di infrastrutture ambiziose. Nel 2004 viene approvata con una legge europea una lunga lista di 30 progetti prioritari, composto ognuno di varie opere, chiamate Reti Trans-europee (TEN-T). Il tunnel Lione-Torino fa parte del Progetto 6; ricordo benissimo come questi 30 progetti sono stati adottati da Commissione, Parlamento e Consiglio nel 2004. Ancora una volta, non c’è stato verso di avere una discussione seria, di merito, per decidere l’interesse europeo, i costi e i benefici, la sostenibilità di un insieme razionale di opere volte a costruire una “rete” di infrastrutture necessarie a facilitare gli scambi di persone e di merci in Europa, privilegiando il trasporto su rotaia o le autostrade del mare. Si è trattato di una specie di mercato delle vacche, in cui “tu dai un ponte a me e io dò un tunnel o un’autostrada a te”. La Commissione europea, guidata da Prodi e per i trasporti da Loyola de Palacio, non ha saputo o voluto scegliere, anche per l’imminenza della fine della legislatura e le elezioni europee; quindi tutte le richieste dei paesi membri, comprese quelle più insostenibili come il Ponte di Messina, sono entrate nella lista ( per l’Italia, si contava tra l’altro oltre al Ponte, il Terzo Valico, il Brennero…)
I limiti imposti al bilancio comunitario hanno ristretto però la possibilità di finanziamento europeo: di un piano i cui costi erano stati valutati a 400 miliardi di euro e che la Commissione sperava di finanziare per 20 miliardi, sono rimasti solo 8 miliardi di euro. In quegli anni, il movimento No-Tav era unito intorno agli amministratori e aveva sviluppato un enorme lavoro di studio, approfondimento, dibattito e partecipazione che mi ha molto impressionato. Contrariamente ai loro detrattori, è falso infatti affermare che i Valsusini e chi li sostiene dicono solo “No” o non si sono preoccupati di fare proposte su come valorizzare una linea oggi sotto-utilizzata, come togliere sempre più Tir dalle strade al di qua e al di là del confine, assicurando qualità di vita in una valle dove vivono circa 50.000 persone già fortemente “infrastrutturizzata”. Un lavoro assolutamente disdegnato dalla politica ufficiale, di destra e di sinistra, tutti allegramente convinti che un treno va sempre bene e che i Valsusini sono afflitti dalla sindrome di Nimby e quindi non valeva neppure la pena di starli a sentire. Un’arroganza prima di tutto intellettuale e culturale che colpisce anche oggi gran parte della classe politica. Oggi questa volontà e capacità di proposta è rimasta in ombra, temo. Ma penso che il momento della proposta stia rapidamente tornando, perché il muro contro muro non può essere la soluzione.
Nonostante le accuse di chi ci riteneva “anti-italiani”, a Bruxelles abbiamo cercato di dimostrare alla Commissione europea che i vari progetti erano insostenibili e che era possibile valorizzare la linea Torino-Lione spendendo molto meno rivedendo la linea attuale, usata al 20% del suo potenziale e studiando opere alternative in particolare intorno al nodo di Torino, molto meno impattanti e costose. Niente da fare: anche perché a Bruxelles non potevano che prendere atto del largo sostegno ufficiale al tunnel; e l’UE si è adeguata volentieri. Ma il metodo aperto e partecipativo dei Valsusini è nel frattempo diventato un fenomeno originale che cominciava a trovare sostenitori ed emulatori: una sorta di evoluzione del Nimby, che mette al centro non solo la protesta, ma anche la proposta cercando dove possibile il contatto stretto con gli amministratori; cittadini e cittadine vanno in piazza ma cominciano a studiarsi le questioni, rifiutano di delegare; come genitori anti-smog di Milano, i comitati anti-discarica di Chiaiano o le mamme vulcaniche di Terzigno, i comitati contro le autostrade del Nord o quelli del No dal Molin.
E cosi, un buco nelle Alpi diventa progressivamente per la propaganda ufficiale un simbolo della lotta un po’ irrazionale e manipolatoria fra gli illuminati sostenitori del progresso e della tecnologia, un gruppo di valligiani un po’ retrogradi e di ambientalisti estremisti e propensi al ritorno alle caverne. Per i Valsusini e i loro sostenitori, diventa uno spartiacque fra due concezioni opposte non solo di come si spinge la crescita economica, ma di come una democrazia deve funzionare e chi può decidere la sorte di un territorio.
Ma torniamo al 2005. Dopo l’approvazione del progetto TEN-T a livello europeo, i nodi del progetto presentato nel 2003 vengono al pettine. In una situazione analoga a quella odierna, l’UE comincia a dire che è necessario dimostrare la volontà di attuare il progetto, e che senza un concreto inizio dei “lavori” preliminari i denari già previsti nel periodo 2000-2007 per studi e magari anche quelli del 2007-13 sarebbero stati persi…Si arriva cosi ai famosi fatti di Venaus, dove si voleva cominciare a costruire, senza Via peraltro, un “cunicolo” esplorativo di taglia ragguardevole per dimostrare all’Europa che quel tunnel “s’ha da fare”. Il governo Berlusconi decide di mandare polizia a go-go, solo che li c’erano davvero solo abitanti del posto (oltre a cinque eurodeputati inviati dalla commissione petizioni, tra cui la sottoscritta…). Lentamente, anche nell’opinione pubblica anestetizzata del nostro paese comincia a farsi strada l’idea che forse non è una buona idea schiacciare e basta una opposizione cosi massiccia, soprattutto perché nessun dialogo degno di questo nome era stato organizzato nel corso degli anni precedenti e il progetto di LTF poneva enormi problemi di carattere ambientale e non solo. Cosi viene istituito dal Governo Berlusconi l’Osservatorio tecnico presieduto dal commissario di governo Mario Virano, che comincia a lavorare davvero all’inizio del governo Prodi nel 2006. Nell’Osservatorio sono rappresentati sia tecnici delle comunità montane, che rappresentanti di governo. In questi mesi del 2006, sembra che un dialogo sia possibile e che le istanze degli oppositori al tunnel possano trovare voce e diffusione al di là della valle. Ma il nuovo Ministro delle Infrastrutture Antonio Di Pietro riparte sugli stessi presupposti “mitici” dei suoi predecessori e ne rifà una questione di principio da agitare come una clava anche su alcuni dei suoi alleati ricalcitranti; diventa di nuovo impossibile discutere dei pro e dei contro; ci si divide in partigiani totali e oppositori assoluti; Di Pietro visita il Commissario Barrot a Bruxelles per dimostrare la sua buona fede e soprattutto per sostenere la solidità finanziaria di tutte le mega-opere italiane contenute nel reti TEN-T. A prezzo di varie deroghe e scadenze europee (da noi segnalate sistematicamente e altrettanto sistematicamente respinte dalla Commissione con l’argomento che Francia e Italia sono fermissime nella lorointenzione di portare a termine l’opera), Di Pietro riesce ad ottenere per il periodo 2007/2013 642 milioni di euro per continuare studi e opere preliminari in vista del progetto definitivo, i cui lavori devono iniziare al più tardi nel 2013. Negli anni successivi, l’Osservatorio lavora sulla base di un equivoco: i rappresentati dei sindaci della Valle vogliono dimostrare che si può fare a meno del tunnel e ci sono altre strade per valorizzare quella linea. Gli altri, Virano in testa, cercano di indorare la pillola del tunnel inevitabile concedendo dotte discussioni e redigendo documenti molto interessanti e promesse di cambi radicali di politica dei trasporti senza spostarsi di un millimetro rispetto alla necessità di comunque costruire il tunnel; tra le conclusioni dell’Osservatorio c’è per esempio il riconoscimento che molto più urgente del tunnel è la sistemazione del nodo di Torino e che il trasferimento modale dalla gomma al ferro non può avvenire se il trasporto su strada non viene reso meno conveniente e rapido. Il Movimento fino allora unito dei comitati associativi e alcuni amministratori comincia a rompersi: si tratta di una differenza strategica importante. Antonio Ferrentino, sindaco di Sant’Antonino e presidente della Comunità Montana della Bassa Valdisusa , sposa l’idea che è necessario rimanere nell’Osservatorio e che sia necessario lavorare ad una proposta alternativa che definisca tappe precise e non escluda, in un lontano e improbabile futuro di poter anche ridiscutere la possibilità della costruzione del tunnel, se ne emergesse la necessità. Viene cosi presentato nel 2008 il progetto F.A.R.E. (Ferrovie alpine responsabili ed efficienti), che però non riesce a trovare una maggioranza di sindaci e viene respinto dal Movimento No Tav come un’inaccettabile concessione. Infatti, il grosso del Movimento NO Tav e alcuni sindaci ritengono che si debba dire chiaro e tonto che mai ci potrà essere un tunnel in Valle di Susa. Il risultato più importante dell’Osservatorio è quello di avere fatto cadere il progetto del 2003, ma la sua legittimità e credibilità come strumento di dialogo a quel punto non esiste più. Il nuovo progetto, un tunnel di 57 km adottato nel 2008, presenta comunque problemi abbastanza simili al precedente, dai costi, all’impatto sulla valle, alla sua effettiva utilità visto il declino costante dei trasporti sulla linea Lione-Torino. Come sottolineano WWF, Legambiente, Italia Nostra e Pronatura in una lettera inviata al commissario Kallas, “con la versione “soft” della tratta comune italo-francese della nuova linea Torino-Lione che, a quanto sembra, è stata presentata alla riunione tra Francia e Italia del 6 luglio, siamo alla quarta diversa elaborazione progettuale in nove anni: dopo che i progetti preliminare della tratta internazionale e della tratta nazionale “in sinistra Dora” (a suo tempo approvati dal CIPE nel 2003) sono stati considerati completamente errati; dopo che nel 2007 si è avuta una prima versione, ancora solo abbozzata, del progetto “in destra Dora”; dopo che a partire dal gennaio 2011 sono stati presentati alla Commissione di VIA i progetti preliminari che oggi vengono messi in discussione” senza peraltro che le procedure autorizzative siano ancora concluse.
E cosi arriviamo agli sviluppi degli ultimi giorni, che hanno uno sgradevole sapore di “dejà-vu”. Un progetto zoppicante e non completo, flussi di traffico in netto e continuo calo, l’opposizione dura della popolazione, che ritrova almeno una pare dei suoi sindaci, la reazione “muscolare” del governo, l’adesione acritica dell’opposizione a un progetto figlio di una cultura “sviluppista” antiquata, un’Unione europea con sempre meno risorse a disposizione, troppo debole e troppo ideologicamente condizionata da “big is beautiful” per impedire che il denaro del contribuente europeo si sprechi in studi e progettazioni di opere che non si realizzeranno almeno per i prossimi decenni. Come sottolineano WWF, ….in una lettera inviata al Commissario Kallas, “Con la versione soft della tratta comune italo-francese della nuova linea Torino-Lione che, a quanto risulta, e’ stata presentata alla riunione della CIG del 6 luglio siamo alla quarta diversa elaborazione progettuale in nove anni: dopo che i progetti preliminare della tratta internazionale e della tratta nazionale “in sinistra Dora” (a suo tempo approvati dal CIPE nel 2003) sono stati considerati completamente errati; dopo che nel 2007 si è avuta una prima versione, ancora solo abbozzata, del progetto “in destra Dora”; dopo che a partire dal gennaio 2011 sono stati presentati alla Commissione di VIA i progetti preliminari che oggi vengono messi in discussione, a procedure autorizzative aperte
Tutto questo, però, in un contesto diverso rispetto al 2005, che potrebbe, soprattutto se il PD riuscisse ad uscire dai condizionamenti ideologici e guardasse per bene la realtà, fare partire una discussione non superficiale sull’effettiva utilità di questa infrastruttura, rispetto ad altre priorità: 4 o 6 miliardi di euro (a seconda delle stime) farebbero comodo alla scuola italiana, alle città, ai pendolari piemontesi, potrebbero servire per limitare il dissesto idrogeologico, per permettere di limitare gli sprechi di acqua dai tubi vecchi e malandati, potrebbero contribuire a un ampio piano di investimenti pubblici in efficienza energetica, potrebbero rilanciare un’agricoltura di qualità, eccetera eccetera….
E su tutti questi temi, compreso il miglioramento della linea Lione-Torino anche senza il tunnel, l’UE potrebbe comunque intervenire.
Anche perché il contesto dell’Unione europea è in movimento, pur se non é cambiato l’atteggiamento pregiudizialmente favorevole alle grandi infrastrutture. La Commissione ha appena presentato la sua proposta di prospettive finanziarie che prevede per le reti trans-europee circa 40 miliardi di euro nel periodo 2013-2020; è molto improbabile che questa proposta sia accettata dagli Stati membri cosi come è stata presentata. E’ dunque comprensibile il motivo per il quale Kallas, il commissario estone ai trasporti, spinga per concentrare le risorse in pochi progetti realizzabili lasciando perdere gli altri. Risorse che, comunque rappresentano solo una parte limitata della spesa totale (meno del 30%). Se il calendario verrà rispettato, ci sarà su questo una decisione in ottobre. Dobbiamo perciò impedire che la discussione in Italia sia bloccata sul SI o il No ad un’opera non prioritaria come un tunnel nelle Alpi e si lasci completamente cadere la possibilità di discutere come, in un contesto economico, tecnologico e sociale completamente diverso rispetto all’inizio degli anni ’90, non si possa discutere di un progetto alternativo, più “leggero”, meno devastante, basato sulla realtà degli scambi sull’insieme dei valichi alpini, magari sulla falsariga del F.A.R.E., cioè concentrando le risorse europee e italiane sull’adeguamento del Nodo di Torino, sulla realizzazione della cintura merci e sul decollo del Servizio ferroviario metropolitano. Questa è una strada certo complicata, anche perché sarebbe necessario aprire un nuovo tavolo di negoziato con la UE. Ma poiché il rischio reale è di perdere tutto o buttare soldi pubblici dalla finestra, aprire una seria discussione sulle alternative al tunnel potrebbe portare a migliorare e fomentare il traffico ferroviario tra Lione e Torino, senza continuare a sprecare tempo, passioni, risorse preziose nell’illusione che sarà possibile trovare il consenso, i soldi, la volontà politica e le soluzioni tecniche per fare qualcosa di diverso che aprire un ennesimo cantiere infinito, con grave danno della gente e del territorio della Valsusa e delle casse dello Stato e dell’UE.